Il trumpismo: l'utima fase dell'impero statunitense?

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Il trumpismo: l'utima fase dell'impero statunitense?

 

di Leonardo Sinigaglia

Similmente a quanto già accaduto durante il primo mandato di Donald Trump, una parte considerevole della cosiddetta area del “dissenso” ritieni di potersi appoggiare agli Stati Uniti e alla loro azione internazionale per lottare contro l’Unione Europea e le forze “globaliste”. Questa visione, errata, è fatta propria persino da organizzazioni politiche, ed è diffusa anche grazie all’azione di personaggi specializzati nella “controinformazione”.

Essa può apparire come giustificata alla luce dello scontro in corso tra le due sponde dell’Atlantico, ma in realtà, lungi da aiutare la lotta di liberazione del nostro paese e la distruzione del sistema imperialista, non porta altro che al rafforzamento dello stato di sottomissione dell’Italia e del resto del mondo. Si arriva quindi non solo a sostenere la necessità di sfruttare le contraddizioni in seno alla classe dirigente occidentale, cosa giusta e necessaria, ma ad appoggiare comprensivamente l’operato della Casa Bianca, dalla guerra commerciale contro la Cina al sostegno all’entità sionista.

Per evitare di fare la guerra per il Re di Prussia è utile tenere a mente alcuni concetti fondamentali:

-Gli Stati Uniti sono il centro del sistema imperialista (a prescindere dal presidente).

 La natura imperialista di un paese non è data direttamente dalle scelte politiche di questo, ma dalla sua posizione oggettiva nel sistema economico internazionale che è causa delle sue scelte politiche. Gli Stati Uniti non sono imperialisti in quanto promotori di guerra e sottomissione, ma promuovono sottomissione e guerra proprio in quanto imperialisti. Sono gli interessi del capitale finanziario monopolistico che vede la sua espressione politica nel regime di Washington a portare alle politiche che vediamo come “sintomo” dell’imperialismo. La ristrettissima classe di capitalisti che compone questa oligarchia non ha solamente interessi convergenti, ma vive in un costante stato di guerra intestina provocato dai meccanismi interni al sistema capitalista, che porta tendenzialmente alla centralizzazione del capitale in un numero sempre minore di mani.

Se gli oligarchi sono uniti dalla comune necessità di salvaguardare i mezzi di sfruttamento planetario garantiti dalla posizione egemonica degli Stati Uniti, essi sono divisi sulla quota che ciascuno dovrà ricevere dei frutti di questo sfruttamento. Per quanto “l’imperialismo americano” possa sembrare un monolite, in realtà si tratta di un sistema complesso in cui numerosi gruppi di potere, interni ed esterni alla istituzioni, cooperano e competono, pianificano strategie e sviluppano le proprie visioni, cercando di porre le risorse dell’impero al servizio di queste, e non di altre. Se esistono divergenze sulle prospettive strategiche in seno alle oligarchie statunitensi, esse sono date dalla differenza dei modi con cui si vuole tentare di difendere ed espandere il regime di sfruttamento e controllo imposto dagli Stati Uniti al resto del mondo.

Trump, per gestire le conseguenze della sconfitta strategica del blocco occidentale in Ucraina presentandosi come “mediatore” e spostare il focus dell’azione internazionale USA sul contenimento della Cina, può voler migliorare le relazioni con la Federazione Russa, ma naturalmente non potrà che opporsi al processo di dedollarizzazione e alla costruzione di un ordine internazionale multipolare basato sulla parità di ogni paese. E’ infatti noto come Trump abbia minacciato di pesanti ritorsione economiche i paesi intenti a minare lo status del dollaro come valuta internazionale, come è altresì nota la sua ostilità per qualsiasi consesso multilaterale, privilegiando dialoghi bilaterali e l’azione unilaterale.

Ciò accade perché è grazie al ruolo e alle specificità del dollaro che le oligarchie finanziarie hanno potuto accumulare enormi ricchezze saccheggiando il resto del mondo, paesi sviluppati compresi, ottenendo così le risorse necessarie anche a sostenere i crescenti costi di un sistema di dominio imperiale che, se in passato ha potuto servirsi agevolmente degli organismi internazionali creati alla fine della Seconda Guerra Mondiale per imporsi, ora, con lo sviluppo dell’irreversibile processo di multipolarizzazione del mondo, necessità dell’unilateralismo più spregiudicato e del divide et impera per tentare di resistere alla marea montante della lotta anti-egemonica. Trump, e i settori di capitale finanziario a lui collegati, può distinguersi dalla compagine DEM per le strategie, ma non per la finalità: difendere e perpetuare il potere egemonico degli Stati Uniti.

-Lo scontro con l’Europa non condotto a nostro favore.

Il progetto federale europeo è nato su spinta americana per garantire il saccheggio economico e il controllo politico del continente, impedendo al contempo sia evoluzioni in senso socialista e antimperialista, sia la costruzione di un potere imperialista contrapposto attorno all’asse franco-tedesco (o anche anglo-francese, almeno per quanto riguarda i primissimi anni del secondo dopoguerra). La crisi che si sta vivendo tra le due sponde dell’Atlantico non risponde a disegni liberati del presidente USA, ma alla necessità di imporre alle oligarchie subalterne del continente (alleate delle fazioni momentaneamente sconfitte del capitale finanziario monopolistico americano) una spoliazione ancora maggiore al fine di garantire agli USA la possibilità di continuare a lottare contro le forze progressive che ad essi si oppongono. Segni di ciò erano invero già visibili durante la presidenza Biden, che col Chips Act, l’Inflation Reduction Act e il rialzo continuo dei tassi d’interesse ha favorito il massiccio trasferimento di capitali dagli “alleati” agli Stati Uniti.

Lo scontro è il più aspro da molti decenni a questa parte perché la posizione degli Stati Uniti non è mai stata così precaria, e allo stesso tempo la quantità di risorse necessarie non è mai stata così grande. L’impero, ormai nella sua fase terminale, consuma i suoi Stati satellite allo stesso modo in cui un corpo bisognoso di energia brucerebbe i grassi accumulati. Le fazioni politiche “filo-Trump” in Europa, per quanto si ammantino di retorica patriottica e di richiami alla sovranità nazionale, rappresentano fondamentalmente gli interessi di chi vorrebbe consegnare una parte consistente delle risorse ad oggi saccheggiate dalle oligarchie di Bruxelles direttamente al centro imperiale statunitense.

Tuttavia, lo scontro in atto è qualcosa di positivo, e offre importanti spazi d’azione. Così come ll’aggressione sionista contro Gaza ha portato al crollo internazionale dei consensi per il regime di Tel Aviv e la guerra per procura contro la Russia in Ucraina ha permesso di mostrare il vero volto della NATO a milioni di occidentali, così l’attuale crisi delle relazioni euro-americane crea terreno fertile per la propaganda anti-europeista e per l’azione politica di chi si prefigge l’obiettivo di smantellare il progetto federale europeo.

- Il “Make America Great Again” non include il resto del mondo.

Mentre la Repubblica Popolare Cinese attraverso la costruzione di una Comunità umana dal futuro condiviso sostiene modelli di sviluppo cooperativi, inclusivi e basati sul mutuo beneficio, gli Stati Uniti colpiti dalla crisi del loro sistema egemonico si fanno ancora una volta portatori di un piano di rilancio della propria economia basato sull’unilateralismo e sulla prevalenza del proprio interesse a discapito di quello degli altri paesi. Il “Make America Great Again” di cui Trump si è fatto portatore non solo esclude le masse popolari degli Stati Uniti, ma è da realizzarsi grazie alle risorse ottenute dal saccheggio del resto del mondo. In questo contesto le misure protezionistiche introdotte non sono altro che l’ennesima tassa imperiale che il mondo deve pagare per sostenere la reindustrializzazione degli USA, misura resasi necessaria non già per garantire una vita dignitosa ai milioni di statunitensi afflitti da miseria e precarietà, ma per sostenere il peso di una competizione geopolitica sempre più acuta.

La retorica trumpiana del “mondo che si è approfittato degli Stati Uniti” nasconde la verità storica del fatto che sono stati proprio gli Stati Uniti ad aver favorito la creazione di un sistema economico fondato su un deficit commerciale e un debito pubblico crescenti. Al contrario delle politiche economiche imposte da organizzazioni controllate dagli Stati Uniti come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale al resto del mondo, la deindustrializzazione dell’Occidente è stata decisa dalle stesse classi dirigenti occidentali per aumentare i propri profitti e diminuire la forza della locale classe lavoratrice, con la consapevolezza che il ruolo del dollaro si sarebbe rafforzato e che l’afflusso di capitali dalla periferia verso il centro sarebbe aumentato. Questo sistema, intrinsecamente instabile, è entrato in crisi, e ora gli Stati Uniti cercano di scaricare sul resto del mondo i costi di una nuova conversione.

Per quanto la presidenza di Trump sia un dato positivo nella misura in cui acuisce le contraddizioni in seno al campo occidentale e accelera il processo di decomposizione dell’impero USA, non dobbiamo assolutamente ritenere gli USA un alleato. Gli Stati Uniti rimangono il centro del sistema imperialista mondiale e i loro interessi sono irriducibili e direttamente contrapposti a quelli della stragrande maggioranza degli esseri umani. Gli unici alleati su cui possiamo contare nella lotta di liberazione del nostro paese sono le forze che a livello internazionali combattono contro il sistema imperialista e il regime egemonico di Washington, dai partiti e i movimenti rivoluzionari dei paesi del blocco occidentale agli Stati promotori di un ordine internazionale multipolare come la Cina, la Russia, l’Iran e il Venezuela.

 

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