La logica dialettica, i quattro “treni cosmici” e il fiume di Cratilo

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La logica dialettica, i quattro “treni cosmici” e il fiume di Cratilo

 

di Vanna Melia e Alessandro Pascale

La tesi logica secondo cui A = non A, e cioè che nello stesso istante qualunque oggetto risulta, nelle sue qualità ed attributi, simultaneamente sé stesso ma anche qualcos'altro, ossia “non A”, sembra cozzare sia contro l'esperienza concreta che rispetto all'asse fondamentale della plurimillenaria logica aristotelica, con il suo principio di identità per il quale A = A.

Tuttavia, come hanno scritto gli autori del libro Logica dialettica e l'essere del nulla, la tesi secondo la quale A = A e non A viene provata tra l'altro anche dall'azione indiscutibile dei quattro “treni cosmici” che operano sulla nostra splendida Terra.

Infatti Burgio, Leoni e Sidoli, durante il loro sintetico processo di analisi delle leggi del pensiero, esaminano quasi subito una qualità assai importante, «un rilevante “attributo” aristotelico e un aspetto rimarchevole dell’identità di “A”, di ogni “A” dell’universo (galassie, elettroni, esseri umani, ecc.), quale il posizionamento di qualunque ente naturale nello spazio: una caratteristica e una qualità senza dubbio importante, per l’universo quadrimensionale e per la struttura ontologica di qualsiasi oggetto materiale che si muove al suo interno.

Proprio su tale movimentata materia negli ultimi secoli l’uomo copernicano, attraverso una pratica euristica tesa costantemente a scoprire sempre nuovi oggetti e processi, sconosciuti e ignoti in precedenza, ha via via ritrovato l’informazione di valore universale per cui la nostra specie e tutta la Terra si trovano a bordo di quattro diversi “treni cosmici”, ciascuno dei quali opera un movimento senza sosta che riguarda e interessa, in ogni secondo/microsecondo istante, anche il nostro pianeta di origine».[1]  

La pratica scientifica ha infatti dimostrato, senza lasciare spazio a dubbi di sorta, che la nostra piccola ma meravigliosa Terra innanzitutto ruota attorno a sé stessa, muovendosi nello spazio cosmico come un’inesauribile trottola alla velocità oraria di circa 1670 chilometri all’equatore e di 1580 chilometri orari al 45° parallelo di latitudine nell’emisfero settentrionale, collocato molto vicino alla città francese di Bordeaux.

Visto che l’ora è composta da 3600 secondi, ogni abitante (chiamiamolo “A”) di Bordeaux (e di Milano, Roma e Palermo, seppur con piccole variazioni e accelerazioni) ruota quindi attorno a sé stesso e nello spazio alla velocità di circa 438 metri al secondo.

Sorge subito un problema: dove si trova l’abitante “A” di Bordeaux che ruota attorno a sé nello spazio, in ogni singolo secondo? In quale dei 438 metri che “A” percorre nello spazio, a sua insaputa?

E se poi si utilizza come parametro invece un decimo di secondo, in quale dei 43,8 metri in esame sarà quindi collocato l’abitante “A” di Bordeaux, in tale lasso di tempo?

E in un centesimo di secondo?

Nell’antica Grecia Zenone di Elea aveva evidenziato una serie di paradossi - tra cui il più celebre è quello di Achille e della tartaruga - con cui mostrava le paradossalità in cui cadevano i sostenitori della molteplicità e del movimento. Con la sua geniale “dialettica”, che ha inventato il genere della “dimostrazione per assurdo”, ha mostrato i limiti di ogni pretesa di conoscere il particolare, che nella dottrina eleatica peraltro è solo illusione.

Seguendo un approccio materialista e non idealista, e imitando Zenone, si può, e anzi si deve in realtà accettare di riconoscere l’infinità e inesauribilità della necessità della misurazione, basato sulla particolarissima ma costante danza rotatoria nello spazio del nostro pianeta.

Con Copernico e Galilei la praxis scientifica umana ha altresì dimostrato anche la rotazione attorno al Sole del nostro pianeta, esseri umani ovviamente inclusi in tale ininterrotta odissea nello spazio.

La velocità di tale movimento orbitante della Terra risulta, senza distinzioni di luoghi fisici sul nostro pianeta, pari a circa 107.000 chilometri all’ora.

Ossia equivalente a circa 29,72 chilometri al secondo.

Quindi il soggetto “A”, collocato a Bordeaux o a Milano, all’equatore o in Nuova Zelanda, sia esso un ente umano o extraumano si sposta e si muove, senza quasi accorgersene, attorno al nostro Sole all’impressionante ma costante velocità di quasi 30 chilometri al secondo: pertanto procedendo, senza saperlo, in modo più veloce della più rapida astronave finora progettata e costruita dall’homo sapiens sapiens.

Ripetiamo in modo lievemente modificato la domanda: dove si trova “A”, ossia qualunque ente terrestre esso sia, durante ogni singolo secondo nei 29,72 chilometri che esso percorre costantemente in un solo attimo assieme alla Terra?

In quale spazio esso si colloca, durante tale particolare e brevissima fase temporale?

E dove “A” si posiziona durante ogni singolo decimo di secondo, nei 29,72 chilometri che esso attraversa orbitando attorno al Sole in tale microistante?

E dove si trova “A”, nei 297 metri da esso solcati nello spazio in un rapidissimo centesimo di secondo?

Qual è poi l’esatta posizione di “A” nei 29,72 chilometri da esso attraversati, mentre esso ruota attorno alla nostra stella di riferimento durante un ipercelere millesimo di secondo?

Si può e anzi si deve continuare all’infinito, in questa analisi del particolarissimo tango “di Zenone” ballato attorno al Sole.

Ma non solo: sempre la scienza ha dimostrato senza ombra di dubbio che il Sole e l’intero sistema solare, ivi compresa la Terra, ruota a sua volta intorno al centro della Via Lattea, ossia alla galassia a cui apparteniamo.

A quale velocità di rotazione? Secondo l’università statunitense di Stanford, il nostro sistema solare e qualunque “A” in esso contenuta (a Bordeaux, su Mercurio o su Plutone, ecc.) si muove attorno al centro della Via Lattea alla formidabile velocità di 720.000 chilometri orari, ossia alla velocità di circa 200 chilometri al secondo.

Dove si trova dunque “A”, questa volta inteso come qualunque oggetto del sistema solare, rispetto ai circa duecento chilometri che ogni ente e oggetto terrestre percorre in modo costante nello spazio, girando come una trottola infaticabile attorno all’asse della nostra galassia?

E dove si trova “A”, nei venti chilometri che sempre esso percorre durante ogni decimo di secondo?

E nei due lunghi chilometri, che sempre “A” attraversa durante la sua marcia spaziale ogni brevissimo centesimo di secondo?

Si può continuare all’infinito nel processo di misurazione di questo particolarissimo e costante “tango galattico”, sintetizzabile rimandando semplicemente ai principi relativistici di Einstein.

Lasciando alla curiosità del lettore il ritrovamento del quarto “treno cosmico”, va sottolineato che la proprietà generale dei corpi sopra il livello quantistico di avere un’estensione, di occupare un determinato luogo disponendosi in un particolare modo tra gli altri oggetti del cosmo, si riflette nella categoria filosofica di spazio.

Inoltre gli oggetti si riproducono ed esistono non solo nello spazio, ma si succedono anche l'uno dopo l'altro in un determinato ordine: in sostituzione di alcuni ne subentrano altri, a cui poi se ne aggiungono altri ancora, e così via.

Qualunque processo ed oggetto ha un determinato periodo e lasso di tempo di esistenza, ha un inizio ed una fine: nello sviluppo di ciascuno di essi si distinguono diversi stadi e stati di evoluzione/involuzione; alcuni enti sorgono, altri si sono consolidati e formati, altri ancora periscono.

La proprietà generale delle dinamiche materiali sopra il livello quantistico di susseguirsi gli uni agli altri in una determinata successione, possedendo sia una durata che uno sviluppo per fasi, si riflette nel concetto filosofico di tempo: spazio e tempo quindi rappresentano le forme universali e più generali di esistenza della materia in movimento perenne, costante e continuo.

Fatte queste premesse indispensabili, va rilevato ed evidenziato subito come più di due millenni fa Cratilo, un discepolo del grande filosofo Eraclito vissuto alla fine del VI secolo a.C., abbia indicato come «non ci si può bagnare neppure una volta sola nello stesso fiume».[2]

La tesi di Cratilo risulta corretta e valida non solo dal lato dialettico del costante e ininterrotto processo di trasformazione in ogni istante e microistante dello sconfinato “fiume” dell'universo, ma anche e simultaneamente perché ogni “Cratilo”, ossia qualunque osservatore del cosmo, a sua volta cambia e si trasforma senza sosta - seppur impercettibilmente - mentre sta entrando e si sta immergendo, magari naufragando leopardianamente in esso, nella tumultuosa corrente metaforica che tanto interessava Eraclito e Cratilo.[3]

La storiografia filosofica etichetta spesso Eraclito come volgare empirista e “ideologo dell’aristocrazia”. In realtà l’aristocraticismo di Eraclito non va inteso politicamente, bensì culturalmente. Solo chi usa la ragione (il lògos) può comprendere le implicazioni del divenire e conoscere la vera realtà. Il resto della massa, che rimane alla mera superficie della conoscenza sensibile, viene etichettata come “dormiente”. Ci appare un Eraclito razionalista che cerca di svegliare gli uomini dal sonno della ragione.

Dalla sua analisi indirettamente deriveranno le critiche sferzanti dei sofisti, che arriveranno a mettere in discussione le leggi e le istituzioni della società schiavista dell’epoca, fomentando sentimenti egualitari, cosmopolitici e democratici. Sarà Platone per primo a condannarne l’opera, identificandone la genesi teoretica proprio nell’intuizione eraclitea, che vanificando la pretesa di un sapere assoluto legittimava implicitamente il relativismo democratico protagoreo, partendo dal presupposto di poter raggiungere solo una verità “debole” sotto forma di una costruzione sociale della maggioranza.

La dialettica del divenire, correttamente intesa, ricorda la nottola di Minerva hegeliana: l’uomo può arrivare alla piena comprensione della realtà solo nel momento in cui essa è passata. L’instabilità e la crisi del sapere oggettivo conducono all’anarchia, secondo un Platone poco amante del demos. Eppure nemmeno lui potrà esimersi nella tarda maturità dall’approfondire la divisione dialettica della realtà ontologica, riaffrontando l’altro tema eracliteo (e prima di lui pitagorico e ionico) dell’opposizione dualistica originaria della realtà.

Riguardo ad Aristotele, si è espresso a suo tempo in modo acuto e raffinato Vladimir Lenin, che nei suoi creativi e antidogmatici Quaderni filosofici, scrisse che all'inizio della Metafisica

«Aristotele sostenne contemporaneamente sia “la lotta più accanita contro Eraclito” che “l'idea dell'identità di essere e non essere”, ossia del divenire e della dialettica: anche Aristotele, quindi, almeno in parte rientra nella multiforme fonte antimetafisica a cui ho accennato in precedenza?»

Panta rei, tutto scorre e si modifica: si tratta della sintesi migliore della scienza logica e ontologica del genere umano, di una sorgente che da Eraclito arriva fino a Marx e Lenin, passando per Cusano, Giordano Bruno, Kant e molti altri.[4]

[1] A. Banfi, L’uomo copernicano, Mimesis; D. Burgio, M. Leoni e R. Sidoli, Cento miliardi di galassie, La Città del Sole, cap. primo.

[2] Platone, Cratilo, Kelkoo.

[3] G. Fornari, Eraclito: la luce dell'oscuro, Olschki.

[4] E. Ilyenkov, Logica dialettica, Progress, p. 117-128, 166-183; V.I. Lenin, Quaderni filosofici, Einaudi, p. 201.

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