Israele, il governo Bennett chiude la monarchia di Netanyahu

Israele, il governo Bennett chiude la monarchia di Netanyahu

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Il nuovo governo, guidato da Naftali Bennett, ha ottenuto il voto di fiducia. Nessuna sorpresa dell’ultima ora, nonostante le terribili pressioni sui membri della sua coalizione.

La lunga transizione è finita, Netanyahu è fuori, dopo dodici anni di regno ininterrotto, preceduti da anni nei quali a fasi di governo ha alternato fasi di non meno influente opposizione.

Il suo regno è iniziato a crollare nell’aprile del 2019, quando le elezioni anticipate, causate dalle dimissioni dell’allora alleato Avogdor Liberman, gli consegnarono la prima vittoria dimezzata, tale cioè da impedirgli di formare un governo.

Da allora Israele è rimasto in stallo: uno stallo che Netanyahu ha difeso strenuamente, dato che gli consentiva di conservare la carica di premier ad interim in attesa che nuove elezioni lo rompessero, sia riconsegnandogli la maggioranza perduta sia producendo un’alternativa.

La pandemia ha salvato Neytanyahu

In realtà a cambiare la situazione è stata la pandemia, che il premier ha saputo gestire con la solita maestria, costringendo di fatto il rivale Benny Gantz a tradire la sua missione alternativa per dar vita a un governo di emergenza.

Da qui il suo ultimo governo, durante il quale, però, l’alleanza con Gantz ha frenato la sua usuale spregiudicatezza (viziata, almeno a stare ai suoi nemici, da certo delirio di onnipotenza).

Freno percepito anche dal premier, che ha deciso di andare a elezioni anticipate, anche per impedire la rotazione della premiership, che secondo gli accordi sarebbe spettata a Gantz.

Da qui la quarta elezione, che Netanyahu immaginava come marcia trionfale e che invece lo ha giubilato, portando sugli scudi i suoi tanti avversari, di destra e di sinistra, che si sono coalizzati per farlo fuori.

Inizia così, ieri, il nuovo governo, guidato dal leader di un partito di ultra-destra, che induce alla prudenza quanti sono propensi a facili illusioni riguardo una possibile svolta della politica israeliana, sia interna che internazionale.

Bennett e la “follia” di Israele

Da questo punto di vista appare importante il discorso di insediamento di Bennett, che ha voluto iniziare con un immaginifico tributo a Netanyahu. Incipit necessario a smorzare tensioni, ma soprattutto ad accreditarsi come futuro leader della destra. ruolo al quale aspira da tempo.

Di seguito, Bennett si è soffermato sulla situazione del suo Stato, la cui lacerazione sociale è sotto gli occhi di tutti, con un crescendo di “odio” che rischia di far precipitare il Paese nell’abisso.

Una “follia” alla quale occorreva porre fine, compito appunto del nuovo governo, frutto di un “compromesso” che riunisce anime diverse e conflittuali. “Andremo avanti sulle questioni su cui siamo d’accordo – e c’è molto su cui siamo d’accordo, trasporti, istruzione e così via – lasciando da parte ciò che ci separa”, ha dichiarato.

Importante anche il passaggio nel quale Bennett ha sottolineato: “Salvaguarderemo lo Stato di Israele, lo Stato nazionale del popolo ebraico, come Stato ebraico e democratico”. Querelle di non poco conto, dato che per molti, in Israele e altrove, è praticamente impossibile salvaguardare l’ebraicità dello Stato e la sua democrazia senza dare pari diritti agli arabi e ai palestinesi.

I palestinesi

Proprio sui palestinesi un passaggio alquanto duro, nel quale ha ribadito la fermezza del nuovo governo verso chi non riconosce l’esistenza dello Stato israeliano, cioè Hamas ed Hezbollah. Da vedere, però, se allo stesso tempo, diventerà più leggero il giogo per i palestinesi che invece lo riconoscono e che si riconoscono in Fatah e nell’Autorità della Palestina.

Sul punto desta perplessità il cenno all’Area C, che il nuovo governo è chiamato a tutelare di più: si tratta della zona che l’Onu riconosce come palestinese e nella quale insistono gli insediamenti israeliani e che spesso è finita al centro di controversie infuocate.

Agli arabi israeliani ha dedicato parte del suo discorso, promettendo una maggiore attenzione, garantita, tra l’altro, dall’ingresso nella coalizione di un partito arabo. Pochino, ma era quanto ci si attendeva, dato che il partito in questione non ha mai brandito il nodo degli eguali diritti.

Sul punto, Bennett è stato abile, lodando Netanyahu che avrebbe fatto da “apripista” a questa possibile alleanza, ipotizzando per primo l’accordo col partito in questione.

Furbo Netanyahu, che ha teso la mano per garantirsi la sopravvivenza politica, e furbo Bennet a rilanciare la palla sul campo avverso per ciò che l’ultra-destra considera un tradimento della causa sionista.

Iran

Infine, per quanto riguarda la conflittualità regionale, non lascia ben sperare il riferimento all’accordo sul nucleare iraniano, che Bennett ha definito un “errore”. Un suo eventuale ripristino ha chiarito il premier, non coinvolgerà Tel Aviv, che “non è parte dell’accordo e manterrà piena libertà di azione”.

Ma ciò che appare come una bocciatura, se letto insieme al successivo elogio di Biden, che tale intesa sta perseguendo, sembra invece un tacito placet, dato che neanche il vecchio accordo legava in alcuna maniera Tel Aviv…

Certo, sull’Iran Bennett ha avuto parole durissime, ma purtroppo non è questo il momento in cui le armi possono essere deposte: troppo odio incrociato a separare gli antagonisti, consegnati a una feroce  guerra asimmetrica che potrà temperarsi al massimo evolvendo in una Guerra Fredda.

Insomma, cambia poco o nulla, o forse tutto, dato che lo Stato israeliano non è più una monarchia, anche se il vecchio monarca è duro a morire, e torna alla Politica, che comunque apre nuove possibilità al dibattito.

 

Ps. Il nuovo governo si insedia mentre è in corso il G7, da dove sono partiti gli usuali messaggi di congratulazioni al suo indirizzo. Forse simbolico, forse no, ma la coincidenza è da registrare.

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