La colpa della sinistra liberista

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La colpa della sinistra liberista

 

di Michele Blanco*

Se nelle ultime tornate elettorali le classi popolari hanno votato, o simpatizzano, per partiti di destra e movimenti antipolitici, i responsabili sono i tradizionali partiti di sinistra, ormai incapaci di difendere le classi più povere, che costituivano il loro serbatoio di voti. Di fronte alla globalizzazione, ed a tutti i fenomeni connessi, la sinistra tradizionale di governo non ha saputo o voluto costruire una politica fiscale basata sul principio di progressività; non ha fatto nulla per una legislazione a difesa del lavoro.
 
L'eguaglianza nei processi formativi si è fermata alle scuole secondarie, mentre la nuova economia richiedeva professionalità più elevate. Le conseguenze sulla sinistra elettorale, alla fine, sono state esplosive.
 
Questa dimostrata inadeguatezza, a livello mondiale, delle sinistre politiche a partire dalla fine degli anni Ottanta del XX secolo, ha portato un diffuso sentimento di abbandono delle classi popolari di fronte ai partiti classici socialdemocratici e similari e di conseguenza si è costituito un terreno fertile per discorsi anti-immigrati e ideologie nativiste. Fino a quando mancheranno proposte serie di politica redistributiva delle ricchezze e giustizia sociale, i partiti della sinistra tradizionali perderanno consensi. Abbiamo avuto in questi ultimi decenni una presunta “Sinistra intellettuale benestante” e una “destra mercantile” che incarnano valori ed esperienze in qualche modo complementari. E condividono anche non pochi tratti comuni, a cominciare da una certa dose di "conservatorismo? di fronte all' odierna situazione di disuguaglianza.
 
Sono evidenti le ragioni che hanno portato una parte crescente dei gruppi sociali svantaggiati a sentirsi scarsamente rappresentati (o addirittura abbandonati) dalla Sinistra che ha anche governato, per molti anni, in molte nazioni europee favorendo, solo ed esclusivamente, le elitarie classi sociali più benestanti. Sahra Wagenknecht, (Contro la sinistra neoliberale, Roma, Fazi, 2022) esponente della sinistra tedesca, considera i tipici rappresentanti della sinistra liberale “spocchiosi arroganti. ossessionati dal politically correct. Persuasi di stare sempre dalla parte del Bene, e di ciò che fa bene al pianeta”. Inoltre la sinistra di governoè “modaiola e arrogante, neoliberale e lontana dai suoi temi classici: salari, diritti, welfare”.
 
La Wagenknecht spiega con grande precisione perché la sinistra neoliberale abbia perso i voti della classe operaia: “nei quartieri più alla moda di Berlino, i figli dei professionisti e dei nuovi ricchi non incontrano più quelli del precariato; vanno in scuole diverse e i meno abbienti li vedono solo quando gli portano la posta o la cena” (p. 76). Abbiamo di fronte una società sempre più divisa a compartimenti stagni, da un lato fra chi la globalizzazione la cavalca, persone “agiate che vivono cullandosi nei loro stili di vita così verdi, ma vissuti come fossero dei dogmi, dei precetti autoritari”; dall?altra parte, la larga fascia dei perdenti dell?era digitale, chi ha bassi stipendi, un esercito del precariato e dei pensionati che, dopo aver sgobbato una vita, si ritrova a frugare nei cassonetti.
 
Conclude la Wagenknecht che “non è vero dunque che nel 21° secolo la gente abbia virato a destra. Dal punto di vista socio-economico le masse richiedono più salario, diritti e welfare, i classici temi cioè di sinistra. Peccato solo che i partiti di sinistra siano sempre più orientati a politiche e atteggiamenti neoliberali”. Inoltre “le garanzie del welfare, i sistemi sociali e sanitari funzionano solo all'interno di uno Stato nazionale. E non possono essere estese, ecumenicamente, a tutti senza pregiudicarne le prerogative”. Come la gestione statale nell?emergenza-virus ha drammaticamente mostrato.
 
Ecco perché i presunti leader “riformisti” italiani (Letta, Renzi, Calenda) non godono del consenso della classe operaia e del ceto più umile: semplicemente non lo rappresentano più! Si occupano d?altro. Il libro demolisce l'ipocrisia e “la malafede - per dirla con Sartre - di certa borghesia piena di sé” e demistifica la demagogia della loro narrazione: quel parlare di “società aperta”, mentre costruiscono muri tra le classi (cfr. pp. 163-177); quel parlare di democrazia mentre creano un?oligarchia (pp. 322-352); quel predicare la giustizia, mentre negano l?equità sociale e sono subalterni alla finanza. Questa “sinistra”, ambientalista a
parole, e attenta solo ai diritti civili, ha perso di vista i problemi più urgenti dei cittadini.
 
I neoliberali di sinistra non pongono al centro della loro azione problemi sociali ed economici, bensì domande riguardanti lo stile di vita alla moda dell?élite borghese. Ecco spiegata la crisi elettorale di una sinistra che non fa più la sinistra e non capisce quanto e fino a che punto l'esperienza di milioni di persone, oggi, “non sia più l'ascesa professionale, ma la caduta sociale o la paura che ciò accada” (p. 93). Considerazioni simili le ha espresse il noto sociologo italiano Domenico De Masi: nell'ultimo mezzo secolo i leader di sinistra hanno fatto a gara per disorientare i cittadini. Si pensi agli esperimenti di “terze vie” liberiste alla Tony Blair.
 
In Italia il disorientamento è iniziato subito dopo la morte di Enrico Berlinguer, quando le sinistre caddero in un insano innamoramento per il neoliberismo considerato come salvifica modernizzazione. Negli anni '90, con Mario Draghi Direttore generale del Tesoro e Presidente della Commissione per le privatizzazioni, la furia privatizzatrice contro le industrie di Stato e il settore pubblico non fu sferrata da leader neoliberisti come Berlusconi o Dini, ma da socialisti e comunisti come Amato e D'Alema! Il capolavoro perverso, allora compiuto sotto l'accorta regia di Draghi, negli anni successivi si è ripetuto più volte, sotto altre regie meno raffinate. Si pensi all'articolo 18, abolito non da Berlusconi, leader di Forza Italia, partito liberale e conservatore, ma da Renzi, in quel momento Presidente del Consiglio e indiscusso leader del PD.
 
Lo stesso Pd, per fare fede alla sua natura di sinistra, dovrebbe esibire con orgoglio un programma socialdemocratico ed invece fa sua l'agenda di Draghi, dopo essere stato il massimo sostenitore del suo governo. De Masi paventa che le politiche economiche, pandemia e guerra legittimano l'ipotesi che almeno 12 milioni di italiani vivranno in condizioni penose, a cui si aggiungono le centinaia di migliaia di stranieri, clandestini e non, che subiscono uno sfruttamento sistematico. Ma la questione non riguarda solo i poveri. Anche molti giovani e meno giovani che superano la soglia della povertà vivono in uno stato di precarietà perenne, imposta dalla politica economica neo-liberista che della precarietà e del rischio diffusi ha fatto i suoi princìpi fondamentali.
 
Se i partiti di sinistra non intercettano i voti delle classi popolari, dei precari e degli emarginati, che aumentano sempre di più, vuol dire che non svolgono il loro compito. Oggi la contrapposizione frontale dovrebbe essere tra neoliberismo, che si risolve fatalmente in aumento delle disuguaglianze, e socialdemocrazia che le riduce. Il fenomeno del “populismo” altro non è che il risultato delle difficoltà della democrazia liberale di affrontare il problema centrale della nostra epoca, la sensazione di insicurezza degli individui.
 
Questa è la grande questione che lascia in eredità disillusione e fallimento, e che spinge l'intera società alla disperata ricerca di nuove forme di rappresentanza, vista la poca differenza negli effetti pratici dell'alternanza nei governi di destra e sinistra. Di qui l'affermarsi di governi e relativi leader che si atteggiavano a possibili demiurghi, o spingevano alla mobilitazione e alla protesta (movimento dei gilet gialli in Francia) alla ricerca di un orizzonte, ma con rischi e pericoli sconosciuti per la tenuta democratica.
 
Nel 2013 Stefano Rodotà scriveva: “Un principio inaccettabile per la sinistra è la riduzione della persona a homo oeconomicus, che si accompagna all' idea di mercato naturalizzato: è il mercato che vota, decide, governa le nostre vite. Ne discende lo svuotamento di alcuni diritti fondamentali come istruzione e salute, i quali non possono essere vincolati alle risorse economiche. Allora occorre tornare alle parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza, libertà e fraternità, che noi traduciamo in solidarietà: e questa non ha a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale che favorisce i legami tra le persone. Non si tratta di ferri vecchi di una cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali aggiungerei un'altra parola-chiave fondamentale che è dignità”. Non si intravede un partito che si faccia carico di queste persone e dei loro bisogni e diritti.

*GIA' PUBBLICATO SU "LA FONTE, periodico dei terremotati o di resistenza umana" FEBBRAIO 2023, anno 20, pp. 8-9.

 

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