La fine dell’asse franco-tedesco. Non esiste "riforma" possibile nella gabbia dell'eurozona

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La fine dell’asse franco-tedesco. Non esiste "riforma" possibile nella gabbia dell'eurozona

 

 

 

Sembra ieri. Macron vince le elezioni francesi spazzando via la minaccia populista e la crema intellettuale della meglio sinistra italiana iniziò a masturbarsi l’intelletto disegnando fantasiosi scenari riformisti e l’avvio di un nuovo Rinascimento europeo. Nemmeno la debole vittoria di Angela Merkel con l’interminabile travaglio per la formazioni di un governo che ne è seguito riuscì a raffreddare a sufficienza gli animi dei sognatori italiani, sempre pronti a lanciare l’allarme di una Francia e una Germania in marcia verso il sol dell’avvenire europeista senza quell’Italietta afflitta da un popolaccio razzista e ignorante che proprio non ne vuole sapere di mostrare consenso per un progetto politico tanto nobile anche se ha la piccola controindicazione di seminare sottoccupazione e desertificazione industriale.

 

Adesso che a dire che è finita è anche Wolfgang Munchau, stimato editorialista del Financial Times, possiamo finalmente sentenziare che l’asse franco-tedesco non c’è e non ci sarà. Nell'articolo di ieri Munchau non usa mezzi termini:

 

La luna di miele franco-tedesca è finita. All’inizio dell’anno il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il leader (ora ex) della SPD, Martin Schulz concordarono che la Germania avrebbe iniziato in un dialogo costruttivo con il presidente francese, Emmanuel Macron, sulla riforma dell’eurozona.

 

Come abbiamo scoperto, la riforma dell’eurozona era un progetto sostenuto esclusivamente da Martin Schulz, senza un reale consenso da parte della SPD. Quando a febbraio Schulz è stato scalzato dalla leadership, il partito ha perso ogni interesse per la proposta. La GroKo è di nuovo al potere, ma senza l’unico progetto importante che ne giustificava l’esistenza.

 

Olaf Scholz, il Ministro delle finanze tedesco e nuovo uomo forte della SPD, è particolarmente freddo nei confronti di ogni proposta di riforma dell’eurozona. Per quanto riguarda l’importante questione di un sistema di garanzia che metta in sicurezza i conti correnti dell’eurozona, la sua posizione è scettica e ostile tanto quanto quella del suo predecessore, Wolfgang Schaeuble.”

 

Pochi acronimi colpiscono direttamente al cuore l'establishment politico tedesco come quello che identifica la proposta di un sistema comunitario per la messa in sicurezza dei depositi bancari dell'eurozona tanto osteggiato da Olaf Scholz. L’EDIS (European Deposit Insurance Scheme) è un sogno per gli europeisti e un incubo per i politici tedeschi perché la crisi finanziaria ha messo in luce tutte le carenze del sistema bancario dell'eurozona e quindi la necessità di trovare una soluzione.

 

Il sistema EDIS creerebbe un meccanismo in cui i conti correnti bancari sotto i 100.000 euro sarebbero assicurati dagli altri stati europei nel caso in cui uno qualsiasi degli oltre 6000 istituti di credito dell’area si dovessero trovare nei guai. Sostenuto dalla Francia, dagli stati del sud e dalla Commissione europea, l'EDIS sarebbe uno dei grandi salti in avanti verso la realizzazione dell'Unione bancaria.

 

Alcuni economisti e politici lo considerano il modo migliore per convincere “i mercati” e chiunque altro che l'euro è irreversibile. Per i tedeschi però l'EDIS evoca visioni da incubo, l'immagine terrificante di parsimoniose e produttive famiglie renane e bavaresi che con i loro soldi vanno a coprire i risparmi bruciati dai pensionati italiani, fancazzisti greci e pelandroni spagnoli. Dopo decenni di retorica infame la forma mentis dei tedeschi non può essere cambiata in tempi brevi.

 

Nel partito di Angela Merkel l’opposizione nei confronti dell’EDIS e di ogni proposta di riformare l’eurozona è più forte che mai, uno scetticismo che si sta trasformando in aperta ostilità. I parlamentari della CDU/CSU respingono tutti i punti (tranne uno) dell’agenda riformista di Macron: non vogliono un allargamento dell’ESM, non vogliono che venga creato un budget separato per l’eurozona nel prossimo bilancio europeo e, proprio come il socialdemocratico Scholz, non vogliono un sistema di assicurazione dei conti correnti europei fino a quando le banche italiane non saranno riuscite a sbarazzarsi di crediti deteriorati presenti nei bilanci. L’unica proposta considerata accettabile è il sostegno fiscale al fondo di risoluzione bancaria, ma parliamo di qualcosa che doveva essere fatta molto tempo fa e non rivoluziona il sistema.

 

Ma non è solo questo a spezzare l’asse franco-tedesco, la crisi siriana ha messo in evidenza altre divergenze fondamentali. Pur unendosi alla retorica contro le armi chimiche e anti-Assad, Angela Merkel ha escluso fin dall’inizio un qualsiasi tipo di coinvolgimento nell’azione militare contro la Siria, un coinvolgimento che probabilmente non gli era neanche stato richiesto visto la portata relativamente contenuta dell’attacco e la distanza delle basi NATO tedesche dal teatro operativo in questione (e vista la scarsa capacità della Bundeswehr) ma che la Cancelliera ha tenuto a rimarcare dimostrando di voler prendere le distanze dall’operato di Stati Uniti, Regno Unito e Francia.

 

Tutto ciò mette la Francia si trova una posizione scomoda. Oggi Parigi fa parte di una unione monetaria dove la sua voce conta poco e si trova in una condizione geopolitica nella quale il Regno Unito è il partner più affidabile nonostante non intenda fare più parte dell’organizzazione sovranazionale più importante del continente. Sta emergendo sempre più chiaramente come Francia e Germania non siano più alleati naturali, hanno visioni troppo diverse sia dell’Europa che di come si sta al mondo.

 

Wolfgang Muchau conclude l’editoriale rivendicando il suo europeismo e il desiderio di veder applicata un’importante riforma dell’eurozona, ma dice anche che in queste condizioni nessuna riforma è meglio di una pessima riforma e quindi per ora è il momento di un arretramento tattico in attesa di una crisi profonda, una vera e propria minaccia esistenziale per l’eurozona che possa indurre la politica tedesca a compiere quelle scelte coraggiose necessarie a fare le famigerate riforme di cui l’eurozona ha tanto bisogno.

 

Anche questa idea di riformismo europeo a forza “shock therapy” però è – a voler essere gentili – una pia illusione. In Italia abbiamo sentito discorsi simili molte volte, e anche i lettori del Financial Times hanno già letto ragionamenti del genere proprio grazie “al nostro” Romano Prodi. Non è così che funziona, non è scommettendo sulla lungimiranza davanti a una catastrofe che si può costruire qualcosa di buono.

 

I tedeschi hanno grandi capacità ma sono ottusi, non pragmatici, davanti a un fallimento non reagiscono cambiando impostazione semplicemente perché fanno troppa fatica a riconoscere il fallimento del sistema, non l’accettano, non è nelle loro corde. Questi problemi in Germania sono già stati discussi ripetutamente dagli anni '80 fino a oggi eppure niente è cambiato nonostante tutto quello che è successo. Di fronte a una crisi esistenziale il sistema tedesco reagirà nel modo più sbagliato possibile causando danni a tutti, come hanno sempre fatto.

 

L’unica riforma in grado di mettere in sicurezza l’eurozona è il suo smantellamento concordato. L’unica eurozona buona è l’eurozona morta.

 

Federico Bosco

 

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