La Georgia in bilico
di Giacomo Gabellini per l'AntiDiplomatico
Nella seconda metà degli anni ’90, l’allora presidente georgiano Edvard Ševardnadze attuò una politica di apertura alle agenzie straniere destinata a condizionare profondamente gli orientamenti politici ed economici del Paese. Al punto che, nell’arco di un trentennio scarso, la Georgia – popolata da poco più di tre milioni di abitanti – è arrivata ad annoverare oltre 25.000 Organizzazioni Non Governative (Ong) in il cui bilancio dipende pressoché integralmente dai finanziamenti erogati dai grandi donatori occidentali sia pubblici che privati. I quali, oltre ai fondi, garantiscono accesso alle ambasciate e più in generale agli uffici di rappresentanza statunitensi ed europei, assicurando alle Ong notevole una influenza politica decisiva ma svincolata da qualsiasi responsabilità nei confronti dei cittadini.
A partire dal 2003, sulla scia della cosiddetta Rivoluzione delle Rose guidata da Mikheil Saakašvili, avvocato e ministro della Giustizia sotto Ševardnadze formatosi presso la Columbia University e la George Washington University, decine di professionisti alle dipendenze delle principali Ong cominciarono ad assumere rapidamente il controllo del governo e della macchina statale, colonizzando segmenti cruciali del comparto pubblico quali sanità, istruzione e giustizia e definendo gli indirizzi in materia di sviluppo del settore privato. Di conseguenza, la Georgia è andata trasformandosi in una sorta di laboratorio deputato alla sperimentazione dei progetti di riforma concepiti all’estero, finanziati da fondi stranieri e appaltati alle Ong locali. Come evidenziano le specialiste Almut Rochowanski e Sopo Japaridze, «la situazione è in pratica più o meno questa: un’importante agenzia di aiuti allo sviluppo o un finanziatore internazionale, ad esempio l’Usaid, la Commissione Europea o la Banca Mondiale, ha ideato un nuovo modello per la riforma dell’istruzione, che ora prevede di implementare non solo in Georgia, ma in genere in tutta una serie di Paesi. Per dotarla di una patina di partecipazione comunitaria, l’agenzia umanitaria incarica le Ong georgiane di svolgere il lavoro quotidiano: introdurre questo o quel nuovo modo di fare le cose a funzionari, insegnanti e dirigenti scolastici così da istruirli alle nuove competenze di cui presumibilmente avranno bisogno. Nessuno chiede agli insegnanti, ai genitori, agli studenti o, del resto, all’elettorato in generale, di cosa hanno bisogno e cosa vogliono e come potrebbero migliorare le cose. Le persone si sentono inascoltate, ignorate, trattate con condiscendenza – e anche inadeguate quando non riescono a raggiungere i parametri di riferimento imposti da questo “nuovo corso”».
Sogno Georgiano, la compagine politica al potere dal 2012, risulta perfettamente integrato nel sistema “Ong-centrico” messo in piedi da Ševardnadze e Saakašvili, perché al pari dei maggiori partiti d’opposizione si compone per lo più di politici formatisi – solitamente in giurisprudenza – nelle maggiori università statunitensi ed europee, con all’attivo incarichi presso le Nazioni Unite, le agenzie internazionali e, soprattutto, le Ong locali. Le quali rappresentano una vera e propria corsia preferenziale per l’ottenimento di elevati livelli di remunerazione, viaggi all’estero, ricevimenti nelle ambasciate, ecc. Si tratta di un formidabile ascensore sociale, di gran lunga più efficace rispetto a quello garantito dall’insegnamento accademico o dall’esercizio di professioni legate all’ambito pedagogico, giuridico, medico e scientifico. I curriculum dei rappresentanti di punta di Sogno Georgiano, dei partiti d’opposizione e degli amministratori delle Ong finanziate dall’estero risultano in molti casi sovrapponibili, e questo spiega la comune vocazione “europeista” e l’identica propensione per una gestione del potere di stampo tecnocratico e liberista. Lo si evince dalle vicissitudini attraversate dall’Economic Liberty Act (Ela), una legge fondamentale introdotta nel 2011 sotto la presidenza di Saakašvili che proibisce l’innalzamento delle aliquote fiscali e l’applicazione pratica del concetto di tassazione progressiva, ponendo allo stesso tempo un tetto massimo alla spesa pubblica pari al 30% del Pil. L’Ela è rimasto regolarmente in vigore nell’arco dei dodici anni in cui Sogno Georgiano è rimasto al governo, conformemente alla raccomandazioni di Transparency International Georgia, potentissima Ong attualmente schierata in prima linea contro il governo.
In presenza di una cristallizzazione degli assetti interni tanto consolidata, l’oggetto del contendere tra le varie cordate non può che riguardare l’assunzione più o meno diretta delle redini del governo. È in questa luce che sembra maggiormente proficuo leggere le attuali turbolenze politiche sorte riguardo alla cosiddetta legge sulla “influenza straniera”, frutto di una rielaborazione della legge sugli “agenti stranieri” presentata senza successo nella primavera del 2023. La quale impone a grandi mezzi di comunicazione e associazioni che ricevono dall’estero più del 20% dei propri fondi di registrarsi in un apposito elenco e inviare al Ministero degli Interni la relativa documentazione finanziaria, pena una sanzione corrispondente a circa 10.000 dollari. L’iniziativa scaturisce dall’intenzione dei rappresentanti di Sogno Georgiano di assestare un colpo potenzialmente definitivo alla nebulosa di Ong collegate al precedente governo imperniato sul Movimento Nazionale Unito di Saakašvili, che si avvalgono sistematicamente della propria influenza per acquisire potere a scapito della compagine a capo dell’esecutivo. «Da circa cinque anni – spiegano Rochowanski e Japaridze – costoro negano la legittimità del governo e ne chiedono la cacciata, e non solo sostenendo l’opposizione alle elezioni, che già oltrepassa i limiti etici per le organizzazioni non governative (e ancor più quando sono finanziate da stati esteri). Si agitano per un cambiamento rivoluzionario del potere al di fuori dei processi democratici e costituzionali. In precedenza, avevano chiesto di essere messi al potere come governo tecnico, ma poiché nessuno (certamente non l’elettorato georgiano) ha accettato questa offerta, si sono avventurati in proteste di piazza e hanno preso d’assalto il Parlamento e gli edifici governativi. Esercitano anche pressione sull’Unione Europea e sugli Stati Uniti per sanzionare i leader di Sogno Georgiano […]. Gli attivisti in Georgia sanno fin troppo bene cosa ci si aspetta da loro e quali comportamenti sono puniti e premiati: essere critici nei confronti del governo su Facebook ti farà guadagnare notevoli sovvenzioni […]. Qualche anno fa, quando i donatori occidentali consideravano Sogno Georgiano un prezioso alleato, dicevano agli attivisti georgiani di smetterla di criticarli. Ora vogliono che gli attivisti si schierino contro Sogno Georgiano. I donatori monitorano anche i profili dei social media degli attivisti e possono esserci conseguenze per la pubblicazione di cose sbagliate».
La legge sulla “influenza straniera” concepita in un’ottica di regolamento di conti interno ha in altri termini prodotto una pericolosa convergenza di interessi tra Ong connesse alle forze d’opposizione, sovvenzionatori internazionali e cancellerie occidentali. A partire da quella di Bruxelles, prontissima a vincolare il processo di adesione alla Georgia all’Unione Europea all’abbandono del provvedimento su cui il governo di Tbilisi ha investito gran parte del capitale politico a propria disposizione. I principali rappresentanti istituzionali dell’Unione Europea continuano a sottolineare l’incompatibilità della legge sulla “influenza straniera” con non meglio specificati “valori europei”, mentre i ministri degli Esteri di Estonia, Lituania e Islanda hanno preso pubblicamente parte alle manifestazioni di protesta organizzate nei pressi del Parlamento georgiano dall’opposizione. Le loro “irruzioni” fanno seguito alla visita a Tbilisi di Michael Roth, che in qualità di presidente della commissione per gli affari esteri del Bundestag tedesco ha dichiarato che «siamo molto delusi perché stiamo combattendo per la Georgia nel suo lungo e accidentato cammino verso l’Unione Europea».
Si tratta di prese di posizione insidiosissime, non soltanto perché palesemente lesive della sovranità di Tbilisi, ma perché suscettibili di incendiare letteralmente le piazze, che vanno riempiendosi di cittadini completamente disinteressati della legge in sé ma profondamente preoccupati dalle sue implicazioni: «l’aspirazione ad aderire all’Unione Europea – rilevano ancora Rochowanski e Japaridze – rappresenta il nervo scoperto della politica e della cultura georgiana. Dopo tre decenni di impoverimento post-sovietico, di vite stroncate, di dolore e traumi, di stress cronico, di insicurezza e di umiliazione, l’idea di entrare nell’Unione Europea si è trasformata in un progetto escatologico per molti georgiani. L’Unione Europea costituisce non solo la realizzazione dei sogni (benessere materiale, sicurezza, dignità) ma anche il riconoscimento dell’intrinseca “europeità” dei georgiani, della loro particolarità, della loro superiorità culturale rispetto ai loro vicini “asiatici”. D’altra parte, molti georgiani che scendono in strada con le bandiere dell’Unione Europea hanno preoccupazioni meno metafisiche e piuttosto terrene: in recenti sondaggi, i georgiani classificano l’opportunità di emigrare come la ragione principale aderire all’Unione Europea […]. Soltanto nel 2021 e nel 2022, più del 5% della popolazione ha lasciato il Paese, il larghissima parte per rimpinguare il mercato nero del lavoro in Europa».
Anche gli Stati Uniti si sono mobilitati. La rivista «Politico» ha informato che «i funzionari statunitensi hanno minacciato di sanzionare i politici georgiani a causa del disegno di legge, che secondo gli Usa minerebbe la democrazia georgiana […]. Mentre si trovava in Georgia, l’assistente segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici James O’Brien ha parlato con il primo ministro, i leader dell’opposizione e altri esponenti politici. Qualora la legge dovesse entrare in vigore, ha assicurato O’Brien, verranno applicate restrizioni dagli Stati Uniti che influenzeranno le finanze o i viaggi degli individui responsabili». Siamo quindi alle minacce aperte, formulate nonostante la legge sulle “influenze straniere” ricalchi sotto molti aspetti i contenuti del Foreign Agents Registration Act statunitense, che impone la “public disclosure” di individui o enti che svolgano attività di lobby o di sostegno a governi, organizzazioni o cittadini stranieri tramite registrazione presso il Ministero della Giustizia, da effettuare a chiarimento dei rapporti con questi enti stranieri, della propria attività a loro favore e dei compensi percepiti. Più che all’assai maggiormente stringente legge adottata in Russia, il provvedimento predisposto da Sogno Georgiano sembra ispirata alla sotto molti aspetti analoga legge statunitense.
Segno che l’accanimento del fronte euro-statunitensi nei confronti della legge sulla “influenza straniera” risponda a logiche ben diverse. E che nasca cioè dalla percezione, ha dichiarato sempre a «Politico» il politologo Francis Fukuyama, che «i Paesi vicini alla Russia hanno iniziato ad adottare apertamente sentimenti favorevoli alla leadership del Cremlino e sembrano preoccuparsi sempre meno di preservare i legami con l’Occidente» man mano che le forze armate russe registrano progressi sul campo di battaglia ucraino. Secondo Fukuyama, «nonostante le parole forti pronunciate dal consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan e da altri alti funzionari statunitensi, la Georgia e i Paesi circostanti non temono la reazione occidentale. E questo diventerà ancora più evidente se la Russia manterrà il suo slancio».
Per l’ex primo ministro georgiano Bidzina Ivanišvili, fondatore del partito Sogno Georgiano, la postura assunta dagli Stati Uniti e la sistematica manipolazione delle Ong locali da parte di Washington punta a trasformare la Georgia in un nuovo soggetto statale da sacrificare sull’altare della lotta contro la Russia. «La ragione principale dell’aggressione portata dal “partito globale della guerra” nei confronti della Georgia – ha dichiarato Ivanišvili – è data dal fatto che non si è ancora riusciti a trasformare il Paese in un secondo fronte della guerra contro la Russia nonostante i grandi sforzi profusi […]. L’opinione pubblica spesso si chiede il perché all’estero si battano con tanto fervore contro la legge che impone la trasparenza alle Ong».
P.S. Lunedì 20 maggio presenterò il mio libro "Taiwan: l'isola nello scacchiere asiatico e mondiale" con l'Ambasciatore Alberto Bradanini e Stefano Vernole sul canale Yotube "Il Veritiero"
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