IL RITORNO DEL VILE AFFARISTA
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Intervenendo al Simposio annuale del Centre for Economic Policy Research di Parigi, Mario Draghi ha detto «Tutti i governi disponevano di uno spazio fiscale per contrastare la debolezza della domanda interna, ma almeno fino alla pandemia hanno scelto deliberatamente di non utilizzare questo spazio, preferendo lo sfruttamento della domanda estera e l'esportazione di capitali con bassi livelli salariali: questa costellazione non sembra più sostenibile»¹.
Peccato che non sia vero.
È stato lui infatti insieme a Trichet a redigere e inviare all’Italia la lettera della BCE del 5 agosto 2011² in cui ci chiedeva di ridurre i salari e tagliare la spesa pubblica per abbattere la domanda interna e aumentare così le esportazioni.
Insomma Draghi, protagonista indiscusso anche della svendita dell’IRI, è uno dei maggiori promotori (e quindi dei maggiori responsabili) dell’insostenibile modello economico che adesso sembra criticare.
Ma non lasciamoci ingannare: lo critica perché vuole spingere per il debito comune europeo. Vale a dire per stringere ulteriormente al nostro collo il cappio del vincolo esterno con l’ennesima forma di commissariamento del Paese.
Il solito “vile affarista” che lavora contro i nostri interessi per svendere quel che resta del Paese.
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