Imperialismo occidentale e Donbass: il ruolo dell'Arte. Intervista a Jorit

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Imperialismo occidentale e Donbass: il ruolo dell'Arte. Intervista a Jorit


Pubblichiamo l'intervista all’artista italiano Jorit, condotta da Faina Savenkova (Lugansk) e da Marinella Mondaini, che ha curato le traduzioni russo-italiano e viceversa.


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di Marinella Mondaini e Faina Savenkova



- M.M.: Buongiorno Jorit. Come stai? Grazie per aver accettato l’intervista con noi. Prego Faina, comincia tu con le domande.

- Faina: Buongiorno Jorit, grazie per aver accettato di fare una chiaccherata oggi con noi. Per prima cosa, come sta?

- Jorit: Benissimo e tu?


- F.: Anche io molto bene, allora possiamo iniziare l’intervista.  Perché è andato a Mariupol’? Cosa lo ha spinto?


- J.: Io già da tempo, sin dal 2014, seguivo gli eventi in Ucraina. In particolare rimasi molto colpito dalla strage di Odessa, degli amici giornalisti mi segnalarono questa strage tremenda a Odessa, e io cominciai ad interessarmi alle dinamiche che succedevano in Ucraina e da allora l’interesse è stato costante fino ad arrivare ad avere la possibilità di arrivare a Mariupol’ e realizzare un’opera.


- F.: Che impressione Le ha lasciato Mariupol’?

- J.: È stata un’impressione molto forte perché io non ero mai stato in una zona di combattimenti e quindi l’impatto è stato molto forte. Anche se ho visto una città in piena attività, tantissimi cantieri e spero che possa rinascere il prima possibile.


- F.: In Italia adesso c’è molta propaganda e inganno. Mi dica perché Lei ha creduto a ciò che dicono gli abitanti di Mariupol’?


- J.: Perché ho avuto testimonianze dirette da persone che sono state sul campo, che hanno partecipato a Doneck e a Lugansk nelle proteste popolari della gente che si è sollevata contro Kiev dal 2014 in poi, quindi l’informazione che ho avuto è stata di persone che sono state direttamente sul posto, quindi ho avuto la fortuna di sentire cose dette senza nessun interesse da persone che erano amici, sono rimasti amici e poi lo sono diventati ancora di più. Persone che hanno sempre fatto attivismo politico in Italia, quindi io non mi sono fatto ingannare dalla propaganda occidentale.


- F.: Come ha reagito la società italiana alla Sua visita a Mariupol’?


- J.: C’è stata una reazione molto forte anche perché i voleri e le idee delle popolazioni del Donbass qui in Italia non sono mai state raccontate, quindi portare avanti quello che in realtà le popolazioni del Donbass pensano, quello che sono stati i massacri dei civili del Donbass per otto anni nel dibattito e nelle discussioni in Italia, ha fatto sì che una serie di persone, i grandi nomi del giornalismo italiano dovessero in qualche modo attaccarmi per portare avanti la loro tesi, quindi sono contento che sono riuscito in qualche modo a sollevare la discussione, a far parlare tante persone di questo tema che è totalmente dimenticato. In Italia si tende a portare avanti la tesi, secondo cui questo conflitto è iniziato soltanto un anno e mezzo fa e che prima non c’è stato assolutamente nulla, e quindi raccontare quello che c’è stato prima e tutte le sofferenze delle popolazioni è stato un atto rivoluzionario in qualche modo.


- M.M.: Ti hanno accusato in Italia di aver fatto degli errori sulla valutazione degli avvenimenti nel Donbass. I cosiddetti giornalisti hanno scritto che tu non conosci la storia del Donbass e quindi hanno riportato nella domanda che ti hanno rivolto, una storia che non corrisponde alla verità, come il fake di Bucha, cioè secondo loro la responsabilità della tragedia di Bucha è da attribuire ai russi, il che è una balla colossale, inventata dalla propaganda occidentale. Cosa hai risposto a costoro?


- J.: Il punto è che, al di là di chi sia colpevole di questi morti, - non è questo il punto, in guerra purtroppo ci sono sempre dei morti, - qui in Occidente il problema è che si tende sempre a far vedere e a esaltare soltanto i morti di una parte e ignorare completamente quelli dell’altra, si tende a creare un’onda emotiva per cui si vuole descrivere i russi come i “cattivi”, gli “orchi” con la bava alla bocca, mentre noi occidentali come i “buoni”, i portatori di libertà e democrazia. Il problema non è chi ha causato i morti e come, ma il problema è che ad alcuni morti viene dato più valore rispetto agli altri. Così fanno anche con i bambini, gli uni hanno più valore rispetto agli altri, quindi le sofferenze dei bambini di una parte vengono amplificate, se ne parla ogni giorno in TV in Italia, mentre altri bambini, come quelli del Donbass, sono completamente dimenticati. La questione non è tanto stabilire chi e cosa è stato fatto, ma smascherare questa ipocrisia occidentale, che tende sempre e soltanto raccontare un lato. E ciò viene fatto non solo con questo conflitto, perché è stato fatto anche in Jugoslavia, Iraq, Libia, è un modus operandi, una strategia per poi giustificare l’intervento militare.


- F.: Perché secondo Lei l’Occidente non vuole fermare questa guerra?

- J.: L’Occidente non vuole fermare questa guerra, così come inizierà e non vuole fermare una guerra con la Cina. L’Occidente ha una tendenza intrinseca all’imperialismo e non è una novità, è un qualcosa che è radicato nella cultura e nel modo di operare che va avanti da 500 anni, penso sia parte della natura profonda del sistema occidentale, quindi questa guerra non è una guerra di liberazione, ma l’Ucraina è utilizzata come arma per colpire la Russia, perché la Russia è stata individuata dagli Stati Uniti come nemico storico, nemico da eliminare, quindi il popolo ucraino dalla parte di Kiev patisce sofferenze dovute a potenze esterne che lo stanno facendo morire per interessi maggiori, che non sono certo interessi di libertà e democrazia.


- F.: Secondo Lei, l’arte è capace di cambiare gli stati d’animo nella società, eliminare l’odio e  la cattiveria,  far fare la pace ai popoli, oppure non è possibile?

- J.: L’arte può dare un piccolo contributo, però non credo possa essere risolutivo come strumento, è uno strumento che si può utilizzare per il dialogo, per la comprensione della complessità della realtà; poi c’è la questione dell’informazione che è quella predominante, le persone pensano in base a quello che viene detto loro, quindi l’arte sicuramente può contribuire, ma non può essere l’unico strumento. 


- F.: Che cos’è per Lei l’arte? Cosa vuole dire al mondo con la Sua arte?


- J.: Per me l’arte è padroneggiare uno strumento tecnico per poter portare un messaggio, per voler comunicare delle idee e per lottare per quelle idee. Credo che l’arte come decorazione, come abbellimento sia fine a se stessa; l’arte è veramente arte quando dice qualcosa, quando porta dei messaggi importanti che possano arrivare a tutti.


- M.: Tu hai detto che disegni per la pace. Cosa ti ha portato a fare questo, quali sono i tuoi piani per il futuro e quali murales vorresti realizzare?


- J.: Io non parlo mai delle opere che ancora devo realizzare, perché mi piace spiegarle nel momento, però sicuramente continuerò l’idea di dipingere per la pace nel mio piccolissimo, provare a contribuire con dei messaggi di pace.


- M.:  Precedentemente tu hai fatto un murale su Dostoevskij, come ti è venuta questa idea? Per seconda cosa, ti vorrei chiedere se hai una passione per la Russia, so che ci sei stato, cosa ti piace di questo paese, da cosa sei stato affascinato?


- J.:  Sì, in quel caso ero davvero contrario all’idea che si doveva censurare, cancellare la cultura russa, quindi mi sembrava opportuno realizzare un’opera che difendesse invece il pluralismo, l’idea che l’arte e la cultura sono sempre al di sopra di ogni conflitto e vanno sempre difese, quindi ho realizzato il ritratto di Dostojevskij.  Mi fa sempre particolare piacere venire in Russia, girare per Mosca, è una città che mi piace tantissimo, sono appassionato della cultura russa, in particolare della storia rivoluzionaria del popolo russo, quindi venire a Mosca è un po' essere al centro di quello che penso sia stato uno, se non il più importante evento del ‘900, parlo sia della Rivoluzione del 1917, e sia della Grande Guerra contro il Nazismo (Seconda Guerra Mondiale N.d.T.)


- F.: E’ vero che c’è un atteggiamento negativo in Italia verso i russi? Perché accade questo, cosa ne pensa?


- J.: Sì, sicuramente c’è questa idea diffusa, anche se devo dire che tra la popolazione è anche diffuso un amore e un interesse verso la cultura russa, in realtà è parecchio una questione di propaganda e di idea, secondo cui, si deve nutrire dell’odio contro i russi, però una larga parte della popolazione non conosce nulla o quasi, della cultura russa e dei russi, e poi c’è anche una buona parte che apprezza i russi, che conosce le ragioni di questo conflitto e sa analizzarlo in maniera articolata e quindi non cade nella propaganda occidentale.


- M.: Secondo te, cosa bisogna fare, intraprendere per contrastare questa propaganda in Italia?


- J.: Bisogna fare quello che già molti studiosi, giornalisti o qualche politico fa, e cioè raccontare la verità nella sua interezza e non solo per gli aspetti che si vogliono far uscire fuori, dire in sostanza la verità.


- F.: Cosa ne pensa di Julian Assange?


- J.: Io penso sia una vergogna che un giornalista sia stato messo in prigione solo per aver raccontato la verità, questa è l’ipocrisia occidentale che parla tanto di democrazia e poi imprigiona un giornalista così importante.


- F.: Come noi, anche Lei è stato inserito nel sito “Mirotvorez”. Lei sa che sito è, cosa ne pensa?


- J.: Penso che se fossero stati i russi a creare un sito del genere, sarebbe stata la notizia di apertura di ogni telegiornale, invece se ne parla davvero poco. È una vergogna che esista un sito che scheda tutti coloro che vengono considerati nemici e molte persone che sono state inserite in questo sito poi sono state davvero uccise. Quindi è una cosa davvero vergognosa.


- F.: Qual è stata la Sua più grande decisione nella vita?


- J.: Questa è una domanda abbastanza impegnativa, non saprei adesso dire se è la più grande, ma sicuramente: essere stato in un territorio di guerra con tutti i rischi annessi. Ho provato a essere coraggioso, poi invece chi ci vive, quelle sono davvero le persone coraggiose, che hanno resistito per tanti anni sotto i bombardamenti, che meritano di essere apprezzate, oppure, comunque ricordate e aiutate. Io ho provato nel mio piccolo a dare un piccolo contributo.


- F.: lo vorrebbe augurare ai bambini del Donbass?


- J.:  Sembrerà banale, però sicuramente la pace.


- F.: Grazie per l’augurio e per la chiaccherata, Jorit e grazie a Marinella per aver preso parte all’intervista e per la traduzione.

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