Iraq e Siria: bombe e menzogne USA
PICCOLE NOTE
Ancora una volta le bombe americane cadono sull’Iraq, bersagliato a fasi alterne fin dalla prima guerra irachena del 1990. E ancora una volta le bombe americane esplodono in Siria, già obiettivo di un sanguinario regime-change alimentato da Washington che ha precipitato il Paese in un abisso dal quale non si è ancora ripreso.
Vendicare e censurare
Si tratta di vendicare tre americani uccisi da un attacco delle milizie filo-iraniane a una base Usa in Giordania e l’America agisce di conseguenza, nulla importando né le cause di quanto è accaduto né le sue possibili conseguenze.
Perché se è vero che Biden ha detto che non vuole una guerra contro l’Iran, un errore di calcolo o un sabotaggio possono aprire il vaso di Pandora. Influenti esponenti dell’establishment spingono per colpire l’Iran e potrebbero far deragliare la ritorsione. Peraltro, più bombe cadranno e più aumenteranno le possibilità di cui sopra. E, a questo primo raid, ne seguiranno altri.
Istruttivo quanto ha dichiarato in un briefing John Kirby, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, il quale ha negato che gli attacchi Usa in Medio oriente siano parte di un conflitto più ampio il cui epicentro è Gaza, affermando che “c’è un conflitto in corso tra Israele e Hamas… e noi faremo in modo di continuare a dare a Israele il sostegno necessario per difendersi”.
Ma “ci sono stati attacchi alle nostre truppe e basi in Iraq e Siria ben prima del 7 ottobre – ha aggiunto – anche durante la precedente amministrazione Usa. Per quanto riguarda gli Houthi, possono affermare quanto vogliono che tutto ciò [i loro attacchi nel Mar Rosso ndr] è collegato a Gaza, ma due terzi delle navi che stanno colpendo non hanno alcun collegamento con Israele. Quindi semplicemente non è vero, è una falsità”. In realtà, hanno colpito solo navi dirette verso Israele, pur se battenti altre bandiere, ma tant’è.
Mentire per legittimare
Tale distorsione della realtà, scrive Daniel Larison su Responsible Statecraft, serve a eludere la questione centrale, cioè “che la chiave per disinnescare le tensioni regionali è porre fine alla guerra a Gaza il più rapidamente possibile”.
“[…] Kirby – prosegue Larson – ha evitato di dire che gli attacchi delle milizie contro le forze statunitensi in Iraq e Siria erano cessati diversi mesi prima del 7 ottobre, dopo l’accordo tra Stati Uniti e Iran finalizzato a uno scambio di prigionieri. È stato solo dopo il 7 ottobre che gli attacchi sono ripresi e aumentati esponenzialmente. Le milizie locali hanno tante ragioni precedenti la guerra attuale per prendere di mira le forze statunitensi, ma non si può capire l’intensità degli attacchi avvenuti negli ultimi mesi o il fatto che siano cessati durante la pausa dei combattimenti a Gaza dello scorso anno senza riconoscere che sono collegati alla guerra di Israele”.
“Lo stesso vale per gli attacchi degli Houthi. Questi non hanno lanciato una campagna contro la navigazione commerciale [nel Mar Rosso] nel corso della precedente guerra contro la coalizione a guida saudita”, iniziata nel 2014 e di fatto non ancora finita (vige un fragile cessate il fuoco). Inoltre, aggiunge Larison, “i primi attacchi Houthi successivi al 7 ottobre hanno preso di mira proprio Israele. Gli Houthi hanno poi cambiato tattica, prendendo di mira le navi commerciali, ma è chiaro che lo hanno fatto in risposta alla guerra” di Gaza.
Distinzione e distruzione
Washington continua Larison, ha tutto l’interesse a tenere distinta la guerra di Gaza dal conflitto a bassa intensità tra gli Usa e le milizie della resistenza mediorientali, perché “se riconoscessero un collegamento, sarebbe più difficile giustificare il loro sostegno incondizionato alla guerra di Israele a causa dei maggiori costi [della guerra per gli americani] e mina anche quel che dicono per legittimare l’azione militare nello Yemen contro gli Houthi”.
La Casa Bianca deve a tutti i costi evitare che gli americani prendano coscienza che appoggiare incondizionatamente Israele comporta “costi” anche per il loro Paese, continua Larison ed evitare “che capiscano che gli attacchi allo Yemen sono legati alla loro ostinata opposizione al cessate il fuoco a Gaza“. Gli è necessario che gli americani “non capiscano che i soldati Usa vengono uccisi per una guerra altrui che il presidente ha scelto di sostenere incondizionatamente”.
Le bombe e la guerra regionale
“L’amministrazione Usa insiste nel dire di voler prevenire una guerra regionale, ma non potrà evitarla se non riconosce il collegamento tra la campagna israeliana e ciò che sta accadendo altrove in Medio Oriente. Negare il legame con Gaza della guerra in Yemen ha già portato all’errore di un’escalation contro gli Houthi. Tale decisione non ha reso più sicura la rotta commerciale [del Mar Rosso], ha solo trascinato gli Stati Uniti in un’altra inutile guerra senza fine. Il presidente è sul punto di commettere un errore simile in risposta all’attacco dei droni in Giordania”.
“Gli Stati Uniti possono decidere di invischiarsi ancora di più nei conflitti mediorientali, come stanno facendo, oppure possono riconoscere l’inutilità e la follia di percorrere la strada senza uscita che hanno percorso finora. Se Washington vuole evitare il coinvolgimento in nuovi conflitti, deve respingere la via dell’escalation e deve smettere di alimentare la guerra di Gaza, che rappresenta uno dei principali motori dell’instabilità regionale”. Ad oggi il principale, si può aggiungere.
Le trattative tra Hamas e Israele proseguono. Spiragli, ma l’esito resta incerto. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.