La direttiva Annibale e il futuro della tregua a Gaza
PICCOLE NOTE
La tregua di Gaza rischia di collassare. Hamas ha comunicato che la liberazione degli ostaggi prevista per sabato prossimo è sospesa a causa delle ripetute violazioni degli accordi da parte di Tel Aviv. In particolare, il portavoce di Hamas ha evidenziato che l’esercito israeliano ha aperto il fuoco contro i civili tornati nel Nord di Gaza e ha frenato l’invio degli aiuti concordati.
La tregua non fa bene a Netanyahu
La frenata avviene il giorno successivo al ritiro degli israeliani dal corridoio di Netzarim, che sembrava segnalare che, nonostante tutto – tra cui le surreali intemerate di Trump – l’accordo tenesse e si potesse aprire la seconda fase del negoziato che riguarda le prospettive future della Striscia, fase che doveva iniziare la scorsa settimana ed è stata rinviata a causa del viaggio di Netanyahu in America.
Probabile che ci sia altro dietro l’irrigidimento di Hamas. E cioè quel che scriveva, profeticamente, Jonathan Lis su Haaretz, il quale allarmava sulle manovre di Netanyahu per sabotare la tregua.
Lis spiegava che la tregua sta facendo precipitare la popolarità di Netanyahu. Infatti, l’ostentazione di forza di Hamas che ha accompagnato la liberazione degli ostaggi hanno reso il premier israeliano un bersaglio facile per i suoi avversari, dal momento che ha rivelato la falsità della vantata vittoria sul nemico. “Netanyahu sa che non ha un governo se prosegue con l’accordo”, ha detto una fonte al cronista israeliano.
Far saltare la tregua
Da qui la determinazione del premier israeliano a far collassare l’intesa attraverso una manovra facile-facile. Così Chaim Levinson su Haaretz: “Il Qatar ha trasmesso messaggi a Israele esprimendo preoccupazione per il fatto che la gestione da parte del governo israeliano dei preparativi per la seconda fase, insieme alle dichiarazioni provocatorie del primo ministro Benjamin Netanyahu, stanno mettendo a repentaglio perfino la piena attuazione della prima fase dell’accordo” [che doveva procedere, appunto, con la liberazione di tre ostaggi sabato prossimo ndr.].
“Domenica, per procedere con i negoziati, è arrivata a Doha una delegazione israeliana di basso livello. La delegazione è guidata da M., il vice capo uscente dello Shin Bet, che è il favorito di Netanyahu. Nonostante il fatto che la delegazione dovrebbe avviare i colloqui sulla seconda fase, con una settimana di ritardo, non ha alcun mandato per farlo ed è essenzialmente una presenza simbolica che si concentra solo sugli accordi tecnici riguardanti la prima fase”.
Più sintetica, un’altra fonte riportata da Jonathan Lis, sempre su Haaretz: “È uno spettacolo. Netanyahu sta segnalando molto chiaramente che non vuole passare alla fase successiva. Sta inviando una squadra senza mandato e senza capacità di fare alcunché”.
L’allarme di Lis compariva in un articolo di ieri, nel quale riportava un’altra fonte, che spiegava: “Il processo sta funzionando, gli ostaggi vengono rilasciati, ma Hamas lo sta facendo con l’aspettativa di una seconda fase che porti a un cessate il fuoco [completo] e al ritiro israeliano da Gaza. Una volta che Hamas si renderà conto che non ci sarà una seconda fase, potrebbe non completare la prima”. Ed è esattamente quel che è accaduto.
Trump e Gaza
Peraltro, non aiutano le dichiarazioni di Trump, che ha sconfessato i suoi collaboratori, i quali avevano smussato le sue precedenti dichiarazioni sullo sfollamento di Gaza, spiegando che il presidente intendeva dire che si trattava di uno spostamento temporaneo. Non temporaneo, ma definitivo, ha specificato Trump successivamente.
Talmente surreale il piano, talmente disumano che sembra lo faccia apposta per far irritare i Paesi arabi, oltre che i palestinesi e il mondo intero. Ne abbiamo già accennato in altre note, lo ha ribadito Amos Harel su Haaretz del 7 febbraio, spiegandone il senso: “Dal momento in cui ha avanzato la sua proposta – radicale, difficile da attuare e probabilmente inaccettabile per il mondo arabo – [Trump] ha sperato di costringere i palestinesi e i Paesi arabi a fare di tutto per fare un’offerta che lui ritenesse accettabile”.
“In pratica, la discussione potrebbe benissimo tornare alle idee originali dibattute nell’era Biden: ricostruzione a Gaza con la maggior parte dei residenti che rimane [nella Striscia], finanziamenti significativi da parte degli Stati del Golfo e definizione di una soluzione politica che consenta a Trump e Netanyahu di dire che Hamas non è più al comando nella Striscia”.
Probabile che in tal senso l’abbia intesa anche la Russia, dal momento che, nonostante abbia sempre sostenuto la causa palestinese, non ha bocciato a priori l’improvvida proposta di Trump, spiegando che attende dettagli.
Gallant e la direttiva Annibale
Il problema è che Netanyahu non si fa abbindolare facilmente. Ha svicolato, ha rafforzato la sua posizione in America, rimanendovi una settimana per trovare sponde alle sue manovre (se avesse avuto l’appoggio totale di Trump, come reputano tanti, non era necessaria tale inusuale permanenza). E appena è tornato in patria ha fatto quel che voleva fare quando è volato in America per cercare la sponda di Trump: sabotare la pace per riprendere la guerra.
D’altronde, ha già “deliberatamente” sabotato i precedenti negoziati con Hamas, come ha rivelato il ministro della Difesa Yoav Gallant, serve ben altro per frenarne la cupio dissolvi.
Anzi, è riuscito a usare lo spariglio di Trump per i suoi piani, tanto che questi è rimasto invischiato dalle sue stesse dichiarazioni e visioni. Non può tornare indietro senza una sponda esterna e anzi è costretto a tenere il punto, arrivando a minacciare nuovamente l’inferno se Hamas non libera i prigionieri entro sabato (minaccia rispedita al mittente da Hamas).
In attesa di sviluppi, val la pena tornare alle dichiarazioni di Gallant perché, oltre a rivelare il sabotaggio dei negoziati, ha aggiunto altro e ben più importante, cioè che, durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele ha adottato la Direttiva Annibale, che prevede l’uccisione di eventuali prigionieri pur di evitare che diventino ostaggi del nemico.
Più volte i media, anche israeliani, hanno denunciato l’uso di tale procedura in quel fatidico giorno, ora è arrivata la conferma del ministro della Difesa di allora. Quante delle vittime israeliane di quel giorno sono cadute sotto il fuoco amico? La domanda forse non avrà risposta perché nessun soldato o ufficiale ammetterà mai di aver ucciso un civile deliberatamente. Ma resta.