La CIA e la cosiddetta “French Theory”

Come l’agenzia di spionaggio è riuscita a creare un pericoloso clima antisovietico e antimarxista, camuffando la sua propaganda come informazione fattuale e ammorbidendo l’atteggiamento critico nei confronti della delirante politica impostasi agli albori del “secolo americano”, favorendo, inoltre, la metamorfosi delle forze politiche rappresentative del movimento operaio.

1980
La CIA e la cosiddetta “French Theory”

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di Alessandra Ciattini

Si potrebbe affermare che nulla accade per caso: l’indebolimento del marxismo è stato prodotto da molti fattori, tra i quali anche l’intervento diretto della CIA, i cui agenti (fatto sorprendente) erano dei raffinati cultori di filosofia.

Ricordo i giorni successivi all’ammainamento della bandiera rossa dal Cremlino e la sua sostituzione con quella russa. Tutti gioivano esultanti affermando che la guerra fredda era finita e che ci avrebbe aspettato un periodo di pace e di prosperità. Per quanto mi riguarda, insieme ai membri del mio ambiente culturale, non partecipai a questa gioia, convinta che la Germania dell’est era stata praticamente svenduta e la fine dell’URSS avrebbe messo in pericolo i già difficili equilibri mondiali. Non mi vanto di aver avuto ragione anzi, speravo e di avere torto e che le mie paure fossero infondate. Invece, oggi ci troviamo alla soglie di una terza guerra che sarà probabilmente nucleare, alquanto prevedibile se si conosce la natura insaziabile del capitalismo, il cui motto può così esser riassunto “dare il meno possibile, per ottenere il massimo”, o se vogliamo una citazione letteraria, così ad un certo punto esclama in Moby Dick il capitano Akab: “Il mio movente e il miei fini sono folli, ma i miei mezzi sono razionali”. Razionali nel senso che sono adeguati all’apocalittico sterminio dell’umanità o all’uccisione della balena bianca. Tra l’altro ricordo che un bomba nucleare è anche meno cara rispetto a tutte le armi sofisticate che si stanno attualmente usando.

Si può far riferimento al bel e corposo libro di Francis Stonor Saunders (“La guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti”, Fazi, Roma 1999, ora esaurito) per conoscere la  battaglia culturale condotta dalla CIA in Europa, mentre negli Usa si sviluppava l’isteria del maccartismo e si progettava di bombardare numerose città sovietiche con bombe atomiche (Drop. Shot). Battaglia culturale che aveva fomentato la diffusione della cultura e dell’arte usa, delegittimando il marxismo che nel secondo dopo guerra tanta attrazione esercitiva sugli intellettuali e sulla popolazione europea interessata allo Stato socialista.

La campagna culturale della CIA è datata 1945-1967, ma in realtà si è estesa molto più avanti nel tempo con l’aiuto di altre agenzie di intelligence (e di note piattaforme informatiche) e sicuramente continua anche ai nostri giorni, che vedono profilarsi il declino dell’egemonia usa e l’emergere di nuovi equilibri internazionali. Altri documenti importanti su questi eventi si possono trovare di M. S. Christofferson, French Intellectuals Against the Left: The Antitotalitarian Moment of the 1970s (2004).

Cominciamo col confermare quest’ultima affermazione sulla base di un documento declassificato della stessa CIA, che risale al 1985, intitolato Francia. Defezione degli intellettuali di sinistra, nel quale si tesse l’elogio di Michel Foucault, divenuto uno dei leader della nuova cultura ribelle. Foucault fa parte di un noto gruppo di intellettuali libertari, anarchici, ribelli fortemente antisovietici, attratti dal maoismo, sia pure in qualche modo vicini al marxismo, quali L. Althusser, G. Deleuze, F. Guattari, J. Derrida, A. Badiou, P. Bourdieu, R. Barthes, cui poi vengono aggiunti i destrorsi B. Henry-Levy e Andrés Glucksmann.  La CIA colloca questi autori, con l’esclusione degli ultimi due, in quella che lei stessa ha definito French Theory, i cui prodotti sono stati diffusi ampiamente in tutto il modo, divenendo una vera e propria moda culturale.

Il lancio  del post-strutturalismo antimarxista avvenne nel 1966, quando alla Johns Hopkins University fu organizzata, con un finanziamento apportato dalla Ford Foundation, una conferenza, alla quale furono invitati per la prima volta negli Usa Roland Barthes, Jacques Derrida, Jacques Lacan e altri. Questo evento ha fatto della Johns Hopkins lo strumento di diffusione del pensiero francese contemporaneo nel Nord America. Fu organizzata senza badare a spese da René Girard, noto per la sua teoria dell’origine della società, allora presidente del dipartimento di lingue romanze e professore emerito alla Stanford University, da Eugenio Donato, ex studente laureato poi docente della John Hopkins, Richard Macksey, direttore del centro di scienze umane. Tra i relatori c'erano Roland Barthes, Lucien Goldmann (l’unico vero marxista), Jean Hyppolite, Jacques Lacan, Charles Morazé, l'ex docente della Johns Hopkins Georges Poulet, Guy Rosolato, Nicolas Ruwet, Tzvetan Todorov, Jean-Pierre Vernant, e il docente della Johns Hopkins Neville Dyson-Hudson, i già citati Donato, Girard e Macksey. Furono invitati 100 studiosi statunitensi e altri studiosi provenienti di otto paesi. La sala era gremita e alla fine si dovette allestire una trasmissione a circuito chiuso in una sala vicina.

Qualche parola su questi pensatori francesi, in primis su L. Althusser che solo in parte può esser loro accostato a questi ultimi. Il suo marxismo ha suscitato ampi dibattiti: è stato criticato per averlo privato della dialettica, dell’umanesimo, del concetto di alienazione e di aver sostenuto un maoismo tutto parigino, proprio quando ci era stato un riavvicinamento tra Usa e Cina in funzione antisovietica.  Quest’ultima osservazione è stata formulata dalla studiosa marxista dell’Università statale di Mosca, la quale in un interessante libro, intitolato “Practicing the Good: Desire and Boredom in Soviet Socialism”, University of Minnesota Press, Minneapolis (2020), aggiunge che tutti questi autori, strutturalisti e post-strutturalisti così pubblicizzati, hanno in comune il disinteresse per la società sovietica, per i suoi sviluppi e la sua cultura. Essi si sarebbero fermati al 1922-1923, ossia alla scomparsa di Lenin, dopo di che tutto ciò che avviene nella società sovietica diventò per loro inaccettabile e sconosciuto.

La maggior parte di questi autori non aveva mai partecipato alle mobilitazioni dei lavoratori ed erano scettici verso i moti studenteschi, eppure sono stati propagandati dall’industria culturale e presentati come teorici radicali del ’68. Secondo Gabriel Rockhill, che costituisce la nostra fonte principale, In realtà, Foucault non partecipò al maggio, né solidarizzò con gli studenti e ciò perché aveva partecipato alla scrittura della contro-riforma universitaria gaullista fatta dal ministro Fouchet, contro cui si opponevano gli studenti. Tuttavia, egli considerato un dandy violentemente anti comunista, successivamente riconobbe il suo debito verso le mobilitazioni. Durante il maggio il centro di ricerca, diretto da R. Aron, aperto collaboratore della CIA, dove lavorava Bourdieu restò aperto e quest’ultimo continuò tranquillamente le sue attività didattiche. Derrida, studioso di Heidegger, partecipò a qualche protesta, ma si dichiarò ostile al marxismo althusseriano, allo spontaneismo degli studenti, al PCF e affermò persino che per lui il concetto di classe era incomprensibile. Da parte sua, Lacan sostenne gli studenti, fornì un appoggio finanziario e firmò petizioni, ma era assai scettico verso gli obiettivi del movimento. Barthes partecipò ad alcuni dibattiti, ma non si sentiva integrato in quegli eventi. Althusser adottò in forma moderata la posizione del PCF, secondo cui non ci si trovava in una situazione rivoluzionaria, ma sottolineò l’importanza della lotta dei lavoratori, che organizzarono in quei giorni uno sciopero di 10 milioni di persone. Lévi-Strauss definì il maggio ripugnante e si allontanò dal Quartiere Latino, teatro delle mobilitazioni. Deleuze si distinse per la sua dichiarazione reazionaria: tutte le rivoluzioni falliscono, devi essere un idiota per non saperlo.

Ma torniamo all’attività della CIA. Dal citato documento della CIA consultabile in internet (sito della stessa https://www.cia.gov/readingroom/document/cia-rdp86s00588r000300380001-5) si ricava che l’agenzia di intelligence è convinta che la cultura e la teoria siano armi cruciali per difendere e perpetuare gli interessi degli Stati Uniti in tutto il mondo, contraddicendo la visione alquanto diffusa dell’accademia. Pubblicato in seguito al Freedom of Information Act (1967), il documento  sottolinea il monopolio della sinistra francese nell'immediato dopoguerra a cui, come si è visto, la CIA si opponeva con tutti i mezzi, volendo demolire l’immagine del ruolo chiave avuto dai comunisti nel resistere al fascismo e nel vincere la guerra contro di esso. Sebbene la destra, compreso il capitale usa, fosse stata massicciamente delegittimata per  il suo contributo al regime nazista e ai campi di sterminio, oltre che per il suo programma xenofobo, anti-egualitario e fascista (secondo la descrizione della stessa CIA), gli agenti segreti anonimi, redattori dello scritto, esprimono tutta la loro soddisfazione per il ritorno della destra a partire dall'inizio degli anni '70.

Più esattamente questi oscuri personaggi approvano spudoratamente, anche grazie al loro lavoro, il fatto che gli intellettuali francesi abbiano cominciato a guardare con sospetto all’URSS e al contempo ad apprezzare la cultura e la democrazia usa. In quegli anni, infatti, si registra un progressivo allontanamento dallo stalinismo e dal marxismo,  mentre gli intellettuali non più engagés si disinteressano delle questioni politiche cruciali e lasciano i partiti della sinistra; processi generati dalla demonizzazione della figura di Stalin e della storia dell’URSS, su cui ancora oggi occorre fare chiarezza. A destra, invece, conquistarono spazio i cosiddetti nuovi filosofi, gli storici revisionisti, ancora oggi schierati con il nefasto imperialismo usa, i quali con un generoso sostegno hanno lanciato una campagna di diffamazione, supportata dai padroni dei media, contro la Rivoluzione francese, contro ogni movimento egualitario, contro il socialismo e il marxismo, distorcendone l’immagine e la stessa natura. Il cosiddetto intellettuale engagé alla Sartre non è più di moda e con esso viene accantonata tutta la produzione letteraria, filosofica, cinematografica interessata alla questioni sociali, in nome della teoria estetica l’arte per l’arte. I consumatori di questi prodotti intellettuali sono rappresentati da quello strato medio e piccolo-borghese, sorto nel secondo post guerra, che metteva in discussione i valori tradizionali ed era portatore di un’etica trasgressiva, che probabilmente la crisi attuale farà scomparire.

Mentre questo accadeva in Europa, i rappresentanti del cosiddetto mondo libero, ossia altre appendici della CIA, operavano nei vari continenti per rovesciare capi di Stato, per sostenere dittatori fascisti e addestrare le forze repressive, per organizzare interventi militari aperti o sotto copertura. Non si può negare che questi agenti, che lavoravano attivamente per spostare intellettuali, autori di pagine spesso oscure e contraddittorie, non certo di facile lettura, dovevano essere a loro volta degli intellettuali raffinati. Lo scopo del loro lavoro era che tale spostamento sarebbe stato utile alla politica interna ed estera statunitense, che avrebbe potuto confrontarsi con una sinistra compatibile e votata all’inazione, ben rappresentata anche dalla Scuola di Francoforte. E purtroppo avevano ragione, come possiamo ricavare dall’assenza di una costante e significativa mobilitazione contro le guerre, le catastrofi, i massacri che avvengono sotto i nostri occhi.

Un loro obiettivo primario era rappresentato da Sartre, simbolo di impegno e di atteggiamento critico, che rifiutò persino il Premio Nobel, mostrando di aver capito assai bene come funzionano le cose nel mondo della “libertà culturale”.

Gabriel Rockhill, che ha studiato a fondo questi processi, menziona una pagina di Greg Grandin, uno dei principali storici dell'America Latina, tratta da The Last Colonial Massacre. Latin America in the Cold War (seconda edizione, The University of Chicago Press 2011): "Oltre a fare interventi visibilmente disastrosi e mortali in Guatemala nel 1954, nella Repubblica Dominicana nel 1965, in Cile nel 1973 e in El Salvador e Nicaragua durante gli anni '80, gli Stati Uniti hanno prestato un silenzioso e costante sostegno finanziario, materiale e morale a Stati terroristici contro-insurrezionali assassini. […] Ma l’enormità dei crimini di Stalin garantisce che storie così sordide, non importa quanto avvincenti, approfondite o schiaccianti, non turbino le fondamenta di una visione del mondo impegnata nel ruolo esemplare degli Stati Uniti nella difesa di ciò che oggi conosciamo come democrazia”.

In definitiva, l’immagine demonizzata, appositamente costruita dell’URSS e dei suoi leader, era ed è un ottimo strumento per giustificare qualsiasi spietatezza e violazione dei tanto sacri diritti umani, come ci insegna Rampini che ci invita a ringraziare l’Occidente di tutto quello che ci ha dato. Ingenuità o voluto inganno?

Molti degli autori citati erano stati, sia pure con posizioni diverse vicini al marxismo (peccato giovanile ritenuto veniale), lo avevano utilizzato come metodo nelle loro analisi sociologiche, poi se ne erano allontanati. Ora, secondo la CIA, per questa ragione questi autori possono essere usati perfettamente per denigrare l’ormai ingenuo ideale di uguaglianza prima adottato e difeso, di radici illuministiche. Queste critiche colpiscono i vari movimenti, soprattutto giovanili, che in nome di questo principio si battono contro la prepotenza imperialista, contro l’espansionismo della NATO, il sionismo etc.

Questa battaglia ci fa comprendere la strategia del potente servizio segreto usa volta a disgregare la sinistra marxista ovunque, pur sapendo che sarebbe stato impossibile cancellarla dalla storia, perché essa sorge dalle stesse contraddizioni del sistema capitalistico. Essa ha operato per allontanare la cultura marxista dal radicale anticapitalismo, facendola emigrare verso posizioni riformiste di centro-sinistra, più indulgenti nei confronti delle politiche estere e interne degli Stati Uniti, fino ad adottare l’attuale scandaloso atteggiamento di piena sudditanza. Mettendo in discussione l’anticapitalismo è riuscita anche a frammentare tutta la sinistra, che del resto si è trovata indebolita anche dalla dissoluzione del cosiddetto socialismo reale e dal trionfo iniziale del neoliberismo, che oggi mostra il suo vero volto. Socialismo reale, del resto ampiamente studiato dalla stessa CIA (come mostrano numerosissimi documenti), che potrebbe aver influito anche sulle sue contraddizioni.

Dobbiamo adottare questa prospettiva se vogliamo comprendere l’interesse dell'intelligence usa per gli ex marxisti che avrebbero creato una nuova teoria veramente rivoluzionaria e libertaria. Rockhill cita testualmente un’affermazione di questi agenti: "Ancora più efficaci nel minare il marxismo sono stati quegli intellettuali che, pienamente convinti, hanno cercato di applicare la teoria marxista nelle scienze sociali, ma hanno finito per ripensare e rifiutare l'intera tradizione". In particolare, sottolineano lo straordinario contributo fornito dalla nota scuola storiografica e strutturalista degli Annales, oltre che da Lévi-Strauss e Foucault, iscritto tra il 1950 e il 1952 al PCF, allo smantellamento dell'influenza marxista nelle scienze sociali. Sempre riportando l’analisi di Rockhill, per la CIA Foucault sarebbe "il pensatore più profondo e influente della Francia", ed è apprezzato per essersi schierato dalla parte degli intellettuali della Nuova Destra. A parere di Rockhill questi ultimi avrebbero avuto il merito per la CIA di mettere in luce le spaventose conseguenze  che sarebbero state il frutto delle teorie sociali razionaliste dell'Illuminismo e dei moti rivoluzionari, che avrebbero dato vita ad una società assai peggiore di quella capitalistica.  Luckács definirebbe questo metodo un’apologia indiretta alla Nietzsche, che criticando ogni possibilità trasformativa della società, ci lascia prigionieri di quest’ultima senza armi per uscirne.

In definitiva, soprattutto con l’affermazione della controrivoluzione liberista, l’agenzia di spionaggio è riuscita a creare un pericoloso clima antisovietico e antimarxista, camuffando la sua propaganda come informazione fattuale e ammorbidendo l’atteggiamento critico nei confronti della delirante politica impostasi agli albori del “secolo americano”, favorendo, inoltre, la metamorfosi delle forze politiche rappresentative del movimento operaio. Proprio in virtù di questa trasformazione quest’ultime non sono state in grado di criticare in maniera radicale -e di fatto non lo sono - i progetti imperialisti, iniziati con lo smembramento dell’Jugoslavia e che oggi ci hanno condotto all’orlo di un conflitto nucleare.

A ciò bisogna aggiungere la radicale trasformazione delle istituzioni culturali, dei media, dell’industria culturale, tutti falsamente liberi, i quali sono in grado di trasformare un autore mediocre in un pensatore rivoluzionario. Basti pensare allo straordinario successo di quel famoso libro, ancora oggi tanto citato, come “La fine della storia”, che persino l’ultimo dei giornalisti ha sempre sulle labbra.

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