La soluzione finale per i palestinesi si chiama deportazione "umanitaria"

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La soluzione finale per i palestinesi si chiama deportazione "umanitaria"




di Clara Statello per l'AntiDiplomatico


Si scrive emigrazione volontaria, si legge eliminazione totale e definitiva dei palestinesi da Gaza. Israele ha finalmente annunciato la sua soluzione finale per il “problema”: la pulizia etnica attraverso il trasferimento dei residenti in altri Stati. A differenza dei nazisti, però, i ministri israeliani utilizzano termini più smart, come “reinsediamento”, “assorbimento” e “soluzione corretta”. Quando l’ultimo “emigrato volontario” avrà lasciato l’enclave, nessun palestinese rimasto sarà considerato innocente, un civile, un essere umano. La dottrina Dahiya verrà applicata fino alle estreme conseguenze. Su questo ci sono pochi dubbi.

Il ricollocamento dei palestinesi di Gaza in altri Paesi – ad esempio l’Egitto – per costruire nuove colonie nell’enclave, già da ottobre era un’opzione al vaglio dei ministri e dell’intelligence. Adesso è diventata una politica ufficiale chiave del governo di Benjamin Netanyahu, riferisce il Times of Israel, citando un alto funzionario israeliano.


Negoziati segreti già in corso

Lunedì 1 gennaio, durante una riunione del suo partito (il Likud), Netanyahu ha annunciato di essere al lavoro per facilitare l’emigrazione volontaria degli abitanti di Gaza verso altri Paesi.

“Il nostro problema è trovare Paesi disposti ad assorbire gli abitanti di Gaza, e ci stiamo lavorando”.

Così ha detto il primo ministro israeliano in risposta al deputato Danny Danon, lo stesso che, lo scorso novembre, in un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal, aveva chiesto ai Paesi di tutto il mondo di “creare piani di ricollocazione e accettare un numero limitato di famiglie di Gaza che hanno espresso il desiderio di trasferirsi”.

Un Paese avrebbe già accettato, mentre con gli altri sarebbero in corso negoziati segreti per l’ “assorbimento”. "Il Congo sarà disposto ad accogliere migranti e siamo in trattative con altri", ha detto al quotidiano israeliano una fonte importante del gabinetto di sicurezza.


La deportazione “umanitaria” dei palestinesi

Il ricollocamento dei palestinesi di Gaza è fortemente sostenuto dal ministro dell’Intelligence di Israele,  Gila Gamlian, che chiede a tutto il mondo di mobilitarsi per supportarlo.

“Il problema di Gaza non è solo un nostro problema. Il mondo dovrebbe sostenere l’emigrazione umanitaria, perché è l’unica soluzione che conosco”, ha detto all’agenzia Zman Israel, citata dal Times of Israel.

Utilizza l’aggettivo “umanitario” perché, a suo dire, l’evacuazione da Gaza libererà i palestinesi dalla “tirannia di Hamas”e darà loro l’opportunità di ricostruire le proprie vite. Lo ha spiegato martedì alla Knesset, il parlamento israeliano, durante la presentazione del “piano” che prevede la mobilitazione della comunità internazionale per creare un pool di paesi che accolgano i rifugiati in cambio di un pacchetto di aiuti.

“E’ il programma migliore e più realistico per il giorno successivo alla fine dei combattimenti”, afferma.

Dopo la guerra, secondo le sue previsioni, non resterà molto a Gaza. Ogni istituzione in grado di amministrare l’enclave e avviare la ricostruzione sarà distrutta, il 60% dei territori agricoli sarà convertito in zona cuscinetto, non ci sarà lavoro e i residenti resteranno rinchiusi su piccoli territori isolati fra loro.

Da qui la “volontarietà”dell’emigrazione: la trasformazione di Gaza in una Auschwitz di corpi e macerie fornirà ai palestinesi la motivazione per andare via. Per il momento, Israele li massacra per liberarli da Hamas, quindi per il loro bene, secondo la ministra.

“Con un adeguato lavoro diplomatico e di comunicazione, il sistema internazionale può essere sfruttato a tal fine”. Ne è certa.


Gaza il Lebensraum di Israele

Per il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir la guerra offre “un’opportunità per concentrarsi sull’incoraggiare la migrazione dei residenti di Gaza”. Davanti a giornalisti e ai membri del suo partito Otzma Yehudit, definisce il ricollocamento questa politica “una soluzione corretta, giusta, morale e umana”.

Alle critiche degli Stati Uniti ha risposto con un post su X:

“Non siamo un’altra stella della bandiera americana, faremo ciò che è meglio per lo Stato di Israele: la migrazione di centinaia di migliaia da Gaza consentirà agli abitanti dell'enclave di tornare a casa e vivere in sicurezza e proteggerà i soldati dell'IDF”.   

Israele non solo non dovrà ritirarsi dalla Striscia di Gaza, ma dovrà necessariamente ripopolarla con insediamenti. Questa posizione è condivisa anche dall’altro ministro di estrema destra, Belazel Smotrich. Intervenendo lunedì alla riunione del suo partito, Smotrich ha detto che la “soluzione corretta” al conflitto israelo-palestinese in corso è “incoraggiare la migrazione volontaria dei residenti di Gaza verso Paesi che accetteranno di accogliere i rifugiati”.  Israele dovrà mantenere il controllo permanente del territorio anche con politiche di re-insediamento.

Il parlamentare arabo-israeliano veterano Ahmad Tibi ha paragonato i progetti per Gaza di Smotrich e Ben Gvir, agli appelli nazisti per il “Lebensraum”.

L’ex ministro della Difesa Avigdor Liberman, adesso leader del partito di opposizione Yisrael Beytenu, ritiene che lo spazio vitale di Israele non debba limitarsi a Gaza, ma estendersi a Nord.

“Tutto ciò che si trova tra il Litani e Israele deve essere sotto il controllo dell’IDF”, ha detto lunedì, secondo quanto riporta il Times of Israel.

Suggerisce che l'esercito israeliano costruisca una zona cuscinetto militarizzata nel Libano meridionale e spinga Hezbolla a nord finché a “Beirut ci sarà un governo che saprà esercitare la propria sovranità".

Questi piani che finora erano considerati una visione marginale dei gruppi di nazionalisti più retrivi, sono ormai diventati egemonici e sostenuti dalla maggior parte delle forze politiche israeliane, anche dai “centristi”.


Il piano in cinque fasi del Likud

Martedì Danon ha presentato ad una conferenza alla Knesset il suo piano in cinque fasi per l’evacuazione di Gaza:

  • smobilitazione,
  • creazione di una zona cuscinetto di sicurezza,
  • presenza israeliana al valico di frontiera di Rafah tra Gaza ed Egitto,
  • emigrazione volontaria
  • sradicamento del terrorismo

Dalla formulazione stessa del piano, si desume che verrà adottata una “presunzione di terrorismo” per i palestinesi che rifiuteranno di lasciare la propria terra. Saranno considerati membri o complici di Hamas e dunque legittimi obiettivi militari, secondo la dottrina Dahiya.

 "Dobbiamo mostrare determinazione e forza e continuare sulla strada che abbiamo iniziato”, ha detto esprimendo la propria contrarietà ad una“soluzione chirurgica”.

Danon è uno dei principali sostenitori della pulizia etnica di Gaza, ribattezzata con l’espressione più friendly di “emigrazione volontaria”. Assieme ad un altro collega della Knesset, Ben Barak, a novembre invocava questa “soluzione” sul Wall Street Journal, ovviamente per il bene dei palestinesi:

“ Le risoluzioni delle Nazioni Unite non stanno facendo nulla di tangibile per aiutare i residenti di Gaza. È fondamentale che la comunità internazionale esplori potenziali soluzioni per aiutare i civili coinvolti nella crisi […]I Paesi di tutto il mondo dovrebbero offrire un rifugio ai residenti di Gaza che cercano di trasferirsi”.

Il vero obiettivo di Israele

Danon e Barak non hanno la paternità della “soluzione corretta” per Gaza. A fine ottobre, sempre il Times of Israel, rivelava l’esistenza di un concept paper del ministero dell’Intelligence con la proposta di trasferire 2,3 milioni di residenti di Gaza in una tendopoli allestita all’uopo nel deserto del Sinai, in Egitto.  Il documento ha la data del 13 ottobre. Lo stesso giorno il diplomatico israeliano Danny Ayalon ha dichiarato ad Al Jazeera che per i civili di Gaza c'è "spazio infinito" nel deserto egiziano del Sinai. Israele avrebbe facilitato il trasferimento con la creazione di un corridoio umanitario per un passaggio sicuro.

In realtà l’esercito israeliano considerò l’evacuazione dei palestinesi da Gaza sin da subito. Anche per questo il Cairo dispose subito la chiusura del valico di Rafa. Il trasferimento forzato di civili dalla propria terra si può configurare come una deportazione in grave violazione del diritto umanitario internazionale, qualora perda il carattere di temporaneità e diventi definitivo. L’ONU ha già avvertito Israele. Ma i ministri e i diplomatici dell’unica democrazia in Medio Oriente non si sono mai preoccupati troppo delle istituzioni di Diritto Internazionale. Attualmente sembra non esserci alcuna forza politica, di diritto o militare che possa impedire ad Israele di portare a compimento la sua soluzione finale per Gaza.


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