La lotta (sotterranea) tra Londra e Usa per le risorse ucraine
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Non accennano a placarsi le lacrime dell'italica stampa euroguerrafondaia per la «scena di bullismo internazionale che è andata in onda alla Casa Bianca» (La Stampa) venerdì scorso e le lamentazioni per «la violazione del diritto internazionale e la sicurezza dell'Europa dell'Est» (idem) minacciata, ca va sans dire, dall'”autocrate del Cremlino” che, dopo l'Ucraina, punterà certamente «a Romania e Moldavia», per poi, c'è da giurarci, seguire le orme dello zar Alessandro I e arrivare fino a Parigi dove, in mancanza di una figura degna della storia mondiale come quella del grande Napoleone I, avrà a che fare coi nani eurobellicisti della UE orfani di leader.
Ma, come sono andate davvero le cose tre giorni fa allo studio ovale della Casa Bianca? La più che meritata pubblica fustigazione del jefe de la junta golpista ucraina è stata davvero una “improvvisata” senza copione e senza suggeritori?
A parere del politologo ucraino Ruslan Bortnik, che ne parla sul proprio blog, la vera ragione del fallimento dei negoziati di Zelenskij a Washington è che c'è una lotta sotterranea tra americani e britannici per il controllo delle ricchezze naturali e dei porti dell'Ucraina. E inoltre, nello specifico della baruffa in diretta TV, Zelenskij sarebbe andato a Washington senza aver concordato il futuro accordo: esattamente tutto il contrario di come vengono organizzati gli incontri a tali livelli. Insomma: abbastanza difficile da credere.
«Ancora prima della visita di Zelenskij a Washington», dice Bortnik, rimanevano irrisolte «enormi contraddizioni strategiche tra Ucraina e Stati Uniti. Solo il nostro governo cercava di dire che tutto era pronto, tutto era stato concordato, creando un'illusione di successo lontana dalla realtà».
Un po' quanto affermato anche dallo storico ucraino Jaroslav Gritsak, intervistato dal Corriere della Sera (alla maniera del Corriere, s'intende, spargendo lacrime perché il nazigolpista-capo sarebbe stato provocato da Trump e Vance, accusandolo «indebitamente di rischiare la Terza guerra mondiale, quando è stato Putin a invadere l’Ucraina»: il tradizionale argomento filisteo borghese per cui non ci sono che “aggredito” e “aggressore”, mentre tutta la politica che c'è stata prima e che continua tutt'oggi non conta nulla. Ma questo è un altro discorso), secondo il quale Zelenskij è stato quantomeno “frettoloso”, dato che lo «stesso inviato di Trump a Kiev, Keith Kellogg, gli aveva consigliato di aspettare ad andare a Washington. Ma lui ha forzato i tempi, voleva anticipare Putin. Ed è finita con Zelenskij che ha inutilmente cercato di rubare la scena a Trump. Non dimentichiamo che l’incontro era stato chiesto dagli ucraini. Vista dalla parte americana, la firma dell’accordo sullo sfruttamento delle risorse ucraine poteva essere fatta anche senza la presenza del presidente. E Trump davvero voleva che si firmasse».
Tra l'altro, a parere di Bortnik, per cercare di attenuare le contraddizioni sussistenti, l'accordo era stato diviso in tre parti. E quel giorno si sarebbe dovuta firmare solo la prima parte, cioè il quadro generale, senza precisi parametri, né garanzie di sicurezza, né cifre sulla divisione dei profitti. Un «accordo quadro che non significava assolutamente nulla», dice Bortnik; tanto più che, per Trump, sarebbe stato appena un modo per dimostrare che “non siamo come Biden, che ha sperperato denaro”»: in questa fase, per il presidente USA questo sarebbe bastato.
In realtà, afferma il politologo ucraino, la vera ragione della controversia potrebbe essere che Zelenskij ha già da tempo ceduto tutte le ricchezze dell'Ucraina agli inglesi. Così che, ora, ci sarebbe una lotta per spostare l'Ucraina dal fittizio controllo dell'asse franco-britannico, al controllo della nuova amministrazione yankee. «Dietro le quinte, si dice che qualcosa di simile a questo accordo tra Ucraina e Stati Uniti sia nella parte segreta dell'accordo centenario tra Ucraina e Gran Bretagna. Potrebbe essere questo il motivo dell'aspra polemica, del litigio tra Trump e Zelenskij».
Tutto questo parrebbe in parte confermato da alcune dichiarazioni di funzionari francesi, secondo i quali anche Parigi vorrebbe prender parte alla divisione del bottino uscente dalle risorse naturali ucraine. E, dietro ai francesi, dice ancora Bortnik, si è già formata «una fila di pretendenti, nonostante che la convenienza economica del progetto rimanga molto bassa. Secondo le stime più ottimistiche, si tratterebbe di un 1 o al massimo un 10% dei 15 trilioni di dollari di materie che possono essere estratte dal sottosuolo ucraino su scala industriale. Si tratta, ovviamente, di un sacco di soldi. Ma molto al di sotto di quanto viene dichiarato».
Di fatto, a parere di Bortnik, gli USA starebbero sfidando «Gran Bretagna e Francia, cercando in maniera nascosta di monopolizzare l'Ucraina. Kiev e Zelenskij, invece, vedevano l'accordo come un documento che avrebbe aperto la strada ai finanziamenti e alla garanzia che USA avrebbero mantenuto la loro presenza nel paese e, naturalmente, sostenuto il governo ucraino. Ma nell'accordo quadro non c'è nessuna di queste cose».
D'altronde, nota su Komsomol'skaja Pravda il docente di diritto internazionale dell'Università di Mosca, Jurij Ždanov, da parte americana è andata in scena una rappresentazione, «preparata in anticipo secondo tutte le regole dell'arte teatrale». Tanto per cominciare, il clown, alla stregua di un «misero impiegato colpevole, che viene convocato alla presenza del capo, è stato ostentatamente chiamato a Washington fissandogli data e ora precisa». E non l'hanno nemmeno fatto di nascosto. Hanno invitato i media. Quindi, «l'ingenuo e inesperto Zelenskij viene abilmente provocato e condotto al risultato desiderato, con una fustigazione dimostrativa e umiliante. Voto con lode alla regia!», dice Ždanov, secondo il quale, tutta la commedia serviva soprattutto agli americani.
In soldoni: Donald Trump, da consumato uomo d'affari, ha bisogno di un accordo, in particolare sugli elementi da terre rare estraibili in Ucraina. Zelenskij non vuole firmare l'accordo senza garanzie di sicurezza per il suo regime e per se stesso. Trump non vuole assumersi impegni di questo tipo, che lo distraggono da questioni più importanti. Dunque, afferma Ždanov, la Casa Bianca ha soltanto bisogno di cambiare il soggetto che firmerà, a nome di Kiev, il pezzo di carta che gli verrà presentato dagli yankee: ecco quindi che Trump non fa altro che «cambiare quel “soggetto” in modo spettacolare e vistoso, come esempio per altri eventuali “dissenzienti”».
Anche perché, stando alle voci che circolano sempre più insistentemente, in gioco ci sarebbe il ripristino del gasdotto North stream, fatto saltare nel settembre 2022, con Zelenskij ben in sella alla junta nazigolpista di Kiev. E, se l'affare dovesse davvero andare in porto, i profitti per gli USA supererebbero non di poco quelli attesi dalle “terre rare”. Secondo la tedesca Bild, infatti, nelle ultime settimane l'inviato presidenziale USA Richard Grenell si sarebbe recato più volte in Svizzera per negoziare la riapertura dell'impianto, in base a un accordo che prevederebbe la presenza di investitori americani quali intermediari per le forniture di gas russo attraverso Nord Stream 2. Il ripristino del North Stream dovrebbe servire anche per la fornitura di idrogeno verde dalla Finlandia alla Germania.