La causa palestinese e l'imperialismo

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La causa palestinese e l'imperialismo

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di Leonardo Sinigaglia per l'AntiDiplomatico

Mai come negli ultimi mesi è divenuto chiaro il fatto che gli imperialisti, a ogni latitudine, sono veramente solo delle “tigri di carta”. Le forze del mondo multipolare avanzano, mentre quelle dell’egemonismo statunitense sono costrette ad arretrare, a dividere le poche risorse rimaste su più fronti, senza più la capacità di concentrarle in maniera decisiva. Esse, nonostante sanzioni, attentati, “disaccoppiamenti”, minacce e aggressioni, non sono riuscite a piegare l’economia russa, a impedire lo sviluppo tecnologico cinese, a prevenire la crescita della potenza iraniana, o ad evitare che, ovunque nel mondo, da sempre più parti il loro dominio sia contestato. Il regime di Washington, che per più di due decenni ha potuto propagandarsi come stabile e imbattibile, la vera e propria “fine della Storia”, appare di giorno in giorno più debole, decadente e in via di disfacimento, sintomo di come anch’esso non sia altro che una parentesi nelle vicende umane, una parentesi che presto sarà superata.

L’inizio dell’Operazione Militare Speciale della Federazione Russa contro il regime di Kiev ha segnato un punto di svolta fondamentale, ponendo un freno materiale all’espansione della NATO nell’Eurasia occidentale e catalizzando in tutto il mondo le spinte anti-egemoniche. Il profondo significato politico antimperialista dell’intervento russo è quindi ovvio, e ormai, anche in Europa, può essere negato solo dai più scollati dalla realtà o dai partigiani del campo opposto. Una simile importanza ricopre l’ “operazione speciale” lanciata all’alba del 7 ottobre da parte della resistenza palestinese contro le forze del regime sionista. Questo attacco, inedito per potenza ed efficacia, ha infranto il mito dell’infallibilità del Mossad e della professionalità dell’IDF, con intere guarnigioni prese d’assalto ed eliminate nel giro di pochi minuti, e centinaia di combattenti uccisi o presi prigionieri.

Il regime sionista, tradizionalmente arrogante e suprematista, non avrebbe mai pensato che quelli che ritiene selvaggi subumani avrebbero osato restituirgli, per quanto in forma ridotta, il terrore che quotidianamente da decenni riversa sulla popolazione araba. Grazie al supporto tecnologico e militare iraniano, le milizie palestinesi hanno effettuato un vero e proprio salto qualitativo, di cui già da qualche tempo si intravedevano i segnali. La loro, con dispiacere di certi settori della cosiddetta “sinistra radicale”, non è più una causa disarmata e votata ad un’eroica sconfitta, ma una contestazione quasi ad armi pari del dominio sionista sui territori palestinesi. Alla rabbia per la sconfitta subita si è aggiunta quindi l’indignazione del padrone colpito dal servo ribelle, e per questo motivo la risposta di Tel Aviv è e sarà brutale e spietata, tanto nella sfera militare quanto in quella informativa.

In poche ore istituzioni, parlamenti, aziende, squadre sportive, associazioni, giornali e televisioni sono stati mobilitati a sostegno della propaganda sionista, in un’operazione mediatica di portata simile solo a quella anti-russa del febbraio 2022. Assieme alle bandiere israeliane proiettate sugli edifici e agli editoriali demenziali, ecco che, ancora una volta, la disinformazione si è imposta come paradigma per il loro intervento. Sul modello già sperimentato in Ucraina, sin dalle prime ore hanno iniziato a venir diffuse notizie raccapriccianti, atte all’unico scopo di disumanizzare la resistenza araba e giustificare la pulizia etnica apertamente perseguita dal regime sionista.

Dalla ragazza tedesca “violentata e uccisa” riapparsa poi in un ospedale di Gaza, ai “quaranta bambini decapitati” di cui nessuno ha confermato il ritrovamento, passando per i “giovani sterminati al rave” che, stando ai video, si sono trovati nel mezzo di uno scontro a fuoco nel quale è intervenuto anche un carro armato, si è davanti all’ennesima manifestazione dell’Impero della Menzogna come tale. I fatti vengono sistematicamente alterati, mistificati o decontestualizzati per sostenere la narrazione bellicista e suprematista dell’Occidente, che non contento di aver portato alla morte qualche centinaio di migliaia di ucraini, ora vorrebbe applicare la sua “soluzione finale” alla questione palestinese, con la definiva pulizia etnica dell’elemento arabo, scacciato da fame e bombe se non direttamente sterminato.

Quest’enorme assalto propagandistico trova la sua origine in due motivazioni: la “lesa maestà” dei sionisti e dei loro padroni statunitensi; l’estrema importanza politica di questo nuovo capitolo della resistenza palestinese alla luce degli sviluppi della multipolarizzazione del mondo.

La mentalità coloniale con cui l’Occidente collettivo si ostina a osservare e interpretare il mondo non può concepire l’esistenza popoli e Stati non disposti a sottomettersi al dominio di Washington, ad accettare passivamente la gerarchia che vede al vertice dell’Umanità le cricche al potere negli USA e, a scendere, i loro vari vassalli e Stati cliente. Ogni sfida al potere imperialista non è solo una minaccia per questo, ma un vero e proprio atto di insubordinazione all’ordine naturale delle cose, che stabilisce che il padrone sia padrone e che il servo sia servo. L’insurrezione dei combattenti palestinesi, avanguardia di milioni di arabi umiliati e oppressi, è condannata su un piano essenziale prima ancora che politico, e il fatto che questa non si sia limitata ad attacchi all’arma bianca, lanci di pietre e i razzi solitamente intercettati, ma si sia spinta in profondità nel territorio occupato provocando danni materiali e umani ingenti alle truppe d’occupazione ha provocato quell’indignazione e quella rabbia tipiche di ogni padrone i cui schiavi si siano ribellati. Nella mente degli imperialisti il rifiuto del loro dominio è sintomo di barbarie, di una mentalità selvaggia che può essere corretta solo con la sistematica e genocida violenza, secondo formule già sperimentate nei secoli.

La necessità di una risposta brutale e definitiva a questa “insubordinazione” è acuita dal fatto che essa rappresenta l’apertura di un nuovo e fondamentale fronte nella lotta di liberazione globale contro l’egemonismo statunitense. Lo Stato d’Israele rappresenta la principale piattaforma attraverso cui gli Stati Uniti impongono il proprio dominio sulla regione, un vero e proprio avamposto dell’imperialismo che, specularmente a Taiwan, permette la sua proiezione asiatica. Il regime suprematista sionista caratteristico dello Stato d’Israele sin dalla sua fondazione è in ciò un elemento necessario, poiché solo tramite il fanatismo ideologico e l’associazione di vantaggi materiali al perpetuarsi dell’occupazione e del regime di apartheid è possibile eliminare qualsiasi incertezza politica e impedire la saldatura tra certi settori della società israeliana e l’elemento arabo. Garantendo al cittadino ebreo privilegi economici e sociali, ci si assicura che questo, come colono, partecipi all’occupazione, propugnando finanche soluzioni genocide, giustificato in questi pensieri da un credo fanaticamente suprematista.

E’ per questo che allo sviluppo economico e scientifico d’Israele si è sistematicamente accompagnato il deterioramento delle condizioni dei palestinesi e l’inasprimento della loro oppressione: non si tratta di un “errore politico” dei governi di destra, ma un connotato essenziale di questo sistema. I pozzi chiusi dal cemento, gli ulivi sradicati, le case occupate, le perquisizioni violente, gli arresti, gli omicidi e le torture sono fatti documentati e noti al mondo, elementi di un’esistenza insopportabile che necessariamente hanno portato agli eventi attuali, che, ricalcando l’esperienza ucraina, i media nostrani cercano di presentare come gratuiti, immotivati e insensati. Serve astenersi quindi da qualsiasi moralistico giudizio sulle violenze, vere o presunte, poiché, anche se rimane inaccettabile l’uccisione di civili, ricondurre gli eccessi palestinesi a qualcosa di diverso che agli effetti della sistematica, e collettivamente partecipata, oppressione delle autorità sioniste è profondamente errato e apre spazi di pericolosa ambiguità politica. Occorre schierarsi senza se, senza ma, senza distinguo e senza premesse con la resistenza palestinese, comprendendo a pieno il dato politico di questa insurrezione sia alla luce delle contraddizioni regionali, sia di quelle internazionali.

Il teatro palestinese si sta caratterizzando come ennesimo campo di battaglia per lo scontro tra egemonismo e multipolarismo. E’ solo per la congiuntura internazionale favorevole creata dall’indebolirsi del regime statunitense che la resistenza palestinese ha potuto accumulare le proprie forze e osare mettere in pratica questo ardito piano, ed è solo tramite il progressivo intervento delle forze anti-egemoniche che la resistenza palestinese potrà ottenere dei successi. L’intervento militare di Iran, Siria ed Hezbollah è l’unico elemento che al momento potrebbe rompere lo stallo di Gaza assediata, mentre a livello diplomatico la netta e aperta presa di posizione di Russia e Cina a favore della creazione di uno Stato palestinese riconosciuto internazionalmente non è solo destinata a incontrare sempre più simpatie nel mondo, ma anche, se applicata, a portare un duro colpo al regime sionista di apartheid, promuovendone la sua decomposizione.

Occorre prendere ispirazione da quanto sta avvenendo nel mondo. Nella sempre più martellante propaganda bellicista occidentali si devono correttamente vedere i segni di un’impotenza sempre più marcata, di un dominio prossimo al suo abbattimento. E’ il momento di ampliare anche in Italia il “fronte interno”, rispondendo ad ogni loro provocazione e disinformazione con un appoggio sempre più esplicito alle forze del multipolarismo. Le vergognose manifestazioni di solidarietà al regime sionista di queste giorni devono essere accolte non solo dall’indignazione per Gaza assediata e martoriata, ma anche, e soprattutto, dall’esaltazione dei combattenti palestinesi che hanno saputo reagire e colpire l’arroganza sionista, dall’appoggio manifesto ad Hezbollah e altre organizzazioni della resistenza pronte a scendere in campo. Non è più tempo per ambiguità e distinguo: la lotta si fa sempre più acuta, e tutti saremo costretti a scegliere da che parte stare.

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