La grande Manifestazione per la pace un primo passo
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di Michele Blanco
Avere 100 mila persone in piazza a Roma a manifestare nell'Italia di oggi è un risultato importantissimo di una grande rilevanza, assolutamente da non sottovalutare. In altre manifestazioni, anche recenti, con viaggio e spuntini gratis, "pompate" dalle televisioni e giornali, erano presenti molto meno di 10 mila persone. Quella del 5 aprile non è stata una manifestazione del un solo movimento 5 stelle, che ha avuto il grande merito di farla, ma la dimostrazione che il sentimento contrario alle inutili spese militari è diffuso oltre ad essere giusto. Nella narrazione dei mezzi di disinformazione di massa, tutti di proprietà, o comunque controllati, dagli stessi azionisti delle fabbriche d’armi si vuole dare per scontata l’idea che siamo in pericolo perché l’Europa sta per essere invasa dalla Russia, ipotesi assolutamente priva di qualsiasi fondamento politico economico e, soprattutto dal punto di vista pratico-militare.
La Federazione Russa ha 143,8 milioni di abitanti (2023), ma al tempo stesso è la nazione più grande per estensione territoriale al mondo, con ricchezze minerarie incredibili, ha il problema che territori immensi come la Siberia sono scarsamente popolari. Solo i paesi aderenti all’Unione Europa hanno 449,2 milioni (2024) di abitanti, una invasione è assolutamente improbabile. In questi giorni il filosofo tedesco Habermas ha evidenziarlo con forza in un’intervista pubblicata sull’ultimo numero della rivista “Internazionale”, in cui mette in guardia l’Europa da un riarmo che distrugga quel poco di integrazione sociale e di “welfare State” che è rimasto nelle politiche degli Stati europei.
Il pericolo che paventa per l’Europa è quello dell’”abolizione della politica”, vale a dire uno svuotamento delle democrazie liberali in gusci vuoti, senza partecipazione e senza spazio di comunicazione libera e agire politico. Trasformare lo Stato e le istituzioni in dispositivi di sola gestione economica, significa avere una concezione dei cittadini solo come consumatori e come capitale umano da sfruttare. In questa prospettiva, non è difficile arrivare a considerare le persone soggetti. Oggi vorrebbero sostituire l’etica della pace, che è il bene sociale più alto, con l’ideologia della guerra contro i presunti nemici.
Finalmente abbiamo avuto nella manifestazione del 5 aprile l'affermazione di un’idea di cittadinanza che si riconosce nei valori della Costituzione, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e guarda ad un’Europa portatrice di una civiltà politica fondata sulla giustizia sociale e su un modello di sviluppo equo e sostenibile: in una parola, un’Europa lontana anni luce da quella odierna che la baronessa von der Leyen e le classi dirigenti attuali vanno ridisegnando snaturandone l’essenza profonda. Esiste oggi in Italia un’area di rifiuto della guerra che coincide con la netta stragrande maggioranza della popolazione italiana.
Di certo sarebbe riduttivo inscrivere questa moltitudine di persone, che sono al contempo singolari e plurali, in una ideologia o in qualche schema sociologico precostituito. Sono il segno di un grande bisogno di riprendersi la parola dopo una lunga fase di “defezione” o, come avrebbe detto Hirschman, di “exit”, di uscita dallo spazio pubblico. Infatti, la posta in gioco di questa manifestazione non è in primo luogo l’alternativa al governo Meloni che le forze di opposizione sono tenute a preparare. Il tema va molto al di là della congiuntura politica, per quanto importante sia quest’ultima. Saranno gli eventi futuri a confermare o meno il giudizio di Conte secondo cui questa manifestazione getta un primo solido “pilastro” dell’alternativa.
Piuttosto, se c’è una lezione da trarre da questa imponente risposta di massa all’appello contro la guerra, è che le soggettività, individuali e collettive, hanno bisogno, come amava dire Hannah Arendt, di apparire in pubblico, cioè nell’agorà della polis (piazze, sezioni, circoli, teatri, ecc.), dove discutere dei problemi della vita quotidiana, non nei talk show televisivi sempre più stereotipati e ripetitivi.