John Mearsheimer: “La lobby israeliana è potente come sempre”

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John Mearsheimer: “La lobby israeliana è potente come sempre”

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di John Mearsheimer – The New Statesman

Traduzione di Antonio Gisoldi

Lo studioso americano di relazioni internazionali parla delle guerre a Gaza e in Ucraina e della competizione per il potere in Medio Oriente, in un'intervista concessa a Gavin Jacobson di The New Statesman.

Gavin Jacobson: Iniziamo con l'Ucraina. Cosa ne pensi del pacchetto di aiuti dell'Unione Europea di 50 miliardi di euro a Kiev? Farà una differenza sostanziale nella guerra contro la Russia?

John Mearsheimer: No, penso che quei soldi siano essenzialmente destinati a mantenere a galla il governo ucraino. Ciò di cui gli ucraini hanno bisogno sono armi, e quei soldi dall'UE non sono destinati ad aiutarli a comprare armi. Il denaro non è davvero il problema per quanto riguarda ciò che sta accadendo sul campo di battaglia. Quello di cui gli ucraini hanno bisogno sono un sacco di armi - artiglieria, carri armati, munizioni - e l'Occidente semplicemente non ha abbastanza armamenti da dare agli ucraini per consentire loro di stare al passo con tutto il materiale che i russi stanno costruendo e fornendo alle loro truppe. C'è sempre stato uno squilibrio nelle armi tra Ucraina e Russia, e soprattutto uno squilibrio nell'artiglieria, che conta molto in una guerra d’attrito. Ma tale squilibrio sta crescendo col passare del tempo. La radice del problema non è il denaro, ma il fatto che l'Occidente non abbia le armi disponibili da dare agli ucraini ora, o in un futuro prossimo, o nei prossimi anni.

GJ: Puoi commentare sulle divisioni ai vertici del governo ucraino? Visto da lontano, pensi che Volodymyr Zelensky sarà in grado di mantenere le cose sotto controllo?

JM: Non c'è dubbio che Zelensky sia stato gravemente indebolito. E ai fini del proseguimento della lotta al fronte, non può che essere dannoso avere questa lotta

titanica in corso tra il leader politico e il comandante in capo Valery Zaluzhny. Come ciò sarà risolto è difficile da dire. Penso che abbia gravemente danneggiato Zelensky, e penso che anche Zaluzhny sia stato danneggiato da questa scontro. Ma ai fini di generare fiducia nell'Occidente sul fatto che l'Ucraina possa resistere, fornendo una buona ragione per continuare a sostenere l'Ucraina, questo certamente non aiuta. Non aiuta nemmeno con le truppe al fronte, che vogliono credere che la leadership politico-militare a Kiev sia unita e faccia tutto il possibile per facilitare la vittoria sul campo di battaglia. Ma Zelensky e Zaluzhny sembrano più interessati a vincere la guerra l'uno contro l'altro che non a vincere la guerra contro la Russia.

GJ: Cosa ne pensi del governo ucraino che ha rinviato le elezioni presidenziali?

JM: Ha senso non tenere le elezioni, in questo caso particolare. La situazione migliore sarebbe una in cui Zelensky e Zaluzhny trovassero un accordo, e Zelensky rimanesse al potere, e la leadership politica e militare ucraina lavorasse insieme per massimizzare le prospettive di tenere a bada i russi sul campo di battaglia. Se ci fossero le elezioni sarebbero controverse, ci sarebbe una grande lotta tra Zelensky e chiunque fosse il suo avversario: riesci ad immaginare una sfida tra Zelensky e Zaluzhny, o qualcuno associato a Zaluzhny come l'ex presidente dell'Ucraina Petro Poroshenko? L'atmosfera avvelenata che circonderebbe quelle elezioni sarebbe dannosa per ciò che accade sul campo di battaglia. Tutto considerato, sarebbe meglio se l'Ucraina non tenesse le elezioni. Si è visto negli Stati Uniti sia durante la Prima che la Seconda Guerra Mondiale: i principi democratici tendono ad essere schiacciati nelle grandi guerre perché il governo opera in una emergenza estrema, e in una vera emergenza si prendono misure che sono antitetiche alla democrazia. È spiacevole, ma è necessario, nella maggior parte dei casi, per vincere la guerra. Dal punto di vista dell'Ucraina, sarebbe meglio non tenere elezioni.

GJ: Cosa ne pensi del fatto che la Russia sia cresciuta più rapidamente di tutte le economie del G7 l'anno scorso e il Fondo Monetario Internazionale prevede che lo farà di nuovo nel 2024? Questo non suggerisce che le sanzioni occidentali imposte alla Russia siano state completamente inefficaci?

JM: Sono stupito da quanto inefficaci siano state le sanzioni. Quando è scoppiata la guerra pensavo che le sanzioni avrebbero avuto un effetto negativo significativo sull'economia russa. Quasi tutti in Occidente credevano questo. Questo è il motivo per cui i leader occidentali pensavano che l'Ucraina potesse sconfiggere la Russia. Gli ucraini si sono comportati bene sul campo di battaglia nel 2022, e la maggior

parte dei leader occidentali pensava che questo, combinato con sanzioni devastanti all'economia russa, avrebbe portato a una vittoria ucraina. Ma le sanzioni, semmai, si sono ritorte contro e hanno fatto più danni alle economie europee che all'economia russa. E non credo che nemmeno le élite russe pensassero di trovarsi in una posizione così buona una volta che le sanzioni fossero state imposte. L'inefficacia delle sanzioni, oltre al fatto che l’equilibrio di potere si è spostato sul campo di battaglia dal 2022, è il motivo per cui i russi stanno prevalendo e sembra che conseguiranno una “brutta vittoria” (“ugly victory”).

(“Ugly victory” in inglese, è un termine utilizzato da Mearsheimer per definire quello che lui pensa sarà l’esito probabile del conflitto russo-ucraino: non una vittoria decisiva da parte dei russi, dal momento che non avranno modo di conquistare tutta l’Ucraina e così realizzare tre degli obiettivi di Mosca: rovesciare il regime di Kiev, smilitarizzare il paese, tagliare i legami di sicurezza di Kiev con l’Occidente. Quello che tuttavia con tutta probabilità riusciranno a ottenere i russi sarà di annettere una grande fetta di territorio ucraino, al contempo trasformando l’Ucraina (quello che ne rimane) in uno “stato superstite” disfunzionale (“dysfunctional rump state”), incapace nella pratica di creare problemi alla Russia. In questo senso Mearsheimer parla di “ugly victory”. (Nota del Traduttore).

GJ: Passando al Medio Oriente, come interpreti l’uso della forza americana nel Mar Rosso contro gli Houthi e altri proxy (agenti NdT) dell’Iran?

JM: È inutile. Gli Houthi, le milizie sostenute dall’Iran e Hezbollah stanno tutti colpendo obiettivi statunitensi e israeliani a sostegno di Hamas. Gli Stati Uniti hanno risposto usando la forza militare, anche se non contro Hezbollah, perché lasceranno questo compito agli israeliani. La domanda è: chi vincerà? Non gli Stati Uniti. Quasi tutti hanno detto fin dall’inizio che l’uso della forza militare contro gli Houthi non impedirà loro di attaccare le navi nel Mar Rosso, e loro non si sono fermati, e stanno addirittura minacciando di tagliare cavi sottomarini di fondamentale importanza. E ci sono limiti reali a ciò che la potenza americana può fare contro gli Houthi, che si dimostreranno una forza combattente tenace. Non c’è dubbio che gli Stati Uniti godano di un enorme vantaggio in termini di potenza militare pura. Ma come abbiamo imparato in luoghi come il Vietnam e l’Afghanistan, la preponderanza militare non sempre garantisce la vittoria. Certamente non garantirà la vittoria in questo caso. Quindi, le azioni americane nel Mar Rosso equivalgono a uno sforzo inutile.

GJ: Perché gli Stati Uniti non sono in grado di abbandonare l’idea che la forza soverchiante sia un modo efficace per imporre la propria volontà sul mondo? E perché non riescono a districarsi dal Medio Oriente, perché si ritrovano continuamente attratti nella regione?

JM: Non ho alcuna spiegazione del motivo per cui i leader americani non riescano a comprendere i limiti a ciò che si può fare con la forza militare. Da buon realista, capisco che uno stato voglia avere la forza militare più potente del pianeta. Ma allo stesso tempo, è importante sapere che ci sono limiti reali a ciò che puoi fare con quella forza militare. Ci sono circostanze in cui forze armate superiori possono ottenere vittorie rapide e decisive, come nella prima Guerra del Golfo nel 1991, quando gli Stati Uniti sbaragliarono facilmente l’esercito iracheno nelle pianure del deserto. Ma se mandi l’esercito americano in un posto come l’Afghanistan per affrontare i talebani col tempo fallirai, anche con tutte quelle armi a tua disposizione. Allo stesso modo, quando si combattono gli Houthi, o si affrontano queste milizie in Iraq e Siria, gli Stati Uniti non saranno in grado di usare la loro straordinaria potenza militare per sconfiggerli e porre fine al combattimento. Il nemico vivrà per combattere un altro giorno. E ogni volta che li colpisci, loro ti risponderanno. Israele si trova in una situazione simile a Gaza. L’IDF è, in termini di equilibrio militare puro, molto più potente di Hamas. Ma l’idea che eliminerà Hamas e il problema del terrorismo una volta per tutte è una fantasia. Ero nell'esercito americano durante la guerra del Vietnam e non c'erano dubbi sul fatto che l'esercito americano fosse molto più potente dell'esercito del Vietnam del Nord, più i vietcong, ma perdemmo comunque. A volte gli stati potenti perdono la guerra contro avversari molto meno potenti. È molto difficile dire perché l’establishment della politica estera americana non lo capisce? (il punto interrogativo finale è nel testo originale ma mi pare un refuso, NdT)

Il motivo per cui siamo così profondamente coinvolti in Medio Oriente è perché gli Stati Uniti e Israele sono inseparabili. Gli Stati Uniti non hanno un impegno militare formale per proteggere Israele. Ma a causa della politica interna qui non è possibile che Washington non possa essere profondamente coinvolta in quella parte del mondo. Una seconda ragione è il petrolio, la cui abbondanza rese il Medio Oriente così importante durante la Guerra Fredda, quando sovietici e americani gareggiavano per l’influenza, ed entrambi avevano truppe lì e combattevano persino guerre per procura. Ma quando la Guerra Fredda finì noi restammo, e la ragione per cui rimanemmo fu per via di Israele.

Ora, è fondamentale capire che Cina e Russia sono adesso profondamente coinvolte in Medio Oriente. La Russia, ovviamente, è già presente in Siria, mentre la Cina sta costruendo una flotta d’alto mare per proiettare potenza nella regione. Assisteremo a una competizione sulla sicurezza in Medio Oriente che coinvolgerà cinesi e russi

da una parte, e gli americani dall’altra. Gli Stati Uniti saranno sempre più interessati al Medio Oriente, non semplicemente per il loro impegno nei confronti di Israele, ma anche perché in quella parte del mondo si svolgerà la politica delle grandi potenze. Russi, cinesi e iraniani terranno un’importante esercitazione navale in Medio Oriente a marzo.

Per quanto riguarda Israele e Gaza, lo scenario da incubo è che si trasformi in una guerra con l’Iran, dove Teheran è sostenuta da Pechino e Mosca. Penso che siamo a una buona distanza da questo. Ma man mano che cinesi e russi sono sempre più coinvolti in Medio Oriente, e man mano che si vede svilupparsi questa stretta relazione tra loro e l’Iran, si corre il rischio di un’escalation. Questo sarebbe catastrofico.

GJ: Hai scritto The Israel Lobby con Stephen Walt nel 2007. Qualcosa ha cambiato la tua valutazione di ciò che hai sostenuto in quel lavoro rispetto al rapporto tra la lobby israeliana e la politica estera degli Stati Uniti?

JM: No, penso che abbiamo capito bene la storia. La lobby è potente come sempre. La grande differenza tra quando abbiamo scritto il libro e adesso è che le attività della lobby oggi sono allo scoperto in un modo in cui non lo erano nel 2007. Penso che poche persone allora sapessero molto della lobby. E pochissime persone sapevano molto dell’influenza della lobby sulla politica estera americana, soprattutto per quanto riguarda il Medio Oriente. E penso che abbiamo contribuito a svelarla e ora più persone capiscono cosa sta succedendo. La lobby è ora costretta a operare molto di più allo scoperto. Dal punto di vista di qualsiasi lobby, è meglio se può operare dietro le quinte ed esercitare un’influenza significativa che il pubblico non vede. Ma la lobby israeliana non può più operare in questo modo. Dal 7 ottobre ci sono state numerose prove che la lobby abbia giocato duro con politici e personaggi pubblici che sono spuntati fuori e hanno criticato Israele; lo si vede anche nei campus universitari, dove i lobbisti stanno facendo di tutto per disciplinare e punire chiunque osi criticare Israele.

GJ: Quanto è pericoloso l'Iran?

JM: Non è affatto pericoloso di per sé. Se si guarda cosa sta succedendo oggi si tratta degli americani che si scontrano con gli Houthi e altre milizie appoggiate dall’Iran in Iraq e Siria. Si tratta degli israeliani contro Hezbollah e Hamas. Dov’è l’Iran in questa storia? È seduto in disparte. Gli Stati Uniti hanno chiarito che non intendono attaccare l’Iran, il che rende Israele infelice. Ma l’ultima cosa che Joe

Biden vuole fare è attaccare l’Iran. L’Iran e gli iraniani hanno chiarito che non hanno alcun interesse ad entrare in un conflitto con gli Stati Uniti. Quindi gli iraniani stanno guardando gli americani risucchiati in un nuovo pantano. Teheran deve essere euforica. Il fatto è che gli Stati Uniti non sembrano avere una exit strategy plausibile, né diplomaticamente né militarmente, mentre l’Iran non è stato minimamente danneggiato da questo conflitto dal 7 ottobre.

GJ: Cosa ne pensi del ruolo della Gran Bretagna al fianco degli Stati Uniti nel Mar Rosso?

JM: Gli inglesi faranno quasi tutto ciò che gli americani vogliono che facciano. Gli americani spesso scoprono che i loro alleati non sempre sono d’accordo coi loro vari piani. Ma c’è un’eccezione a questo: la Gran Bretagna. In passato non era così. Gli americani volevano disperatamente che gli inglesi si unissero ai combattimenti in Vietnam, e gli inglesi rifiutarono. Ma penso che se oggi ci fosse una guerra in Vietnam, e il governo americano chiedesse agli inglesi di partecipare, questi ultimi si getterebbero con entusiasmo nei combattimenti. Una tale lealtà non è ragionevole dal punto di vista strategico. Soprattutto se si considera l’avvizzimento dell’esercito britannico. Non è che la potenza militare britannica stia crescendo; sembra che stia andando nella direzione opposta. E in tal caso, ci si aspetterebbe che gli inglesi riducessero i loro impegni in queste varie avventure in cui gli americani li coinvolgono. Ma questo non sta accadendo. Al contrario.

GJ: In che modo, eventualmente, la presidenza Trump modificherebbe la politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente?

JM: Trovo difficile credere che l’approccio di Trump al Medio Oriente sarebbe diverso da quello di Biden, soprattutto per quanto riguarda le relazioni USA-Israele. Trump è retoricamente più duro di Biden nei confronti dell’Iran, ma non di così tanto, e Trump non è così stupido da iniziare una guerra contro l’Iran. Trump non è un guerrafondaio. Trump si vanta di essere l’unico presidente in tempi recenti a non aver iniziato una guerra sotto il suo comando, e questo è vero. Penso che l’unico luogo in cui potrebbe esserci un cambiamento significativo nella politica estera degli Stati Uniti sia l’Europa. Penso che Trump vorrebbe ritirarsi dall’Europa, che vorrebbe porre fine alla Nato. E certamente vorrebbe lavorare più a stretto contatto con Putin per porre fine alla guerra in Ucraina. Voleva cambiare la politica degli Stati Uniti nella regione durante il suo primo mandato tra il 2017 e il 2021. Penso che, date le sue preferenze, si sarebbe ritirato dall’Europa e avrebbe messo fine alla NATO (nell’originale “put it into NATO”, ma si tratta con tutta probabilità di un refuso NdT). Ma l’establishment della politica estera, il cosiddetto “blob”, lo ha respinto.

Se vincesse ancora, questa volta Trump sarebbe determinato a prevalere sul “blob”. Crede di avere ora una squadra di politica estera da poter mettere in campo che lo aiuterà a raggiungere i suoi obiettivi in modi che sarebbero stati impossibili la prima volta.

Per quanto riguarda l’Asia orientale, non credo che si vedrà un cambiamento significativo rispetto a Biden. Quando è entrato in carica nel 2021, Biden ha seguito le orme di Trump per quanto riguarda l’Asia. Trump ha cambiato radicalmente la politica statunitense nell’Asia orientale: ha abbandonato la politica di engagement con la Cina e ha perseguito una politica di contenimento. Biden ha irrigidito questa politica e, per certi versi, è stato più duro nei confronti della Cina rispetto a quanto lo fosse stato Trump nella prima parte della sua amministrazione. La situazione è cambiata dal momento che l’amministrazione Biden cerca di ridurre le tensioni tra Pechino e Washington al fine di assicurarsi che gli Stati Uniti non finiscano in uno scontro in Asia orientale, mentre sono bloccati in Ucraina e Medio Oriente.

GJ: Quanto sei preoccupato per la memoria di Joe Biden?

JM: Ci sono ovviamente buone ragioni per chiedersi se Joe Biden abbia ora le facoltà mentali necessarie per il lavoro più impegnativo e importante del mondo. Ho 76 anni e penso sempre a questo problema perché non è possibile che non si perda un po' di colpi quando si arriva alla fine della settantina. La mia memoria, che era fantastica, si è in una certa misura erosa e non sono più così acuto come una volta. In effetti penso che Donald Trump, che ha un anno più di me, abbia perso qualche colpo, ma rispetto a Biden stia sostanzialmente andando a regime. E ciò di cui stiamo veramente parlando qui è la salute di Joe Biden nei prossimi cinque anni, perché se vince le elezioni a novembre – e saranno elezioni sul filo di lana, credo – allora il suo secondo mandato inizierà nel gennaio 2025 e finirà nel 2029 ed è molto difficile immaginarlo svolgere il lavoro per così tanto tempo. Il problema è che sarà lui il candidato democratico e non credo che nulla cambierà questo.

GJ: Sei d'accordo con il segretario alla Difesa britannico Grant Shapps sul fatto che ci stiamo muovendo “da un mondo postbellico a un mondo prebellico”? Qual è la probabilità di un conflitto su larga scala?

JM: Credo che questi commenti vegano fatti nel contesto di una possibile guerra tra Russia e Occidente, e il principale presupposto operativo alla base di questa tesi è

che Putin è in marcia ed è pronto a conquistare tutta l’Ucraina, quindi ad attaccare i paesi dell’Europa orientale e, infine, minacciare l’Europa occidentale, portandoci alla Terza Guerra Mondiale. Il punto è che è meglio sostenere l’Ucraina fino in fondo adesso e impedire a Putin di vincere in Ucraina, perché alla fine questo gli impedirà di conquistare l’Europa.

Questa è un’argomentazione assurda. Putin ha chiarito che non intende conquistare tutta l’Ucraina e non ha mai detto di essere interessato a conquistare qualsiasi altro paese dell’Europa orientale, tanto meno dell’Europa occidentale. Inoltre non ha la capacità militare per conquistare l’Europa orientale - l’esercito russo non è la seconda venuta della Wehrmacht. Anche se in Ucraina l’equilibrio di potere si è spostato a favore della Russia dal 2022, i russi stanno avendo difficoltà a respingere gli ucraini. L’idea che la Russia conquisterà più territorio non ha senso.

La ragione per cui Shapps e altri sostengono questa tesi, per cui proiettano uno scenario di Terza Guerra Mondiale, è perché vogliono mantenere il sostegno all’Ucraina. Si tratta della cara vecchia “inflazione di minaccia” (in originale threat inflation NdT), pratica nella quale gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono stati nel corso della storia molto abili. Gonfiando la minaccia russa si possono incoraggiare i diversi popoli delle nazioni occidentali a sostenere fino in fondo gli ucraini.

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