Il riarmo europeo: Rearm Europe e filiera militare

772
Il riarmo europeo: Rearm Europe e filiera militare

 

di Emiliano Gentili e Federico Giusti

Il Trattato di Lisbona (2009), uno dei documenti fondativi più importanti dell’Unione Europea, prevedeva l’esistenza di una “Politica di Sicurezza e Difesa Comune”[1] già 16 anni or sono. Di questa Politica fanno parte i principali strumenti e accordi europei relativi al settore militare. Proviamo allora a entrare nel merito delle questioni per non essere subissati dalla retorica dei luoghi comuni.

  1. Cos’è il Rearm Europe

Nell’ambito di Readiness 2030 trovano posto alcune iniziative e documenti programmatici comunitari, quali Rearm Eu e il Libro Bianco Europeo sulla Difesa. «Rearm Europe è un piano di sviluppo che ruota attorno al come utilizzare le leve finanziarie a nostra disposizione (…) per aiutare gli Stati Membri ad accrescere rapidamente e significativamente le spese nel settore della difesa»[2]. In precedenza erano stati varati altri piani industriali o commerciali riguardanti l’ambito militare[3], attinenti soprattutto allo sviluppo di determinate e specifiche tecnologie di guerra o all’acquisto e fornitura di attrezzature (ad esempio munizioni e artiglieria), mentre invece oggi si cerca di aumentare la disponibilità di risorse allocate alla difesa nei bilanci degli Stati membri. E l’aumento del budget dei bilanci afferenti ai singoli paesi Ue presuppone anche un maggiore coordinamento a livello europeo in campo tecnologico e militare.

Le misure previste dal Rearm Europe sono cinque:

  • autorizzare gli Stati membri ad aumentare le spese militari in deroga (ossia consentendo di aumentarle oltre i limiti previsti dalla precedente legislazione comunitaria[4]), fino all’1,5% del Pil all’anno da qui ai prossimi quattro anni. La stima complessiva è di un afflusso di finanziamenti quantificato attorno a 650 miliardi;
  • altri 150 miliardi saranno raccolti dall’Ue sui mercati internazionali. Il prestito sarà stipulato a condizioni senza dubbio agevolate rispetto a quelle che otterrebbero, da soli, i singoli Stati membri (com’era per una parte dei fondi del Pnrr), e verranno utilizzati attraverso grossi appalti comuni transfrontalieri. Tuttavia, i termini per la restituzione sono molto lunghi e quindi c’è il rischio che i tassi di interesse salgano in prossimità della data di scadenza, aumentando il debito dei paesi membri; inoltre è possibile che la Commissione subordini la concessione di questi prestiti alla promulgazione di determinate leggi o decisioni in materia di politica economica o commerciale da parte dello Stato nazionale che ne beneficia. Così facendo non solo si indebita lo Stato per fini di guerra, ma si mette anche a rischio il processo democratico, ponendo un vincolo esterno sull’azione legislativa. Si noti, infine, che agli appalti già menzionati potranno partecipare l’Ucraina, l'Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia, la Svizzera e ogni altro Paese che abbia «sottoscritto con l'UE un partenariato [un accordo] in materia di sicurezza e di difesa»[5];
  • facilitare l’utilizzo dei fondi di coesione per gli investimenti militari;
  • attrarre capitali privati nel settore militare al fine di favorire gli investimenti[6] e il risparmio per le aziende (ad esempio rafforzando la diffusione e, quindi, l’entità dei fondi pensione privati in tutta Europa);
  • abolire le restrizioni sui finanziamenti militari accordati dalla Banca Europea per gli Investimenti (Bei), consentendo investimenti anche in tecnologie esclusivamente militari e non solo in quelle a duplice uso (sia civile che bellico)[7]. Ciononostante, per questa misura bisognerà attendere il via-libera del CdA della Banca (che è composto da rappresentanti degli Stati membri, aventi ognuno diritto di veto sulle decisioni), pur essendo l’esito di questo voto scontato.

L’applicazione del Rearm Europe avviene sulla scorta dell’art. 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue, che prevede votazioni a maggioranza qualificata[8] sia per quanto riguarda l’adozione del piano da parte dell’Unione che la possibilità di agire in deroga al bilancio nazionale per aumentare la spesa per la difesa. Con la maggioranza qualificata – prevista al posto del voto all’unanimità – si punta a rendere marginali i paesi che potrebbero trovarsi in disaccordo, come l’Ungheria o la Slovacchia, rafforzando al contempo il ruolo della burocrazia centrale Ue.

Con la deroga di bilancio la Commissione potrà orientare le priorità di spesa dei paesi membri in maniera ancor più pervasiva rispetto all’oggi: bisognerà aspettare i dettagli tecnico-normativi del Rearm Europe per capire quali spese militari saranno esentate dal calcolo del deficit e quali no. E, a quel punto, domandarsi: «Gli Stati membri dovranno investire in equipaggiamenti identificati come prioritari a livello europeo o potranno finanziare ciò che vogliono senza coordinamento all'interno dell'UE? Dovranno farlo attraverso progetti di collaborazione transeuropei o no? Che ne è della preferenza europea e dei criteri di ammissibilità? Dovranno utilizzare questi fondi per produrre o acquistare attrezzature europee o potranno anche equipaggiarsi all'estero?»[9]. Il Libro Bianco Europeo sulla Difesa fornisce qualche dettaglio in più per rispondere a questi interrogativi.

  1. Le tre fasi per il riarmo europeo

Aumentare la liquidità a disposizione degli imprenditori militari è solo una delle tre fasi realizzative imprescindibili per un’Unione Europea dei capitali ben armata e pronta a combattere. Certo, è di fondamentale importanza dal momento che «introduce una maggiore flessibilità per garantire che i limiti di debito e deficit dell'Unione non diventino ostacoli all'urgente necessità di aumentare le spese militari»[10], ma da sola non è sufficiente. Rearm Europe, difatti, «rimane principalmente focalizzato sulla spesa per la difesa nazionale e sul finanziamento delle capacità di difesa nazionali piuttosto che su asset militari europei condivisi»[11], e questo è un grosso limite.

La seconda fase è rappresentata dalla progressiva trasformazione del mercato interno comunitario attraverso

  • un’estensione adeguata – in termini di popolazione e perciò, in un certo senso, di territorio – che in futuro possa consentire di avvalersi di una forte domanda, economie di scala e ingenti capitali;
  • una maggiore coesione a livello giuridico e normativo che consenta di abbattere i costi degli investimenti per attrarre maggiori capitali (adeguarsi a molte normative nazionali differenti, acquisire le necessarie certificazioni, rispettare le procedure, ecc. ha costi enormi per le imprese – specie per quelle piccole e innovative, come le start-up tecnologiche);

La terza fase potrebbe essere individuata nella creazione di un comparto industriale della difesa comunitario sostenuto da una programmazione efficace degli investimenti (più che della produzione), in maniera da ottenere:

  • un’armonizzazione produttiva che permetta di evitare duplicati nelle varie produzioni nazionali (come oggi accade con le tante, troppe tipologie differenti di proiettili prodotte in Europa, che per di più spesso non sono compatibili con gli obici), assegnando a ogni Stato membro ruoli e compiti specifici;
  • una traiettoria di sviluppo industriale comunitaria, in luogo di una sommatoria di traiettorie nazionali “sbilenche” e poco strategiche.

Queste “fasi” non sono da intendersi in successione cronologica ma, piuttosto, in un continuum. Rimangono distinte per via degli strumenti politici e legislativi necessari per conseguirle, degli organismi istituzionali e imprenditoriali (o bancari) interessati, delle loro funzioni economiche e politiche.

  • La filiera militare

«Il futuro dei prodotti per la difesa si baserà sempre più su "sistemi di sistemi" molto complessi, che dovranno essere altamente interoperabili»[12], dice Draghi. Ciò distingue la filiera militare da una normale “catena del valore”, ossia da una normale “successione” di passaggi produttivi, estrattivi, logistici, ideativi e commerciali che portino le materie prime a diventare un prodotto finito nelle mani del cliente finale: di norma, infatti, i passaggi di assemblaggio delle componenti e dei semi-lavorati non sono fra quelli che garantiscono profitti maggiori all’imprenditore, che ambirebbe piuttosto a sviluppare il business aziendale all’interno delle fasi di ricerca e sviluppo, commercializzazione, ecc.

Nel caso della difesa, invece, la complessità tecnologica e l’alto livello di ‘know-how’ necessari per sviluppare questi «sistemi di sistemi» fanno sì che le attività di integrazione si distinguano nettamente da quelle di puro assemblaggio, superandole di molto per il livello tecnologico e il livello di specializzazione del lavoro, nonché per la massa degli investimenti e la dimensione aziendale necessarie a risultare competitivi nel settore. Un caso simile è quello della filiera aeronautica: per “assemblare” un aereo bisogna integrare i motori, la tecnologia di volo (“avionica”), la struttura aerodinamica…

Di conseguenza in filiere come queste sono predominanti le imprese che integrano i sistemi, non quelle che li progettano, producono, commercializzano: «Tali imprese devono avere il controllo totale di cio? che assemblano e devono quindi disporre di un patrimonio di conoscenze e competenze quanto piu? possibile esteso. (…) La tecnologia e i capitali necessari a svilupparla costituiscono pertanto un’elevata barriera all’ingresso per eventuali new-comers e cio? rende complesso, se non impossibile, risalire la catena del valore»[13]. E allora non possono sorprendere le pressioni della Commissione Europea per dare vita a un mercato interno armonizzato, per la creazione di imprese più grandi sostenute da finanziamenti adeguati, per l’economia di scala. Come dice Draghi, «Lo sviluppo della base industriale della difesa dell'UE dipende dal successo dell'integrazione delle tecnologie commerciali, spesso promosse anche dalle PMI [Piccole e Medie Imprese], nelle applicazioni di difesa [grass. in orig.]»[14].

L’Italia, paese di Pmi, ambirà sicuramente a essere fornitrice di molte delle tecnologie di base necessarie. Un ruolo di “serie B”, considerando che queste sono le attività che rendono meno: «nelle posizioni di fondo prevalgano fornitori che potremmo definire di tecnologia “pura”, ovvero poco dediti all’integrazione ma piu? specializzati nella fornitura di piccoli “mattoncini” da combinare insieme»[15]. Chiaramente, un discorso diverso va fatto per i “campioni” nazionali, come Leonardo. Tuttavia, la debolezza strutturale dell’economia italiana – e, nello specifico, la scarsa dimensione delle aziende nostrane – fa sì che il tentativo di Meloni di risalire la china all’interno dell’Europa cercando un’interlocuzione commerciale (e politica) privilegiata con Trump e Musk faccia incappare in delle contraddizioni evidenti: per aprire il mercato dei satelliti a orbita bassa agli operatori appartenenti all’Alleanza Atlantica (e, nello specifico, a Starlink di Musk), ad esempio, il Governo ha pestato i piedi a Thales Alenia Space[16], la partecipata italo-francese di Leonardo, che con Starlink aveva preferito sviluppare un semplice contratto di fornitura finalizzato allo sviluppo in-house dei sistemi tecnologici satellitari a duplice uso – civile e militare, come abbiamo detto. Tali sistemi, nel prossimo futuro, potranno invece essere forniti direttamente da Starlink[17].

  1. Cosa aspettarsi dal futuro

In contesti diversi, anche se in anni recenti, il dibattito a livello comunitario è stato caratterizzato dalla richiesta di alcuni paesi di rivedere le regole di bilancio e favorire le spese sociali, nonché gli investimenti in materia di lavoro e manutenzione dei territori. La deroga ai tetti di spesa sarebbe stata giustificabile, ad esempio, per favorire la nascita di un welfare aggiornato e diffuso (che avrebbe a sua volta provocato la crescita della domanda interna ai singoli paesi). Oppure per fare fronte ai continui episodi di devastazione ambientale – le cui responsabilità politiche vengono sempre occultate –, magari andando a “rimpolpare” un po’ le misere risorse dei Fondi europei.  Purtroppo però accrescere la spesa sociale e infrangere, così, l’austerità renana[18], significava rompere equilibri economici, finanziari e politici troppo importanti. Non è stata un caso l’eliminazione di obiettivi e investimenti di natura sociale dai PNRR di alcuni paesi, come ad esempio quelli per gli asili nido (e si ricordi che in Italia la copertura degli asili nido è garantita soltanto per la metà dei posti rispetto alla media europea…).

La Commissione Ue ha chiesto agli Stati membri di attivare entro fine aprile le deroghe al Patto di stabilità per investimenti in difesa in nome di una “maggior flessibilità". Inoltre, vigilierà per evitare che le spese in deroga siano mascherate da investimenti nella difesa quando, invece, sono costruite ad altro scopo (cosiddetto “defence washing”).

Le deroghe saranno applicate rispetto ai conti pubblici del 2025 con una attivazione coordinata tra gli Stati. Avranno un impatto ben maggiore delle novità introdotte un anno or sono in materia di Bilancio[19], quando venne deciso di accordare maggiore spazio di manovra ai singoli paesi, costringendo quelli con maggiore disavanzo e debito a obiettivi di spesa ben determinati. Se un anno fa si pensava di promuovere investimenti pubblici in alcuni settori giudicati “prioritari” (come quello della digitalizzazione), senza stabilire un approccio unico che fosse valido erga omnes, oggi per il grande riarmo si aspira a un piano superiore: fornire indirizzi precisi e, soprattutto, “criteri” dettati a livello comunitario.

[1] Trattato sull’Unione Europea, artt. da 42 a 46.

[2] Commissione Europea, Comunicato Stampa del Presidente Von der Leyen sul pacchetto di difesa, 4 Marzo 2025.

[3] Fra i principali troviamo: Fondo europeo per la difesa (Efd), Strategia Europea per l’industria della difesa (Edis), Programma Europeo di Investimenti nel settore della Difesa (Edip), Rafforzamento dell'Industria Europea della Difesa mediante Appalti Comuni (Edirpa), Legge a Sostegno della Produzione di Munizioni (Asap), Task Force per gli Appalti Congiunti della Difesa (Djtpf), Revisione Coordinata Annuale sulla Difesa (Card), Accordo di Cooperazione Strutturata Permanente (Pesco), Politica Estera e di Sicurezza Comune (Cfsp). A livello prettamente politico evidenziamo, sulla base di quanto è giunto a nostra conoscenza, l’esistenza di uno Strumento Europeo per la Pace (Epf) (destinato, manco a dirlo, al finanziamento fuori bilancio di missioni militari comuni), di diversi organismi istituzionali comunitari deputati a questioni di sicurezza e difesa, come l’Agenzia Europea per la Difesa (Eda) e alcuni organismi minori, quali ad esempio una specifica sottocommissione del Parlamento Europeo (Sede) e di alcune specifiche Direttive promulgate da tempo (2009/81/EC; 2009/43/EC).

[4] La base giuridica è costituita dall’aggiunta di motivazioni di ordine militare a quelle circostanze eccezionali per le quali è prevista l’attivazione dell’art. 26 del Regolamento SGP n. 2024/1263 per singoli paesi membri (cd. “clausola di fuga nazionale”). L’art. 25 consentirebbe la deroga per l’intera Ue (cd. “clausola di fuga generale”) ed è stato utilizzato in passato per far fronte alla pandemia da Covid-19.

[5] Commissione Europea, Comunicato stampa: La Commissione presenta il Libro Bianco sulla Difesa Europea e il Piano ReArm Europe/Preparati per il 2030, 19 Marzo 2025.

[6] Magari – sulla base di quanto consigliato nel Rapporto Draghi – armonizzando le regole e le legislazioni nazionali, allentando le regole prudenziali per gli investimenti bancari e quelle per le fusioni societarie, indebolendo le politiche anti-trust e via dicendo.

[7] Si consideri che Draghi vorrebbe liberalizzare gli investimenti Bei al punto da consentirgli di investire direttamente in azioni di imprese appartenenti a settori strategici (cfr. M. Draghi, The future of European competitiveness, Part B: In-depth analysis and recommendations p. 261) e che, inoltre, già nel 2024 era stata ampliata la lista delle tecnologie a duplice uso (cfr. Banca Europea per gli Investimenti, Comunicato stampa: EU Finance Ministers set in motion EIB Group Action Plan to further step-up support for Europe’s security and defence industry, 12th April 2024).

[8] La “maggioranza qualificata” prevede il voto favorevole perlomeno del 55% degli Stati membri, a condizione che rappresentino almeno il 65% della popolazione comunitaria. Draghi ne è un forte sostenitore e lo applicherebbe a molteplici ambiti (cfr. M. Draghi, op. cit., Part B, p. 319).

[9] F. Santopinto, The ReArm Europe Plan: Squaring the Circle Between Integration and National Sovereignty, Institut de Relations Internationales et Strategiques, https://www.iris-france.org/en/the-rearm-europe-plan-squaring-the-circle-between-integration-and-national-sovereignty/.

[10] P. Dermine, Funding Europe’s Defence. A First Take on the Commission’s ReArm Europe Plan, https://verfassungsblog.de/rearm-europe-law/ (DOI: 10.59704/4c71fd729acff01f).

[11] Ibidem.

[12] M. Draghi, op. cit., Part B, p. 165.

[13] S. Bolatto, P. Frigero, S. Grimaldi, Specializzazione e Diversificazione Verticale lungo le Filiere Internazionali dell’Aeronautica. Bologna: il Mulino, 2015, p. 17.

[14] M. Draghi, op. cit., Part B, p. 165.

[15] S. Bolatto, P. Frigero, S. Grimaldi, op. cit., p. 19.

[16] Proprio per la somiglianza delle tre filiere, aeronautica, aerospaziale e militare, Alenia è attiva anche nel settore aeronautico con Alenia Aeronautica, che tra l’altro – assieme all’Università di Bologna e a quella di Torino – ha commissionato il lavoro di Bolatto, Frigero e Grimaldi a cui abbiamo fatto riferimento. Connessioni e relazioni non casuali.

[17] Cfr. E. Gentili, F. Giusti, Cosa si nasconde dietro la legge italiana sulla Space Economy, https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-cosa_si_nasconde_dietro_la_legge_italiana_sulla_space_economy/42819_59703/.

[18] La Germania il proprio welfare lo ha costruito in anni ormai lontani, anche attraverso la compartecipazione sindacale e della forza lavoro alle finalità di impresa…

[19] Parlamento Europeo, Comunicato stampa: Patto di stabilità: i deputati approvano le nuove regole di bilancio, 23 Aprile 2024.

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

Il dito e la luna del riarmo europeo di Marco Bonsanto Il dito e la luna del riarmo europeo

Il dito e la luna del riarmo europeo

Loretta Napoleoni -  Quel vento di scisma tra i cattolici Usa di Loretta Napoleoni Loretta Napoleoni -  Quel vento di scisma tra i cattolici Usa

Loretta Napoleoni - Quel vento di scisma tra i cattolici Usa

Basta che se ne parli di Francesco Erspamer  Basta che se ne parli

Basta che se ne parli

Calenda e l'odio per il popolo di Paolo Desogus Calenda e l'odio per il popolo

Calenda e l'odio per il popolo

Trump, la UE e il grande affare sulla pelle dei migranti di Geraldina Colotti Trump, la UE e il grande affare sulla pelle dei migranti

Trump, la UE e il grande affare sulla pelle dei migranti

Israele, la nuova frontiera del terrorismo di Clara Statello Israele, la nuova frontiera del terrorismo

Israele, la nuova frontiera del terrorismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo di Leonardo Sinigaglia La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

La "libertà" di espressione ai tempi della Picierno di Marinella Mondaini La "libertà" di espressione ai tempi della Picierno

La "libertà" di espressione ai tempi della Picierno

La minaccia di Israele di Giuseppe Giannini La minaccia di Israele

La minaccia di Israele

Il lato oscuro del Sionismo. Come si è suicidata Byoblu di Michelangelo Severgnini Il lato oscuro del Sionismo. Come si è suicidata Byoblu

Il lato oscuro del Sionismo. Come si è suicidata Byoblu

La California verso la secessione dagli Stati Uniti? di Paolo Arigotti La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

La California verso la secessione dagli Stati Uniti?

Un sistema da salari da fame che va rovesciato di Giorgio Cremaschi Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Un sistema da salari da fame che va rovesciato

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti