Kamala Harris, la retorica neoliberale dell’intersectional capitalism e la “democrazia” americana

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Kamala Harris, la retorica neoliberale dell’intersectional capitalism e la “democrazia” americana


di Lorenzo Poli* – 29 luglio 2024

 

“Come Procuratrice generale della California, ho affrontato una delle più grandi università private del nostro paese che truffava gli studenti. Donald Trump gestiva un college a scopo di lucro che truffava gli studenti. Come pubblico ministero, mi sono specializzata in casi riguardanti abusi sessuali. Bene, Trump è stato ritenuto responsabile di aver commesso abusi sessuali. In qualità di Procuratrice generale della California, ho affrontato le grandi banche di Wall Street e le ho ritenute responsabili di frode. Donald Trump è stato appena dichiarato colpevole di frode per 34 capi di imputazione. In qualità di ex Procuratrice generale e pubblico ministero, ho affrontato autori di reati di ogni tipo. Predatori che hanno abusato delle donne, truffatori che hanno derubato i consumatori e imbroglioni che hanno infranto le regole. Quindi ascoltatemi quando dico che conosco il tipo Donald Trump.” - questo è ciò che ha dichiarato Kamala Harris, qualche giorno fa, nel suo primo comizio da candidata Presidente degli Stati Uniti d’America.

Sarebbe bene ricordare che durante la campagna elettorale per le elezioni americane 2021, che hanno visto la vittoria di Joe Biden, non si è fatto altro che parlare animatamente di Kamala Harris come se dovesse apportare un grande cambiamento alla società americana. 

La verità è che il suo nome è stato usato come strumento di comunicazione politica per poi inaugurare un silenzio stampa sul suo nome durato tre anni, oltre ad incidere zero nelle politiche.

In questi giorni - come all'epoca - a reti unificate si sta santificando Kamala Harris per partito preso, non parlando di quello che Kamala Harris ha fatto o supportato, ma imbastendo discorsi basati sulla sola mozione emotiva. Esattamente come nel 2021, ritorna il refrain di Kamala Harris come "prima donna americana di origini indio-giamaicane vicepresidente degli USA", "progressista", "sostenitrice dei diritti umani" e sensibile al tema dei diritti civili. 

Chi conosce le vicende riguardanti il sistema industriale-carcerario, il crimine e l'immigrazione negli USA sa che Kamala Harris non è assolutamente quello che dice di essere o quello che hanno detto di lei. Oltre al pinkwashing sulla sua figura nella campagna elettorale del 2020/2021, che ha presentato mediaticamente Harris all’opinione pubblica occidentale come un’icona gay e "femminista liberale", tacendo le sue politiche transfobiche quando era procuratrice in California, bisogna ricordare che è da sempre riconosciuta dai movimenti antirazzisti come una "Iron Lady" artefice - quando era procuratrice - delle incarcerazioni di massa in nome di leggi come la “Three Strikes Law”, implementata nel 1994, e la “Stop and Frisk” Policy che, secondo la University of Dayton Law Review, continuano a prendere di mira le comunità afroamericana attraverso l’incarcerazione di massa[1]

Durante i suoi primi tre anni come procuratore distrettuale in California il tasso delle condanne è salito dal 52 al 67%, venendo soprannominata “procuratrice di ferro”. Sia da procuratrice distrettuale a San Francisco, sia da procuratrice generale in California ha difeso i metodi brutali della polizia; si è rifiutata di riaprire casi investigativi su persone disarmate uccise dagli agenti; i casi di violenze da parte della polizia sono stati di molto superiori a quelli di altre città californiane di dimensioni simili, mentre le inchieste sulla condotta degli agenti sono state molto meno. L’inclinazione verso la copertura delle forze dell’ordine ha cementato l’immagine della figura d’establishment, molto lontana dalla sensibilità delle piazze di Black Lives Matter. 

In quanto procuratrice generale in California, Harris ha sostenuto più volte la pena di morte e l’incarcerazione dei genitori che hanno figli che mostrano una recidività negli atti di violenza. Politiche che hanno contribuito ad un drastico aumento delle persone incarcerate prendendo di mira le minoranze[2].

In questi tre anni di vicepresidenza si è contraddistinta per il suo silenzio assenso alle politiche imperialiste e guerrafondaie di Biden sia verso l'Ucraina, sia verso l'Iran e l'America Latina, per non parlare del suo silenzio sull'attuale genocidio a Gaza da parte dell'esercito israeliano, giustificato dal suo appoggio verso Israele già espresso nella campagna elettorale del 2020-2021, in cui si dichiaro' contraria a qualsiasi limitazione agli aiuti militari e finanziari USA a favore di Israele, rassicurando diverse volte Netanyahu e il suo alleato centrista, il ministro della difesa Benny Gantz, del suo appoggio incondizionato. 

Harris ha partecipato per due volte alla conferenza annuale dell’AIPAC, la principale lobby filoisraeliana in USA, in cui ha dichiarato che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per la sicurezza di Israele e il diritto di Israele all’autodifesa, definendo l’AIPAC “casa della democrazia e della giustizia” e prendendo posizione contro il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni verso Israele)[3]

La candidatura di Kamala Harris alla presidenza degli Stati Uniti è un fenomeno molto complesso ed interessante allo stesso tempo che alcuni sociologhi chiamerebbero “intersectional capitalism”, ovvero “il processo sistemico di demoralizzazione e disumanizzazione dei corpi razzializzati e di genere per il loro sfruttamento per coprire le logiche di mercato e di oppressione”[4]

Si prende una persona di colore, Lgbtq+, disabile o qualsiasi altra identità che vive una subalternità e la si colloca in ruoli di potere affinchè non cambi assolutamente nulla. Al contempo però la sua l’identità diventa uno scudo per continuare a perpetrare lo stesso identico sistema, soltanto con una diversa narrazione mediatica che fa da "distrazione di massa" per rendere il personaggio più digeribile, giustificabile e legittimo.

L’identità di queste persone assume una connotazione più forte a livello mediatico rispetto a sfruttamento capitalista, interventi NATO, imperialismo, blocchi economici, sistemi d’apartheid e la loro stessa pratica politica nei confronti dei diritti umani, qualunque essa sia, che continueranno a promuovere. 

Questa strategia di comunicazione è già diventata una potente arma di silenziamento della lotta, costringendo volgarmente e banalmente la gente a doversi schierare con il "meno peggio", di fronte al tycoon repubblicano d'ultradestra Donald Trump. 

Non ci resta che dare ragione ad Umberto Galimberti[5] quando, in una conferenza su "Casa di Psiche" piu' di dieci anni fa, ha parlato della "democrazia statunitense" come esempio di "volontà di potenza". 

L'America non riconosce i tribunali della giustizia internazionale, non ritiene validi i processi alle azioni estere dei militari americane all'infuori della giurisdizione USA, detiene ancora molti prigionieri politici come il nativo Lakota Leonard Peltier, reprime giornalisti che non condivide (caso di Julian Assange), pratica ancora la pena di morte, mantiene un lager a cielo aperto come Guatanamo occupando un territorio extra-nazionale, non ha sottoscritto il Protocollo di Kyoto sul tema dei gas-serra e soprattutto non ha alcuna intenzione di firmare il Trattato ONU per la Proibizione delle Armi Nucleari. Questo gli USA lo posso fare non perché sono democratici, ma perché sono una superpotenza che può dettare leggi al di là del bene comune di tutto il mondo. 

Sappiamo benissimo che, in qualunque caso, chiunque vinca porterà avanti senza fine le volontà dell'unipolarismo a trazione atlantista e le sue guerre senza variazioni sostanziali di programma tra Repubblicani e Democratici. Nonostante ciò tutta l'euro-anglo-sfera si fa continuamente abbindolare, affascinare e appassionare dalle campagne elettorali USA come se fossero un evento unico nel suo genere, mentre in realtà sono solo un fenomeno scontato e prevedibile, oltre ad essere un prodotto di comunicazione politica in nome del marketing pubblicitario. 

Ecco dunque che il Times dedica una copertina a lei, Kamala Harris, che entra in scena mentre Biden se ne va. 


 
NOTE:

[1] https://websterjournal.com/2020/09/10/kamala-harris-is-a-prison-abolitionists-worst-nightmare/

[2] https://www.pressenza.com/it/2020/11/incarcerazione-di-massa-contro-le-comunita-afroamericane-il-volto-oscuro-di-kamala-harris/

[3] https://www.invictapalestina.org/archives/40796

[4] Susila Gurusami, “Intersectional capitalism and the calculations of human life”

[5] https://youtu.be/bUIncKD8Cj8?si=gofA6eLplGPocP5c

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