Il ritorno dell'Asse. A Ramstein inizia la quarta guerra mondiale
A Ramstein inizia la quarta guerra mondiale, dopo la terza combattuta a freddo. Lo schema è alquanto semplice: costringere la Russia a dissanguarsi in Ucraina mentre si prepara uno scenario analogo per la Cina. Ma per creare uno scenario in stile ucraino nel Pacifico, che avrebbe caratteristiche diverse dal momento è essenziale la Marina, serve il Giappone.
Ricreare l’Asse
Questo spiega l’importanza della recente visita del premier giapponese Fumio Kishida negli Usa, nel corso della quale Tokio si è consegnata alle richieste Usa sul contenimento di Pechino avviando una profonda ristrutturazione delle proprie forze in combinato disposto con quelle americane.
Allo stesso tempo, alla Germania viene chiesto di diventare la forza trainante del contenimento della Russia sul fronte europeo, anche qui in combinato disposto con le forze Usa.
Ed è questo il vero nodo che si cela dietro la controversia sull’invio dei Leopard 2 all’Ucraina, sulla quale la Germania sta tentando di frenare, spiegando che lo farà solo se gli Usa forniranno i loro Abrams, cosa che per ora Washington ha escluso (The Hill).
Bisticcio non da poco, dal momento che quelli teutonici sarebbero gli unici carri armati pesanti inviati a Kiev oltre ai 14 Challenger 2 britannici (poca cosa per ora), dal momento che gli altri carri in arrivo da vari Paesi sono poco più che veicoli corazzati, che potrebbero non bastare per l’agognata offensiva di primavera delle forze ucraine, punto focale dell’assise di Ramstein.
Il bisticcio potrebbe risolversi con un compromesso, cioè con il placet, esplicito o meno, di Berlino all’invio a Kiev dei Leopard comprati da Paesi terzi, tra cui la Polonia che spinge in tal senso, senza il quale tali veicoli non potrebbero essere trasferiti (così nei contratti). Ma sarà difficile per Sholz tenere il punto. Troppe e troppo forti le pressioni che sta ricevendo (resistenza analoga si ebbe per le pressioni Usa contro il Nord Stream 2 e si è visto com’è finita).
Nel caso di un cedimento di Berlino si concretizzerebbe lo schema che hanno in mente gli strateghi degli Stati Uniti che, consci di non poter combattere su due fronti, vogliono avvalersi della Germania e del Giappone come front runner del loro confronto con Russia e Cina.
Il fatto che tale schema abbia i suoi punti di forza sulle nazioni della defunta Asse (al netto della derelitta Italia), che tanto dolore ha causato al mondo, dovrebbe inquietare, ma così non è.
Come detto, il Cancelliere tedesco Olaf Sholz sta cercando in tutti i modi di resistere, dichiarando anche, come ha fatto a Davos, che occorre evitare una guerra tra Nato e Russia. Ma a far tentennare la Germania sull’invio dei Leopard 2 c’è anche un motivo strettamente commerciale, come spiega il sito MilitaryWar. La Germania è l’unico Paese d’Occidente oltre agli Stati Uniti a produrre carri armati pesanti. Leopard 2 tedeschi e Abrams americani sono ad oggi gli unici MBT (Main Battle Tank) occidentali sul mercato. Francia e Gran Bretagna che non ne producono di nuovi da anni.
Così, se Francia e Gran Bretagna non hanno niente da perdere, in termini pubblicitari, a inviare i loro armamenti a Kiev, la Germania sì, dal momento che, se le prestazioni dei mezzi risultassero al di sotto delle aspettative, perderebbero commesse, che sarebbero appannaggio degli Stati Uniti perché non corrono analoghi rischi risparmiando i loro Abrams. Certo, tale dettaglio non spiega tutta la controversia, ma aiuta a capirne i contorni.
Interessante, sulla controversia dei carri armati, anche un articolo di Ishaan Tharoor pubblicato dal Washington Post che, riferendo quanto accaduto nel Forum di Davos, titola: “Dategli carri armati!’: le élite di Davos si stringono attorno all’Ucraina“.
In realtà, tale esortazione, come si legge nell’articolo, è stata fatta dall’ex premier britannico Boris Johnson, il quale a Davos era seduto accanto a Fareed Zakaria, il cronista della Cnn che ha moderato l’apparizione (via etere) di Zelensky al Forum.
Ma, secondo Tharoor, Johnson ha parlato a nome di tutti i miliardari convenuti al convegno, che non a caso si è tenuto in concomitanza dell’assise Nato di Ramstein. Un combinato disposto che evidenzia chi vuole che questa guerra prosegua a oltranza.
Già, perché l’invio di armi a Kiev, a differenza di quanto affermano i suoi potenti sostenitori, non porterà alla sconfitta della Russia e alla liberazione dell’Ucraina, né quindi alla pace. Servirà solo a prolungare il conflitto.
Le guerre di logoramento e il viaggio a Kiev del Capo della Cia
Tale prospettiva è spiegata, anche se in maniera asettica, da un articolo di Max Fisher pubblicato oggi sul New York Times, nel quale la guerra ucraina viene paragonata ad altre, attuali e del passato.
Dopo aver registrato che nessuna grande potenza ha condotto guerre su ampia scala – con impiego massivo di fanteria e armamenti – in tempi recenti, avendo condotto solo guerre ibride e tecnologiche, spiega che questo tipo di conflitti sono recentemente scoppiati solo tra Paesi non eccessivamente potenti (guerra Iran-Iraq; Armenia-Azerbaigian etc).
Tali guerre, al modo di quella ucraina, hanno preso la forma di guerre di logoramento e non sono mai terminate con un vincitore e uno sconfitto, ma, come la guerra di Corea, con uno stallo spesso decennale, in cui si alternano fasi “attive” a lunghi periodi di tregua.
Insomma, i trionfali proclami sulla vittoria ucraina servono a sollecitare un supporto esterno (politico, economico e militare), ma non hanno basi reali.
Inoltre, come registrato in questi “70 anni di conflitti”, lo schema delle guerre di logoramento “offre un’altra lezione: un eventuale cambiamento politico all’interno dei paesi [in guerra] raramente comporta quel tipo di svolta che gli osservatori sperano possa un giorno portare Mosca a ritirarsi. La decennale invasione sovietica dell’Afghanistan, ad esempio, si è solo aggravata con l’ascesa al potere del leader riformista Mikhail Gorbaciov, avvenuta nel 1985″.
Terza lezione dell’articolo: Stephanie Carvin, un’analista canadese ha scritto in un suo saggio: “Le armi possono aiutare ad arrivare a un cessate il fuoco, ma non possono creare da sole una pace stabilita e duratura”.
Il fatto che un articolo di questo genere sia stato pubblicato sul Nyt proprio mentre a Davos si afferma l’esatto contrario è alquanto interessante. Ma, per tornare a Davos e all’articolo del Wp dal titolo delirante che abbiamo citato in precedenza, ne riportiamo un cenno che, a una prima lettura, passa quasi inosservato.
Un cenno che riguarda la visita del Capo della Cia a Kiev… Così sul Wp: “William J. Burns si è recentemente recato a Kiev per incontrare Zelensky per informarlo sulle aspettative degli Stati Uniti per le prossime campagne militari contro la Russia e comunicare che, a un certo punto, potrebbe diventare più difficile conservare all’Ucraina l’attuale livello di assistenza”. Per questo, spiega il Wp, occorre forzare adesso. Cenno significativo, appunto.