Lettonia, tra "aggressione russa" virtuale e vera sfilata di nostalgici nazisti
di Fabrizio Poggi - Contropiano
Sono finiti in manette ieri a Riga i giovani che, in lingua russa, avevano osato gridare “Vergogna Lettonia; il fascismo non passerà”, di fronte al corteo che ogni anno, il 16 marzo, celebra i legionari lettoni delle Waffen SS. La data ricorda il primo scontro dei reparti lettoni delle SS (15° e 19° Divisioni Granatieri) contro l'Armata Rossa, nel 1944.
La Lettonia si difende in questo modo dalla “aggressione” russa e spiega ai più piccoli il pericolo che potrebbe venire da est, insegnando la “Difesa dello stato” – educazione patriottica e preparazione paramilitare – materia scolastica introdotta in seguito alla “annessione della Crimea”. Per i più grandi, la speaker del Saeima per il Nacion?l? apvien?ba (Unione nazionale, il cui simbolo è di per sé un programma), In?ra M?rniece, propone di reintrodurre il servizio militare obbligatorio, cui però si oppongono (ma solo per motivi di bilancio, o per la paura che i giovani emigrino, pur di evitarlo) Presidente, Ministro della difesa e Comandante in capo, nonostante insistano anch'essi sul “pericolo russo”. Si è arrivati al punto di dichiarare che la naja servirebbe gli interessi russi, indebolendo l'esercito professionale (circa 6.000 uomini) e laZemessardze, la difesa territoriale (8.000 uomini).
La stessa In?ra M?rniece, intervenendo ieri alla cerimonia commemorativa delle SS al cimitero militare di Lestene (80 km a sudovest di Riga) ha dichiarato che i legionari SS andarono in battaglia per “sgominare il bolscevismo, nella speranza di sconfiggere entrambi gli eserciti occupanti” (lo stesso argomento usato dai neonazisti ucraini che si rifanno a Stepan Bandera) “come avevano fatto nella guerra di indipendenza del 1918-1920, allorché i lettoni respinsero sia i bolscevichi, che i nazisti”, i quali ultimi, per le cronache, non erano ancora comparsi.
Ma, nota Sergej Orlov su Svobodnaja Pressa, le fobie che dettano tali misure e altre già adottate ad esempio in Lituania, potrebbero in egual misura scoraggiare i tanto attesi investimenti occidentali. Tant'è che, ad esempio, il sindaco della città portuale di Ventspils, 200 km a nordovest di Riga, Ajvar Lembergs, aveva già avuto da ridire sulle prese di posizione della passata amministrazione USA a proposito della “linea del fronte che passa per la Lettonia”: pensiamo davvero, aveva detto Lembergs “che un investitore voglia gettare risorsein un territorio prossimo alla linea del fronte?”. Non a caso, il 23% dei lettoni, contro le pretese dei circoli russofobi, avrebbe voluto Lembergs alla guida del governo, sopravanzando nei favori addirittura il sindaco di Riga Nils Ušakovs, appoggiato dalla forte minoranza russofona lettone, in gran parte esclusa dal diritto di voto nella Lettonia membro della UE.
In un modo o in altro, sembra comunque che il passato collaborazionista torni regolarmente a far capolino nei Paesi baltici, con le parate annuali di Riga e Sinimaee, in Estonia. E a poco servono gli “argomenti” secondo cui i legionari baltici sarebbero stati costretti a indossare l'uniforme nazista per difendere il proprio paese: combattendo contro l'Armata Rossa, liberavano forze naziste per le necessità di sterminio nei campi di Salaspils (20 km a sudest di Riga) o Klooga (40 km a sudovest di Tallin); tanto più che, come nota l'agenzia Regnum, i legionari non prestavano giuramento al proprio paese, ma direttamente a Adolf Hitler.
E ugualmente serve a poco la “giustificazione” per cui i legionari lettoni non ricadono sotto le sentnze del tribunale di Norimberga, dato che, nonostante il loro status formalmente volontario, non avrebbero avuto la possibilità di sottrarvisi. Le stragi di almeno 12mila civli lettoni (di cui 2.000 bambini) e le distruzione di centinaia villaggi in Russia, Bielorussia e Polonia a opera di battaglioni lettoni delle SS, impiegati nelle attività antipartigiane dell'operazione “Magia invernale”, non sembrano un solido argomento a sostegno delle dichiarazione adottata nel 1998 dal Saeima lettone: "L'obiettivo dei militari richiamati e di quelli che volontariamente aderirono alla legione era quello di difendere la Lettonia dalla restaurazione del regime stalinista. Essi non presero mai parte alle azioni punitive hitleriane contro la popolazione civile". Nel 1944-'45, come ricorda un ampio servizio di Argumenty i Fakty, i terroristi del “Comando Arajs” di polizia ausiliaria si occuparono dell'eliminazione di ebrei lettoni – da 26mila a 60mila, a seconda delle fonti – e anche questo difficilmente permette di considerare i membri volontari della legione lettone “vittime delle circostanze”, come si tenta di presentarli oggi in Lettonia.
Sono centinaia i collaborazionisti, sfuggiti 70 anni fa alla giustizia sovietica, rifugiati a ovest e utili alle manovre della guerra fredda, poi rientrati in patria dopo la fine dell'Urss. Ma perché su di loro, nota Argumenty i Fakty, sulle loro sfilate e celebrazioni, l'occidente chiude tutti e due gli occhi? Perché tali reparti di SS non ci furono solo nei Paesi baltici o in Ucraina: ce ne furono in Olanda, Danimarca, Norvegia, Belgio, Finlandia, Svezia, Francia e in altri paesi europei.
E' così che oggi, da Riga, Tallin o Vilnius, mentre non si rinnega tale passato e anzi lo si esalta, con la partecipazione ai cortei dei veterani anche di massimi esponenti governativi (a titolo individuale, per carità!), non si hanno remore a pretendere “compensazioni” in milioni di euro non dagli eredi degli ex camerati, ma dalla Russia, “erede della occupazione sovietica”.
“Io ho vissuto l'occupazione e so cosa significhi”, ha dichiarato qualche giorno fa il primo ministro estone Juri Ratas incontrando a Bruxelles il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg e riferendosi alla odierna “occupazione russa” dell'Ucraina e alla necessità di “ristabilire l'integrità territoriale di Moldavia e Georgia”. Se è chiara la sua posizione geopolitica, nota Sergej Orlov su Svobodnaja Pressa, è però il caso di ricordare come suo padre, Rejn Ratas, durante “l'occupazione sovietica” – terminata, bisogna ricordarlo, nel 1991, quando Juri Ratas aveva 13 anni – sia divenuto uno degli scienziati più affermati del paese, le cui centinaia di pubblicazioni e volumi sono oggi disponibili in ogni biblioteca russa.
Ora, dunque, lo scorso novembre Juri Ratas è diventato leader del Partito di Centro (sostenuto da moltissimi russi di Estonia), capovolgendo la precedente politica di buon vicinato con Mosca condotta dal suo predecessore e sindaco di Tallin, Edgar Savisaar, politica che aveva relegato il partito fuori del governo, nonostante i successi elettorali. Adottando la nuova politica, il Partito di Centro è stato immediatamente ammesso al governo e Ratas nominato primo ministro.
E' così che va, nella UE “a due velocità”, non solamente economiche, quando a Bruxelles si ritiene, alla maniera di Heinrich Böll, che “nei momenti decisivi bisogna essere primitivi e barbari”.