La competizione globale passa per l'Artico (anche con le manovre “Steadfast Noon”)

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La competizione globale passa per l'Artico (anche con le manovre “Steadfast Noon”)

 

 

Quali  sono le minacce che Mosca vede nelle manovre nucleari  NATO “Steadfast Noon” partite il 14 ottobre e che andranno avanti per due settimane con l'impiego di una sessantina di velivoli di 13 paesi dell'alleanza di guerra occidentale nei cieli di Gran Bretagna, Belgio, Olanda e sopra il mare del Nord?

Su Komsomol'skaja Pravda, il colonnello della riserva Viktor Litovkin, constata la presenza, nota a tutti, nelle basi yankee in Italia, Belgio, Olanda, Germania e Turchia di circa duecento bombe atomiche B61-12. Ma, soprattutto, ricorda come il Comitato di pianificazione nucleare della NATO si occupi, di fatto, pressoché di azioni non genericamente orientate, ma dirette esclusivamente contro la Russia, questo, anche a dispetto dell'accordo sulla non proliferazione nucleare, firmato anche dagli USA, che vieta a qualsiasi Stato dotato di armi nucleari di portare a conoscenza, direttamente o indirettamente, Stati non dotati di armi nucleari, su impiego, sviluppo e funzionamento di tali armi.

Ora, alle manovre prendono parte caccia multiruolo di Danimarca, Norvegia, Olanda e Belgio, che sono paesi “non nucleari”, ma i cui aerei da guerra sono dotati di dispositivi e componenti in grado di portare armi nucleari e i cui piloti sono addestrati a usare tali armi. E questa, dice Litovkin, rappresenta una flagrante violazione del trattato di non proliferazione atomica.

Tra l'altro, una delle aree interessate dalle manovre, il mare del Nord, col mar di Norvegia, confina direttamente col mare di Barents e la penisola di Kola, dove sono dislocati i i sottomarini nucleari russi, armati di missili strategici multiruolo.

Lo scopo di queste esercitazioni è dunque chiaro, afferma Litovkin: si tratta di un tentativo di «elaborare un attacco alle basi militari russe, ai territori russi di confine. E di spaventarci ricordandoci che la NATO ha armi nucleari e che l'alleanza le userà se necessario». In sostanza, tutte queste testate atomiche yankee indirizzate contro la Russia obbligano Mosca a essere «molto vigile» e al tempo stesso a ricordare a sua volta alla NATO che l'Europa costituisce un «territorio troppo compatto. E se la Russia decidesse di rispondere all'impiego di armi nucleari, dell'Europa non resterebbe nulla. E si deve anche ricordare agli USA che gli americani non potrebbero rimanersene tranquilli al di là dell'oceano».

A tutto questo, c'è da aggiungere che anche nei Paesi baltici si allestiscono basi aeree - in Lituania, a Zokniai; in Estonia, a Emari, 200 chilometri da Pietroburgo - dove sono costantemente in servizio aerei NATO in grado di portare armi nucleari. E c'è da aggiungere anche la minaccia, più volte ripetuta, di chiudere o quantomeno limitare fortemente l'accesso di vascelli russi al golfo di Finlandia, ora che, oltre ai contingenti multinazionali già da anni schierati in Estonia, a sud, anche in Finlandia, a nord del golfo, vengono allestiti due Quartier Generali NATO.

Senza dimenticare, poi, la nuova Coalizione artica di Danimarca, Svezia, Finlandia, Islanda, Norvegia e Canada che, andando a sostituire il Consiglio artico, in cui la Russia ha giocato un ruolo importante, escluderà Mosca da ogni questione di sicurezza collettiva: non a caso, proprio con questo obiettivo, Stoccolma e Helsinki sono state così velocemente ammesse alla NATO.

Per la verità, ricorda Maksim Stoletov su Stoletie.ru, i contrasti risalgono a una quindicina d'anni fa, in relazione alla crescente competizione per il controllo sulle risorse e sulle vie di comunicazione dell'Artico, il 60% delle cui acque bagna le coste di nove regioni russe. Ma, ovviamente, la questione si è inasprita dopo il febbraio 2022 e, nell'agosto di quell'anno, l'allora segretario NATO, Jens Stoltenberg, dichiarò che «la cooperazione di Russia e Cina nella regione artica non risponde agli interessi dei paesi NATO», ragion per cui l'Alleanza avrebbe rafforzato la propria presenza nell'area.

Nello specifico, Pentagono e “alleati”, oltre alle operazioni di intelligence e allarme missilistico, prevedono di dotarsi, da qui al 2030, di oltre 250 caccia multiruolo per le operazioni artiche. La NATO, insieme a una nuova strategia e alla costruzione di rompighiaccio – USA, Finlandia e Canada pianificano accordi trilaterali per la costruzione di rompighiaccio e la loro promozione sui mercati mondiali - sta valutando la possibilità di creare nella regione un centro di controllo congiunto per le operazioni aeree.

Così, il politologo Aleksej Martynov osserva che la nuova Coalizione artica costituirà un coordinamento delle azioni in materia di difesa, intelligence e minacce informatiche, mentre la cinese Global Times scrive che l'Artico sta diventando una regione di rivalità globale, con USA e Occidente che amplificano scientemente una presunta minaccia di Russia e Cina nella regione.

Il ricercatore Konstantin Blokhin osserva che l'Occidente guarda all'Artico quale teatro del «principale conflitto bellico del XXI secolo, dato che costituisce un tesoro di risorse naturali, per le quali si condurrà una lotta senza compromessi».

In effetti, l'area è ricca di idrocarburi, con il 22% delle riserve mondiali di petrolio e gas e molti metalli rari. L'economista Irina Strel'nikova osserva che ci sono oggi «più di 400 giacimenti oltre il Circolo Polare Artico, di cui 60 in fase di sviluppo, con 2/3 dei giacimenti situati nella zona russa». E negli ultimi due anni, nonostante le sanzioni, la Russia ha mantenuto in modo autonomo l'80% delle proprie piattaforme petrolifere e di produzione di gas, con la Cina, partner principale, che vi ha già investito 90 miliardi di dollari.

Si inserisce in questo quadro il progetto di una “Grande rotta marittima del Nord”, per un corridoio che colleghi Europa, Russia e regione Asia-Pacifico, da Pietroburgo e Kaliningrad fino a Vladivostok e oltre, fino ai porti asiatici, tra cui Shanghai,  il più grande al mondo in termini di fatturato cargo: lungo la rotta, nel 2023 sono state trasportate 36 milioni di tonnellate di merci.

Del resto, Mosca gestisce la più grande flotta mondiale di rompighiaccio (41 in funzione, di cui 34 diesel e 7 a propulsione nucleare: più di USA, Canada, Finlandia, Danimarca, Svezia e Cina prese insieme) e sta realizzando nell'Artico basi aeree e navali, perfezionando il sistema di copertura radar, aerea, missilistica, oltre a dotare i rompighiaccio militari di sistemi atti a portare complessi missilistici “Kalibr-K”, “Uran” e, in futuro, missili ipersonici antinave “Tsirkon”.

Restando in campo militare e ricordando il recente dispiegamento di vascelli da guerra yankee nel Pacifico, da notare che lo scorso 5 settembre sono approdati in Kamchatka i due nuovi sottomarini nucleari russi “Imperator Aleksandr III” e “Krasnojarsk”. Il secondo è una torpediniera anti-portaerei, mentre il primo è armato di 16 missili intercontinentali “Bulava” (ciascuno con 6-10 testate nucleari): una sua singola salva può distruggere 160 città. In generale, ricorda Stoletov, 20.000 km di confini russi nell'Artico sono difesi dalle flotte del Nord e del Pacifico; sistemi missilistici antiaerei a lungo raggio “S-400” e sistemi missilistici costieri “Bastion” sono dislocati lungo l'intero percorso della Rotta marittima del Nord e, in caso di guerra USA-Russia, è proprio attraverso l'Artico che passa la più corta traiettoria dei missili balistici intercontinentali.

Per questo, Washington intende «affrontare con gli alleati e i partner la sfide per garantire le operazioni alle latitudini settentrionali» e, come ha detto il generale James Hecker, comandante delle Forze aeree yankee in Europa e Africa, con l'adesione alla NATO di Svezia e Finlandia si aprono nuove opportunità per coordinare le forze dell'alleanza nell'Europa settentrionale.

Insomma, per riassumere, tocca citare il solito Bernard-Henri Lévy, il quale sostiene che l'“Impero americano” e i suoi alleati “democratici” sono sottoposti a «un potente assalto da parte di un fronte eterogeneo, ma sempre più coeso» composto da Cina, Russia, Turchia, Iran e Islam radicale, così che si è già entrati nella fase iniziale di una nuova guerra mondiale, i cui fronti principali, dice, passano per Ucraina e Israele, mentre il terzo fronte nel prossimo futuro sarà Taiwan.

Che fare? È sempre lui: lo stesso Lévy che a inizi anni '90 sosteneva i musulmani di Jugoslavia ed esaltava il UCK kosovaro, mentre esortava a bombardare la Jugoslavia; lui, che appoggiava l'invasione USA dell'Afghanistan; lui, che era in Georgia nel 2008, naturalmente dalla parte di Saakašvili. Nel marzo 2011 ha poi preso parte ai negoziati con i separatisti a Bengasi, promuovendo il rovesciamento di Gheddafi e il riconoscimento del Consiglio nazionale di transizione e chiedendo poi l'invasione della Libia, prima di passare, nel 2013 ,a chiedere quella della Siria.

Nel 2014 si è schierato quindi con la cosiddetta Euromajdan ed essendo tra i fondatori della “Agenzia per la modernizzazione dell'Ucraina”, Lévy visita regolarmente Kiev, anche dopo il 2022. Come portavoce dei sostenitori della teoria del caos controllato, scrive Elena Panina su news-front.su, Lévy identifica con sicurezza le aree che «agiscono da “detonatori” della stabilità mondiale. Solo che, in questo caso, confonde la causa con l'effetto. I resoconti di Lévy sulla Terza Guerra Mondiale non sono dichiarazioni di fatto, bensì definizione di obiettivi. La Terza Guerra Mondiale non è ancora in corso nel senso pieno del termine; è però l'ultima ratio dell'oligarchia globale.

E l'Artico, a dispetto della latitudine, sarà presto un'area caldissima della competizione mondiale.

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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