Il Trattato di Aquisgrana e la fine dell’Europa politica

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Il Trattato di Aquisgrana e la fine dell’Europa politica

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da laboratorio-21.it


Il 6 febbraio 2019 la commissaria alla concorrenza della Ue, Margrethe Vestager, ha bocciato la fusione tra Alstom e Siemens nel settore ferroviario. Immediatamente la Francia e la Germania hanno dichiarato che avrebbero dato avvio a un processo di revisione delle regole della concorrenza. Ben diverso è stato l’atteggiamento dei due Stati in occasione della fusione tra Fincantieri e Stx France, nella cantieristica. In questo caso la Francia, sostenuta immediatamente dalla Germania, ha chiesto alla commissione alla concorrenza di esaminare la fusione alla luce del regolamento sulle concentrazioni.


Si tratta di un esempio che dimostra quanto l’Europa sia tutt’altro che un organismo unitario. La Ue, in realtà, è un sistema intergovernativo dove gli Stati non solo continuano ad esistere ma agiscono, sempre di più, secondo interessi e strategie nazionali. Al di là dei numerosi esempi in tal senso degli ultimi anni, specie dopo lo scoppio della crisi del debito pubblico, il Trattato di Aquisgana, siglato a gennaio dai governi di Francia e Germania, sancisce definitivamente l’inesistenza dell’Europa non solo come soggetto politico unitario, ma persino come terreno politico di coordinamento tra Stati.


La scelta della città di Aquisgrana ha una forte valenza simbolica. Infatti, Aquisgrana fu la capitale dell’Impero carolingio, che unì in uno stesso organismo politico Francia e Germania. Attorno al nucleo centrale composto da questi due Paesi, l’impero di Carlo Magno riuniva gli attuali Belgio, Olanda, Austria, Italia centrosettentrionale e Catalogna, insomma quello che ora è il nocciolo duro dell’area euro. Mentre l’Europa si scopre sempre più divisa su molte tematiche, e le divergenze economiche tra i Paesi si sono allargate sempre di più, la Francia e la Germania anziché lavorare, come vorrebbe la retorica europeista, ad una maggiore integrazione europea, si focalizzano sull’integrazione franco-tedesca con obiettivi e istituzioni proprie. Infatti, all’art. 20 del cap. V si dichiara che il fine dell’integrazione è la creazione di “una zona economica franco-tedesca con regole comuni”, la cui attuazione è coordinata dal Consiglio economico e finanziario franco-tedesco. Inoltre, sono previste la riunione del Consiglio dei ministri francesi e tedeschi,  una volta l’anno, e la partecipazione di un membro del governo di uno dei due stati, almeno una volta ogni trimestre e alternativamente, al Consiglio dei ministri dell’altro Stato.


Per la verità le norme del trattato, oltre che stabilire una integrazione economica e culturale tra i due Paesi, rappresentano una vera e propria alleanza di politica estera e militare. In primo luogo, Francia e Germania, come detto, sanciscono, con la loro aspirazione a egemonizzare la Ue, l’inesistenza della Ue come organismo di stati posti su un piano di parità. Infatti, i due contraenti stabiliscono (Cap. I, art. 2) “di definire, prima dei grandi eventi europei, posizioni comuni e di concordare dichiarazioni coordinate dei rispettivi ministri”. In questo modo, il blocco franco-tedesco acquista un potere di condizionamento enorme sulle scelte europee, che vengono predeterminate.


Il senso politico dell’accordo: lo scambio tra Germania e Francia


Mentre il precedente punto del Trattato in qualche modo formalizza, pur aggravandola, una situazione già esistente de facto, l’aspetto forse più innovativo è quello militare. All’articolo 4 del capitolo II si dice: “Essi [Francia e Germania] si prestano reciprocamente aiuto e assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione, comprese la forze armate, in caso di aggressione armata contro il loro territorio”. Tale specificazione non sembrerebbe avere una particolare giustificazione, dal momento che l’art. 51 del Trattato sul funzionamento della Ue già prevede una tale assistenza, però senza fare esplicito riferimento all’impiego delle forze armate; soprattutto tale norma appare curiosa, dal momento che entrambi gli stati fanno parte della Nato, una alleanza militare di assistenza reciproca in caso di aggressione, e che la Germania ospita diverse basi militari americane.



Ma non basta: “i due stati agiscono congiuntamente, ogniqualvolta possibile, conformemente alle rispettive norme nazionali, per mantenere la pace e la sicurezza (…) si impegnano a rafforzare ulteriormente la cooperazione tra le loro forze armate al fine di stabilire una cultura comune e di effettuare spiegamenti congiunti. Essi stanno intensificando lo sviluppo di programmi comuni di difesa e la loro estensione ai partner”. A questo proposito, l’integrazione tra Francia e Germania è in stato avanzato. I due paesi stanno perfezionando l’accordo per un nuovo carro armato e soprattutto per un nuovo caccia.  Per questa ragione la Germania, su richiesta della Francia, ha escluso lo statunitense F-35 dall’asta per la sostituzione del Tornado, con l’immaginabile irritazione degli Usa e per la felicità dell’industria aeronautica francese, che rappresenta uno dei pochi settori ancora forti della manifattura d’oltralpe. Anche in questo caso, l’accordo è sancito da una istituzione ad hoc: “I due Stati istituiscono il Consiglio franco-tedesco per la difesa e la sicurezza quale organico politico per orientare questi impegni reciproci” (art. 4).


Il senso del Trattato di Aquisgrana consiste certamente in un accordo per il controllo delle decisioni Ue, ma anche in un vero scambio politico più complessivo tra gli Stati della Francia e della Germania. La Germania sostiene la Francia sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista della sua politica estera in Africa. Non dimentichiamo che se lo spread francese è più basso di quello italiano, a dispetto dei fondamentali non certo migliori (alto debito commerciale con l’estero, mentre l’Italia ha un surplus consistente; più alto debito delle famiglie e delle imprese e più alto deficit pubblico dell’Italia), è anche perché la Germania acquista i titoli di stato francesi. Inoltre, la Francia è un paese deindustrializzato e con una economia sempre più dipendente dall’espansione esterna, cioè basata sugli investimenti esteri di capitale. Soprattutto è dipendente da una politica di espansione in Africa, dove il suo interventismo politico, economico e militare è aumentato in questi ultimi anni. L’appoggio tedesco alla politica imperialista francese in Africa è sancito all’art. 7 del capitolo II, dove i due stati prevedono esplicitamente l’intervento militare congiunto, impegnandosi alla “prevenzione dei conflitti, risoluzione delle crisi, anche nel mantenimento della pace e gestione delle situazioni postbelliche”.


In cambio dell’appoggio tedesco, la Francia, oltre a confermare il suo sostegno alla Germania nelle decisioni europee, le permette di uscire dalla sua condizione di gigante economico e nano politico-diplomatico e militare. Dopo il 1945 nessun sistema militare è credibile senza “dissuasione nucleare”. Ora, con questo trattato, la Germania, che non ha né è in condizioni di dotarsi di armi nucleari, si pone sotto la copertura di quelle della Francia. Altrettanto importante è il raggiungimento di uno status diplomatico di grande potenza. In quanto potenza sconfitta ed erede morale del nazismo, la Germania è stata esclusa dall’importante ruolo di membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, come l’Italia e il Giappone, malgrado fosse stato membro permanente, come l’Italia e il Giappone, del consiglio della Società delle nazioni fino al 1933. Suo obiettivo è ritornarci, tanto che qualche mese fa il vice-cancelliere tedesco aveva addirittura caldeggiato la cessione del seggio permanente della Francia alla Ue. Con il Trattato, invece, la Francia si impegna a far entrare la Germania come membro permanente (art. 8).


Il significato del Trattato di Aquisgrana è negativo sia per gli Usa sia per gli altri Paesi europei, in particolare per l’Italia. L’appoggio della Francia alla candidatura tedesca al Consiglio di sicurezza è uno schiaffo in faccia alla strategia diplomatica italiana che ha sempre cercato di utilizzare la via europea per accedere al Consiglio, battendosi per un seggio permanente alla Ue. Inoltre, l’accordo franco-tedesco, oltre a dissolvere le illusioni italiane di una alleanza con la Francia per ottenere modifiche ai trattati, la mette in una posizione di maggiore debolezza. Una debolezza che si manifesta non solo all’interno dell’Europa ma anche nel quadrante africano, dove l’Italia confligge permanentemente con la Francia e dove si sta ancora leccando le ferite dell’aggressione francese alla Libia, quello che in qualche modo era un suo “protettorato” economico. I contrasti degli ultimi mesi tra il governo giallo-verde e il governo Macron nascondono, dietro le polemiche sugli immigrati, i gilet verdi, il franco Fca, e il richiamo dell’ambasciatore francese, la concorrenza tra i due Stati a livello internazionale e soprattutto africano.


Il Trattato e il disvelamento della vera natura dell’integrazione europea


Per concludere, questo Trattato non è assolutamente in contraddizione con i Trattati europei né con le istituzioni dell’euro, dimostrando quanto ho sostenuto più volte, ad esempio ne La gabbia dell’euro. La Ue e l’euro non hanno eliminato lo Stato nazionale, perché solamente alcune delle sue importanti funzioni, il bilancio e la moneta, sono state alienate al livello sovranazionale, mentre le altre funzioni decisive dello Stato – il monopolio della forza e la politica estera – rimangono saldamente nelle sue mani. Questa apparente contraddizione è coerente con le ragioni di classe – la difesa degli interessi del grande capitale internazionalizzato – che stanno dietro l’integrazione europea: da una parte, mediante la Ue e l’euro, aggirare il controllo democratico sulle decisioni di politica economica, e, dall’altra parte, mediante lo Stato nazionale, continuare a usare dello strumento della forza e della politica estera per l’espansione all’estero. Nelle sue funzioni della forza e della politica estera, lo Stato nazionale francese e tedesco viene persino rafforzato, come dimostra egregiamente proprio il Trattato di Aquisgrana, che, a scanso di equivoci, non va inteso come una misura propedeutica all’unificazione tra Francia e Germania, sulla cui base possa fondarsi una unità politica europea.


Al contrario, il Trattato è il matrimonio di interesse tra due stati distinti con obiettivi diversi ma convergenti. Né, per le stesse ragioni, rappresenta la base di un imperialismo europeo autonomo. Esso è, piuttosto, il tentativo di rafforzamento dell’imperialismo francese e soprattutto sancisce la pericolosa rinascita della Germania come grande potenza. Lo scopo è controllare il processo decisionale europeo e sostenersi l’un l’altro nei confronti sia degli altri Stati europei sia delle potenze extra-europee, a partire proprio dall’alleato statunitense, che, soprattutto con la presidenza Trump, non ha mai mancato di rinfacciare all’Europa il suo scarso contributo alle spese della Nato e alla Germania il suo eccessivo surplus commerciale. Il punto è la rinascita di un contrasto neoimperialista tra Stati, anche a causa di una crisi del sistema capitalistico che non vuole passare, di una globalizzazione sempre più spinta e di una competizione sempre più accesa tra capitali.


È illusorio continuare a invocare più Europa contro gli stati nazionali, perché l’Europa non esiste né può esistere, visto che una modifica dei trattati può essere fatta solo all’unanimità e che l’integrazione europea è stata costruita dalle fondamenta con certe caratteristiche, cioè come sistema intergovernativo e interstatale. In caso contrario, un accordo come il Trattato di Aquisgrana non sarebbe stato concepibile. Soprattutto invocare più Europa è suicida. È stata proprio l’Europa ad aver risvegliato o accentuato il nazionalismo e la dinamica imperialista degli Stati. Più Europa, nelle attuali condizioni, significherebbe la realizzazione di un superstato in funzione imperialista. Del resto, l’euro, aumentando le divergenze tra i vari Paesi e contraendo i mercati domestici, accentua la spinta a espandersi all’estero e, come suo derivato, la concorrenza tra capitali e la competizione tra stati. Per queste ragioni, non può esistere non solo una politica di crescita dell’occupazione e dei salari, ma neanche una strategia realistica di lotta per la pace e contro l’imperialismo che non inserisca al suo interno, in una posizione centrale, il tema del superamento dell’euro e di Trattati.

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