Il welfare italiano ha forse un futuro?
di Federico Giusti
Il welfare state è attenzionato non solo dal Governo e dalle autorità finanziarie nazionali ma anche a livello comunitario, da tempo è iniziata una riflessione non certo finalizzata a ridurre le diseguaglianze e a contrastare la povertà come leggiamo sui documenti ufficiali. Il nostro stato sociale è in buona parte ancora quello di 40 anni fa, molti servizi oggi non sono più gratuiti come una volta ma in questi ultimi decenni la società è cambiata radicalmente, le famiglie monoreddito sono una eccezione perchè due stipendi spesso non sono sufficienti ad arrivare a fine mese.
Ma nel paese in cui l'ascensore sociale è fermo da lustri sono anche cresciute le disuguaglianze sociali ed economiche, per raddoppiare le spese militari non resterà che circoscrivere gli investimenti sociali, ridurre gli importi previdenziali e i trasferimenti sociali in denaro erogati dalle Amministrazioni pubbliche.
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Il sistema di welfare dovrebbe rappresentare lo strumento per eccellenza di equità sociale, di ridistribuzione delle ricchezze ma anche una sorta di traino per lo sviluppo economico di un paese, basti pensare agli asili nido che aumentando l'offerta dei posti disponibili (e a prezzi calmierati) consentirebbero l'incremento della popolazione attiva femminile.
Se il welfare è invece soggetto a tagli e ridimensionamenti per renderlo compatibile con esigenze stringenti di bilancio la possibilità di assegnare servizi al terzo settore, o privato sociale, può risultare insufficiente a ridurre quei costi che oggi sembrano essere al centro del dibattito pubblico.
All'orizzonte intravediamo innumerevoli contraddizioni, il welfare potrebbe risultare in aperta contraddizione con gli incentivi al lavoro, se la sostenibilità dei conti pubblici è a rischio lo stato sociale può divenire la prima vittima sacrificale. Negli ultimi anni ai servizi si sono preferiti i bonus pur sapendo che quei servizi erogati dal terzo settore erano comunque già a basso costo (per l'applicazione di contratti nazionali sfavorevoli e basse retribuzioni orarie) se confrontati con il settore pubblico.
In Italia la spesa pubblica per le pensioni ammonta a circa il 16 per cento del PIL, già negli anni scorsi dentro il centro sinistra si accese un furioso dibattito sulla opportunità di ridurre la spesa previdenziale per avere maggiori risorse da destinare ai giovani e alle famiglie. Per Banca d'Italia la spesa pensionistica italiana è insostenibile mentre troppo bassa è quella per sanità e istruzione, decisamente al di sotto della media europea. Se il Governo assumerà il punto di vista di Banca d'Italia dobbiamo attendere nuove sforbiciate alle pensioni per favorire qualche bonus in campo socio sanitario, bonus magari da spendere nelle strutture private.
Ma è forse questo il modo migliore per spendere i soldi pubblici? Stando a quanto accaduto negli anni pandemici la risposta è ovviamente no, meglio strutture pubbliche a gestione diretta che ricorrere alle privatizzazioni.
Tanto interesse per il welfare non nasce dalla necessità di ampliarlo ma piuttosto dal renderlo compatibile con le priorità governative che oggi sono gli incentivi alle imprese, i tagli al cuneo fiscale e l'incremento delle spese militari.
Il Rapporto della Banca d'Italia (https://www.bancaditalia.it/media/notizia/il-governatore-panetta-apre-la-presentazione-del-rapporto-sulla-sussidiariet-2023-2024/ ) mira quindi a riformare la cosiddetta governance del welfare italiano, si parla esplicitamente di non accrescere la spesa pubblica ma di renderla efficace ed efficiente attraverso risparmi. Molti servizi oggi sono erogati direttamente dai Comuni che presto dovranno fare i conti con problemi di bilancio a fronte della riduzione dei fondi statali e con la spesa socio-assistenziale pro capite nelle regioni del Centro-Nord pari a quasi il doppio di quella del Sud .
Verrebbe da chiedersi la ragione di questa situazione, se la disparità dei costi è legata al fatto che nelle aree del Sud Italia molti servizi non vengono previsti ed erogati e risultano invece a carico delle famiglie. E al contempo la privatizzazione del welfare non ha forse determinato un incremento dei costi senza per altro accrescere i servizi?
Sarebbe opportuno, anzi indispensabile, aprire un dibattito pubblico attorno al welfare, farlo in fretta e con dati alla mano prima che le oligarchie economiche e finanziarie scarichino sulle classi meno abbienti i loro processi decisionali supportati da dati economici e dalle priorità Ue.