Intervista esclusiva e inedita al Prof. Saibaba: “Nell’India odierna, il comunismo rimane una speranza”

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Intervista esclusiva e inedita al Prof. Saibaba: “Nell’India odierna, il comunismo rimane una speranza”

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Per ricordare il compagno Saibaba, professore e rivoluzionario indiano, scomparso sabato scorso, pubblichiamo per intero questa intervista inedita, che ci ha rilasciato (in esclusiva) nell’aprile del 2010.

“Nell’India odierna, il comunismo rimane una speranza”. Intervista esclusiva al professor Saibaba



Geraldina Colotti

 

“L’Asia del Sud, come il Medioriente, sta diventando un teatro di guerra di primo piano - dice il professor Saibaba al manifesto - Le classi dominanti indiane hanno fatto la guerra ai popoli del Kashmir e ai movimenti di liberazione del Nord Est per almeno sessant’anni. Ora questa guerra si è estesa alle parti centrali e orientali dell’India”. Saibaba, originario dell’Andhra Pradesh, insegna letteratura all’Università di Dehli, e rappresenta il Fronte Democratico Rivoluzionario: per il governo indiano, un organismo legato ai maoisti del Partito Comunista dell’India e alla sua espressione armata – la guerriglia naxalita -, per il professore, “una federazione di organizzazioni rivoluzionarie popolari di contadini, studenti, donne e associazioni culturali di tutta l’India, attiva in tredici stati”, perché – afferma – “la mobilitazione militante delle classi popolari di base è il solo modo per democratizzare il subcontinente dell’Asia del Sud.”.

Ci puoi dare qualche informazione biografica e professionale su di te?

Ho iniziato la mia attività politica quando ero studente, dal 1989. Facevo parte di un movimento rivoluzionario studentesco che si chiamava Unione degli Studenti Radicali (RSU), costituitosi nel 1980 nello stato dell’Andhra Pradesh: L’organismo studentesco mobilitava centinaia di migliaia di studenti su tutti i temi sociali e politici relative alle istituzioni studentesche e scolastiche. Fece lo storico appello agli studenti “Andiamo ai villaggi”. Fu un appello che rivoluzionò realmente le aree urbane nell’Andhra Pradesh. L’organizzazione fu dichiarata illegale. Parecchi dirigenti rivoluzionari furono uccisi a sangue freddo dalla polizia e dalle forze armate dello Stato. Più tardi ho iniziato a lavorare in un’organizzazione antimperialista costituitasi in India a livello nazionale, chiamata Forum di Resistenza di Tutti i Popoli dell’India (AIRPF). L’organizzazione antimperialista lavorava per mobilitare centinaia di migliaia di persone in tutto il paese in manifestazioni e dimostrazioni contro la bozza Dunkel, i suicidi dei contadini, contro le guerre imperialiste e le altre più importanti politiche antimperialiste dei governanti indiani- L’AIPRF nel 2005 si unì con altre organizzazioni simili per formare il Fronte Democratico Rivoluzionario. È una federazione di organizzazioni rivoluzionarie popolari di contadini, studenti, donne e organizzazioni culturali di tutta l’India in tredici stati. Nella maggior parte di questi stati i membri e i funzionari principali sono arrestati e incarcerati. Centinaia dei suoi funzionari o sono in carcere o lavorano sotto altra veste. L’organismo comunque opera con grande vigore. Dicono che i suoi membri hanno a che fare con il Partito Comunista dell’India (CPI, maoista) solo perché credono anch’essi nella trasformazione rivoluzionaria della società indiana. Ma questo è quello in cui crede anche la stragrande maggioranza della popolazione del subcontinente.

Qual è oggi il tuo ruolo politico?

In questo periodo la nostra organizzazione è impegnata nella mobilitazione dell’opinione democratica contro la grande offensiva militare che il Governo dell’India (GOI) ha intrapreso contro la popolazione indigena del paese, la cosiddetta Operazione Green Hunt (Caccia Verde).

Io sono professore assistente di letteratura all’Università di Dehli. Sono originario dell’Andhra Pradesh ma negli ultimi dieci anni sono residente a Nuova Dehli.

 

Quali sono le attività del Fronte Rivoluzionario Democratico dell’India?

 

Questo fronte, come dicevo prima, è una federazione di organizzazioni di massa rivoluzionarie operative a livello di base. Ciascuna delle organizzazioni costituenti lavora nei vari settori popolari per attivarli in senso rivoluzionario, per comprendere la Rivoluzione di Nuova Democrazia (NDR), mentre il fronte si focalizza su più vaste istanze politiche relative ai vari settori a livello dello stato e dell’intero paese. Il RDF intende la Rivoluzione di Nuova Democrazia come stadio in cui la società diventa democratica spezzando le catene feudali e imperialiste. Questo comporta la crescita della coscienza popolare che il sistema semifeudale, semicoloniale e reazionario sortito da duecento anni di dominio coloniale e di saccheggio continuato da parte degli imperialisti continua a mantenere nell’arretratezza. Il RDF è convinto che la mobilitazione militante delle classi popolari di base sia il solo modo per democratizzare il subcontinente dell’Asia del Sud. Il RDF è anche impegnato nella costruzione e nella partecipazione a più grandi Fronti Uniti di varie forze democratiche e antimperialiste del paese.

 

Che cosa pensi dei guerriglieri naxaliti? Mi puoi dire su quali basi e in che contesto il movimento naxalita è stato in grado di svilupparsi per un tempo così lungo?

 

Il movimento naxalita è nato negli ultimi anni ’60 come risposta allo Stato semifeudale e semicoloniale estremamente oppressivo posto in atto dopo il trasferimento del potere dai colonialisti britannici alle classi dominanti indiane feudali e compradores. Il movimento naxalita può anche essere considerato il processo che ha mutato in modo definitivo lo scenario politico dei movimenti popolari definendo e stabilendo il percorso della rivoluzione indiana. La parola “naxalita” viene dal nome del villaggio dove si mossero i primi passi verso la mobilitazione armata sotto la direzione di Charu Mazumdar. Nel maggio 1967 insorse un villaggio chiamato Naxalbari, nel distretto di Jalpaguiri nel Bengala del Nord. Simultaneamente, sotto la direzione di Kanai Chatterjee, i contadini poveri e gli indigeni tribali degli stati confinanti con il Bengal-Bihar iniziarono a organizzarsi. Anche questa regione sviluppò un movimento rivoluzionario potente. Questo evento dirompente è anche l’inizio della polarizzazione tra le forze rivoluzionarie da un lato e quelle revisioniste dall’altro, entro i partiti e i gruppi comunisti che esistevano in tutta l’India. Ecco perché fu chiamato “Tuono di Primavera”. Non appena la rivolta dei contadini tribali del Bengala del Nord scosse il mondo, le scintille di Naxalbari sparsero il fuoco della rivoluzione nella prateria di 600 regioni dell’India. La natura del movimento comunista in India è completamente cambiata con l’insorgere della lotta rivoluzionaria dei contadini di Naxalbari.

In che modo?

 I rivoluzionari indiani hanno capito per la prima volta la natura della rivoluzione indiana. I rivoluzionari hanno iniziato a organizzare i settori più oppressi dei contadini – i contadini poveri e senza terra, che nel contesto indiano sono i Dalit e gli Adivasi della vasta campagna che sta in condizioni arretrate. Il RDF lavora tra i più ampi settori delle masse per diffondere il messaggio rivoluzionario.

Da quando è iniziato il movimento Naxalbari, i più poveri dei poveri si sono posti al centro della scena nel movimento popolare in India. Lo stato ha risposto in modo brutale, e la guerra popolare di lunga durata ha iniziato a mettere radici profonde tra le masse oppresse che avevano fatto risuonare l’allarme della rivolta in mezzo a tale brutale repressione. La guerriglia naxalita, il simbolo dell’Esercito Popolare Rivoluzionario, è sorta da questo processo.

Quali sono i contorni del movimento rivoluzionario in India?

La traiettoria di sviluppo del movimento rivoluzionario in India ha diversi contorni. Gli ultimi anni ’60 sono stati il periodo dell’emergenza del movimento rivoluzionario, mentre il decennio degli anni ’70 ha visto molte scissioni tra le forze rivoluzionarie. Poi il decennio degli ’80 ha visto il movimento rivoluzionario stabilirsi in aree diverse separate l’una dall’altra, la formazione di grandi partiti rivoluzionari e la loro crescita. Il decennio dei ’90 ha visto le maggiori forze rivoluzionarie che si sono unite sviluppando una concezione comune attraverso la pratica concreta, contrassegnata da grandi sacrifici a livello di militanza di base e dal lavoro verso la formazione di un partito rivoluzionario di tutta l’India. Dall’anno 2000 in poi possiamo vedere i frutti di questo processo che ha spinto in avanti una potente corrente rivoluzionaria tra i più poveri dei poveri e che si è posta di fronte allo Stato come una forza formidabile. È vero che il processo è stato lungo e il cammino tortuoso. Il movimento è stato in grado di consolidarsi e crescere lungo quattro decenni perché ha condotto senza compromessi lunghe battaglie contro il revisionismo e il neo-revisionismo.

 

Secondo il Ministero dell’Interno il partito maoista controlla più di 200 distretti. È vero? In cosa consiste questo controllo? Sono zone liberate come quelle del Nepal durante la resistenza armata?

 

Il Ministro dell’Interno, il signor Chidambaram, esagera l’espansione del movimento con l’intenzione di demonizzarlo. È vero comunque che il movimento rivoluzionario è certamente cresciuto nelle vaste regioni della parte centrale e orientale dell’India con una forte influenza in molte altre regioni incluse le aree urbane. Il CPI(m) non ha mai dichiarato zone liberate. Ma in aree come Dandakaranya le masse rivoluzionarie hanno creato i loro governi locali distruggendo il regime reazionario. Hanno stabilito i loro propri strumenti di autogoverno con una autonomia che fa assegnamento su se stessa e un modello di sviluppo centrato sul popolo. Ci sono certe somiglianze che si possono vedere tra quello che ha fatto il popolo nepalese nel corso dello sviluppo rivoluzionario e quello che sta prendendo forma a Dandakaranya, Orissa, Jharkand e il Bengala Occidentale in India. Ognuno di questi paesi però ha la sua specificità nel movimento per acquisire la trasformazione sociale rivoluzionaria.

 

Il governo indiano ha dato il via all’Operazione Green Hunt, ma ha detto che non vuole usare la mano pesante, ossia la stessa ferocia usata nello Sri Lanka contro le Tigri Tamil. Come stanno realmente le cose?

 

L’OGH, infatti, è ispirata al successo della guerra genocida contro le minoranze nazionali Tamil dello Sri Lanka. Il governo indiano cerca di realizzare lo stesso modello, dato che ha dispiegato più di 250.000 soldati appoggiati da forze aeree contro il popolo del paese. In effetti, appena il governo di Manmohan Singh è stato rieletto nel maggio 2009, il signor Chidambaram ha parlato di una campagna “alla Sri Lanka” per combattere nelle regioni più arretrate del subcontinente indiano. La guerra genocida contro il popolo Tamil è stata combattuta dal regime Rajapaksa con l’aiuto delle classi dominanti cinesi. Ora la guerra genocida è condotta contro i più poveri dei poveri in India con l’aiuto degli imperialisti degli USA che stanno fornendo supporto logistico e la cui partecipazione è anche inclusa nei piani stesi per questa guerra. Le intenzioni sono chiare. La guerra genocida si combatte per spezzare la resistenza della popolazione indigena che non consente il saccheggio del loro ambiente naturale per i superprofitti delle corporazioni imperialiste.

In effetti, il teatro di guerra dello Sri Lanka è diventato l’osso che gli imperialisti e i loro lacchè si contendono nell’Asia del Sud. Gli USA vogliono tenere un piede nell’isola per avere il dominio strategico nell’Oceano Indiano. L’asse Cina-Russia, con il Pakistan come complice, pure ha voluto stare dentro la campagna militare cosicché nella ricostruzione post-bellica la Cina ha avuto diritto di ricostruire il porto strategico di Trincomalee. È stato naturale, dato il suo ruolo di gendarme, che lo Stato indiano avesse parte di questo genocidio. Il ruolo attivo del governo dell’India, il traffico alle spalle degli USA nella soppressione del movimento nazionale dello Sri Lanka, non è pienamente noto nel mondo esterno. Il consulente per la sicurezza nazionale dell’India e molti alti ufficiali sono volati nello Sri Lanka per coordinare la guerra di Rajapaksa contro i Tamil e hanno pure sostenuto la guerra con mezzi materiali. Per di più il governo indiano ha anche avuto l’importantissimo ruolo di distrarre l’enorme popolazione dei Tamil in India dal canalizzare la loro energia in un’unica corrente di insurrezione militante, cosa che avrebbe decisamente rovesciato la situazione nel subcontinente. C’è stato quindi molto da imparare dal genocidio dello Sri Lanka.

È vero che il governo ha dato ai capi di villaggio centinaia di telefoni cellulari per denunciare i guerriglieri?

 

Il governo indiano prima di cominciare l’OGH ha iniziato con una gang di vigilantes fascisti chiamata Salva Judum. Elementi di sottoproletariato insieme a forze statali armate fino ai denti hanno scatenato omicidi di massa fino dal 2005 contro le masse rivoluzionarie del Dandakaranya. La cosa è stata pianificata in accordo alla politica americana della Guerra di Bassa Intensità e dei Villaggi Strategici sperimentati in Vietnam e in altri posti negli anni ’70. 644 villaggi sono stati incendiati ed evacuati con l’intento di mettere le mani sopra le aree ricche di minerali da parte di un mucchio di compagnie multinazionali che hanno intenzione di estrarli secondo quanto previsto dai Protocolli d’Intesa (Memoranda of Understanding – MoUs-) che sono stati firmati. È un fatto impressionante quanto le compagnie affaristiche compradores dell’India abbiano finanziato questa campagna assassina per facilitare l’accesso senza alcun freno alla terra, alla ricchezza forestale, alle perle, ai diamanti e ai minerali, fatto riconosciuto in un rapporto del precedente governo, e talmente imbarazzante che questo governo ha deciso di insabbiarlo. Altre 300.000 persone sono state forzate a migrare fuori dalla regione ma il popolo ha combattuto eroicamente contro Salwa Judum e nei tre anni successivi ha sconfitto la Guerra a Bassa Intensità. Molti sono tornati nei villaggi. Salwa Judum è stato un fallimento completo. Ora il governo ha deciso di intraprendere una guerra diretta anziché una a bassa intensità. Questo è il risultato che possiamo vedere quando si danno cellulari e armi a sottoproletari a gruppi di banditi addestrati e spalleggiati dall’Esercito Indiano e da forze paramilitari sostenute dai capitalisti.

E ha funzionato?

Le classi dominanti indiane hanno fatto la guerra ai popoli del Kashmir e ai movimenti di liberazione del Nord Est per almeno sessant’anni. Ora questa guerra si è estesa alle parti centrali e orientali dell’India. Gli imperialisti USA e i loro compradores indiani hanno grandi piani per entrare in Nepal e sopprimere il movimento rivoluzionario. Gli imperialisti USA stanno combattendo grandi guerre contro i popoli dell’Asia del Sud, del Sud Est e del Medio Oriente. Data la loro natura, quelli che governano il subcontinente agiscono come agenti degli USA. Gli USA hanno occupato l’Afghanistan nel 2002 giusto dopo l’11 settembre e continuano la guerra contro il popolo estendendola ora al Pakistan. Bombardano ogni giorno parecchie regioni del Pakistan nella cosiddetta Guerra al Terrorismo.

In qualche modo possiamo vedere che l’Asia del Sud sta diventando un teatro di guerra principale, a fianco del Medio Oriente. L’OGH andrebbe vista come una parte della più vasta guerra delle forze imperialiste impantanate nella crisi economica che si sta aggravando e che loro stessi hanno creato, animati dalla brama di un saccheggio delle risorse molto più violento come unica via per facilitare l’ingordigia insaziabile del capitale moribondo – quello del “surplus massimo”. L’Asia del Sud è però anche stata centro della tempesta dei movimenti rivoluzionari e di liberazione nazionale. Questo è molto importante e centrale per capire quale sarà la futura traiettoria in cui si configurerà la resistenza popolare.

 

In Nepal, il partito comunista maoista di Prachanda ha sostenuto le rivendicazioni d’indipendenza dei popoli nativi. Che parte hanno le rivendicazioni d’indipendenza o d’identità nel programma dei comunisti naxaliti?

Non posso rappresentare i maoisti indiani né parlare per loro. Posso solo dirti quello che c’è nei loro documenti e che è di dominio pubblico. Negli ultimi pochi anni la loro visibilità pubblica è particolarmente significativa e sono ascoltati da un’area in cui si intersecano vasti settori popolari.

 

I maoisti indiani fino dagli anni ’70 hanno sostenuto un vasto numero di Movimenti di Liberazione Nazionale. Hanno sostenuto la popolazione del Kashmir, del Manipur, del Meghalaya i Nagas, gli Assamese, i Mizos, e un gran numero di Movimenti di Liberazione Nazionale per l’autodeterminazione e l’indipendenza dal giogo dell’occupazione e dello sfruttamento da parte dell’India. Affermano che il loro sostegno è incondizionato e assoluto. Hanno stabilito relazioni con ciascuna di quelle forze che hanno creato il panico tra i governanti indiani.

I maoisti in India affermano che le comunità indigene, che sono presenti in gran numero, possono sviluppare la coscienza nazionale in modo particolare nel contesto dello sfruttamento neoliberista che li ha spinti quasi all’estinzione. In queste condizioni, popoli indigeni come i Jharkhandis, i Gonds, il popolo di Kamtapur, Gorkhaland, e varie altre tribù hanno alzato la bandiera della rivolta contro i governanti indiani per l’autonomia o la secessione. Il CPI(m) sostiene tutti questi movimenti e lavora di continuo per costruire relazioni con tutti loro.

 

I popoli indigeni dell’India si chiamano Adivasi. Sono il settore popolare più oppresso del subcontinente. Molte delle aree in cui il movimento maoista è cresciuto progressivamente di forza sono aree abitate dagli Adivasi. È diventando parte dei settori più sfruttati, oppressi e maltrattati del popolo che i maoisti hanno intensificato la guerra di classe nel subcontinente.

Il CPI(m) sostiene anche le lotte dei Dalit?

 

Sì. Il CPI(m) sostiene anche le lotte dei Dalit per il rispetto di se stessi e la dignità. I Dalit, che appartengono a varie caste di “intoccabili”, occupano lo scalino più basso del sistema indiano delle caste. Non hanno alcun diritto e hanno a disposizione risorse minime. Sono il 15 % della popolazione indiana. Non è stato loro consentito di leggere e scrivere per millenni. Solo durante il dominio coloniale ad alcuni di loro è stato consentito di andare a scuola. Ma la politica coloniale dei britannici ha fatto sì che andassero a trovare i loro lacchè tra i governanti delle classi brahminiche superiori. I britannici quindi sono stati lo strumento che ha consolidato il sistema delle caste nel processo di produzione e riproduzione dello stato coloniale. Come risultato, i Dalit sono nella stragrande maggioranza analfabeti e fanno solo lavori servili. Il CPI(m) lavora prioritariamente tra di loro.

 

Come consideri la posizione dell’India nello scenario internazionale?

 

L’India è stato un alleato importante degli imperialisti USA fin dall’inizio. Le classi dominanti indiane si sono alleate anche con il socialimperialismo sovietico che c’era prima, ma questo è un aspetto secondario - una caratteristica contingente relativa alle necessità domestiche di riabilitare la sinistra revisionista di quei tempi, di cui è retaggio quello che vediamo negli stati del Bengala Occidentale, del Tripura, eccetera. Al momento, date le politiche di liberalizzazione, privatizzazione e globalizzazione, le classi dominanti indiane sono il principale alleato degli imperialisti USA. Nel gioco dei contrasti geopolitici per il potere nell’Asia del Sud, l’Unione Europea, la Russia e la Cina non sono in posizione centrale. Sono comunque contendenti potenti. Gli USA sono in posizione centrale perché si sono fatti avanti come la potenza sfruttatrice principale dispiegando la guerra, che è lo strumento principale dell’imperialismo, dall’Afghanistan al Pakistan e oltre. Gli USA hanno imposto un regime fantoccio in Afghanistan per combattere il popolo di quel paese; hanno spinto il Pakistan a fare la guerra al proprio popolo e i governanti indiani a fare la guerra contro i più poveri dei poveri del proprio paese. Allo stesso tempo gli USA sono allarmati dalla crescente potenza economica della Cina e da una Russia ringiovanita, entrambi più aggressivi militarmente. Queste forze sono anche diventate i maggiori contendenti nel subcontinente, anche se gli USA stanno ancora disperatamente tentando di mantenere la loro posizione di superpotenza economica incontrastata tramite la nuda aggressione militare.

L’India è e vuole esser il grosso bullo dell’Asia del Sud. Interviene e cerca di sopprimere tutte le nazionalità e le nazioni in quest’area. È quello che nell’Asia del Sud si chiama espansionismo indiano. Alcune forze lo chiamano imperialismo indiano. In realtà l’espansionismo indiano fondamentalmente è controllato e moderato dall’imperialismo USA nella regione continentale.

 

Il comunismo sta risorgendo solo tra i poveri e i fuori casta? Cosa significa riproporre la triade marxismo-leninismo-maoismo nell’India di oggi?

 

Il comunismo recepito come visione futura dell’umanità è arretrato tra i popoli del mondo dopo il rovescio degli esperimenti sovietico e cinese. Ma nella storia mai questa visione è sparita dalla vista, perché non c’è altra alternativa al progresso umano. Io intendo questo come parte della lotta di classe a livello internazionale: perché non c’è una parte del pianeta che sia rimasta fuori dalla globalizzazione capitalista, dalla catena di produzione in cui l’imperialismo ha fatto coincidere tutte le società umane. Cinquecento anni di storia del capitalismo sono solo una piccola parte dello sviluppo delle società umane. Tutte le precedenti epoche di sviluppo umano sono durate periodi lunghi ma con una lunghezza di vita progressivamente ridotta, quali la società primitiva, quella schiavistica, quella feudale, una dopo l’altra ovviamente con caratteristiche specifiche proprie di ogni regione continentale del mondo.

Il capitalismo tra tutte queste epoche è quello che ha avuto la vita più breve dato che l’epoca successiva, quale che sia il nome che gli diamo (comunismo) è emersa almeno come concetto 180 anni fa in forma concreta quando il marxismo è sorto ponendosi come la vera concezione scientifica in grado di comprendere il futuro delle società umane. Da allora, se ci spingiamo a guardare a fondo, le lotte di classe in tutto il mondo si sono espresse, in ultima analisi, come lotte tra capitalismo e socialismo, come via verso il comunismo.

Io non credo che il comunismo stia risorgendo solo tra i poveri e i senza casta, in questi tempi turbolenti di imperialismo aggressivo, che qualcuno chiama anche neoliberismo o globalizzazione. Certo la consapevolezza tra i settori più poveri oggi in India è più grande che mai, se uno va a guardare quello che sta scritto sui muri. Ma il comunismo non ha cessato di attrarre le menti di una grande varietà di settori che sono stati investiti dallo sfruttamento di chi comanda e che non possono sfuggire alla violenza strutturale della crisi del capitale moribondo. Il comunismo continua ad attrarre l’immaginazione di molti individui tra le classi sfruttate, anche se inizialmente solo come ideale, sia in India sia in tutto il mondo.

Nell’India odierna, membri della classe media sono una parte considerevole di quelli che vedono il comunismo come un obiettivo raggiungibile e l’umanismo liberale borghese come uno strumento che serve palpabilmente a giustificare lo sfruttamento sfrenato da parte di una manciata di oppressori in ogni paese. Non si tratta di ottimismo malinconico ma di una realtà concreta, se uno ha buon naso per sentire. Ci si potrebbe trovare d’accordo con me più facilmente se stessi parlando di questa stessa cosa con riferimento al Nepal.

La classe operaia in India è in grande confusione. Ognuno dei partiti revisionisti che stanno alla coda delle classi governanti reazionarie ha tenuto gli operai sotto controllo e si sono resi responsabili di averli spinti verso le forze di destra. Non intendo dire con questo che tutta la classe operaia in India è intrappolata in questo stato. La classe operaia è internamente divisa tra una vita tipo quella dei contadini da una parte, e la depressione piatta dell’aristocrazia operaia dall’altra.

 

È vero che più del 30% del partito maoista è composto da donne? Hanno ruolo negli organi dirigenti più importanti? Come intendono, i maoisti, il tema di genere?

 

È comprensibile che il CPI(m) abbia la percentuale più alte di donne tra i militanti di base rispetto a qualsiasi altro partito politico del paese, inclusi i partiti borghesi al governo. Dai resoconti del CPI(m) risulta che le donne costituiscono il 30%. Che la cosa non si sappia, è prevalentemente dovuto al fatto che sono un partito interamente clandestino. Ci sono fatti apertamente accertabili che confermano che, in alcune aree, le donne costituiscono il 40/50% dei quadri e dei dirigenti.

C’è un buon numero di organizzazioni di donne che si dice siano organizzazioni frontiste del CPI(m). Lo Stato indiano è ansioso di marchiare ogni organizzazione popolare come organizzazione frontista dei maoisti. Le due organizzazioni con 50.000 e più o 100.000 e più membri attivi sono rispettivamente Nari Mukti Sangh (Organizzazione per la Liberazione della Donna) e Krantikari Adivasi Mahila Sangho (Organizzazione delle Donne Tribali Rivoluzionarie).

 

Qual è la tua analisi sulla politica indiana dopo le ultime elezioni?

Le elezioni per il Parlamento indiano (Camera Bassa, Lok Sabha) si sono tenute circa un anno fa (aprile maggio 2009). La coalizione dominante, l’Alleanza Progressista Unita (UPA), guidata dal Congresso Nazionale Indiano con significativi cambiamenti al proprio interno, è tornata al potere. Dalle elezioni non è però realmente emerso alcun mandato a governare il paese per nessun singolo partito.

Con la permuta e la combinazione del gioco dei numeri, il Congresso è riuscito a mettere insieme una maggioranza semplice con la sinistra parlamentare che era rimasta tagliata fuori, e con le forze più a destra incluse nell’UPA ha formato un Governo al Centro.

 

Le elezioni in India sono una grossa farsa con un dispendio di denaro maggiore di quello che si spende per lo stesso spettacolo negli USA. Il BJP, partito chiaramente di destra e la sua alleanza NDA, sono rimasti esclusi dal potere per il secondo termine consecutivo, cosa che ha creato una grave rottura al loro interno. Ma le politiche antipopolari e pro-imperialiste di entrambe le coalizioni hanno più somiglianze manifeste che differenze rimarchevoli. Forse le differenze sono solo un gioco di semantica. Non è esagerato dire che la gran parte dei membri di entrambe le coalizioni si sono venduti le differenze al fiume! Se il NDA fosse giunto al potere difficilmente sarebbe stato diverso. Il genocidio dei più poveri tra i poveri sarebbe stato lo stesso.

La sola differenza sta nel fatto che una coalizione professa apertamente e aggressivamente l’ideologia fascista mentre l’altra fa lo stesso di nascosto. Ma il genocidio continua sullo stesso terreno, con sempre più Adivasi cacciati e uccisi, con i musulmani indicati come terroristi e perseguitati dalla caccia alle streghe, con i contadini spinti al suicidio e i giovani derubati del lavoro, lasciati senza scuola e mezzi per vivere, mentre la terra e le risorse son ipotecate al prezzo più basso.

 

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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