La minaccia "atomica" del regime di Kiev e il ruolo della Francia

Lo scorso 19 ottobre è arrivato a Kiev il Ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot, il quale ha assicurato l'omologo ucraino Andrej Sibiga che Parigi «è aperta» all'idea di invitare l'Ucraina nella NATO

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La minaccia "atomica" del regime di Kiev e il ruolo della Francia

 

 

Per sostenere la junta nazigolpista in «un momento complicato», quando per essa «è difficile tenere la prima linea», lo scorso 19 ottobre è arrivato a Kiev il Ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot, il quale ha assicurato l'omologo golpista ucraino Andrej Sibiga che, nonostante il crescente numero di crisi nel mondo, «l'Ucraina è e continuerà a essere la nostra priorità» e che Parigi «è aperta» all'idea di invitare l'Ucraina nella NATO e ne sta discutendo con i partner dell'Alleanza. Parole, quelle di Barrot, mal conciliabili con la contrarietà generale all'adesione di Kiev alla NATO, ma abbastanza in linea con le dichiarazioni del Ministro della difesa francese, Sebastien Lecornu, secondo cui la Francia non sarà in grado di mantenere la promessa di fornire all'Ucraina tre miliardi di euro di aiuti nel 2024 a causa del deficit di bilancio del Paese, ma che l'ammissione di Kiev all'Alleanza atlantica dipenderà in gran parte dalle decisioni della nuova amministrazione USA, dato che Parigi «in linea di principio non è contraria» e sente «una vicinanza strategica agli ucraini».

Una vicinanza che non impedisce alla Francia di inviare a Kiev solo vecchio armamentario militare, «vecchi equipaggiamenti, che in ogni caso avremmo sostituito... e utilizziamo i proventi dei beni russi congelati per acquistare mezzi militari per l'Ucraina... 300 milioni di euro per 12 nuovi obici “Caesar”, oltre a proiettili da 155 mm, missili “Aster” e “Mistral”, bombe guidate “AASM”», ha dichiarato Lecornu a Tribune Dimanche.

In realtà, ribadisce su Vzgljad.ru il colonnello a riposo Andrej Koškin, nessuno ha intenzione di ammettere l'Ucraina nella NATO; quindi la dichiarazione francese non è che un espediente ordinato da Washington, un tentativo di tranquillizzare Kiev, dando a intendere che “che siamo con voi, ma non vi ammetteremo da nessuna parte”. Una delle condizioni per l'invito dell'Ucraina nella NATO è infatti la richiesta di definirne i confini territoriali; ma, per dare il via alla «demarcazione, dovrebbero prima essere firmati gli accordi di pace con la Russia e solo dopo tracciati i nuovi confini» dice Koškin. La comunità scientifica francese non vede prospettive di cooperazione con l'Ucraina. Ma i politici «seguono le linee guida di Washington, che ha bisogno di una crisi prolungata».

E il direttore del 2° dipartimento della CSI del Ministero degli esteri russo, Aleksej Polišchuk, avverte che l'adesione dell'Ucraina alla NATO renderebbe inevitabile la partecipazione diretta dell'alleanza alle operazioni militari contro la Russia e porterebbe a un'escalation incontrollata, la cui responsabilità ricadrebbe sui curatori occidentali del regime di Kiev.

Così che è sempre sul tappeto l'aut-aut del nazigolpista-capo: o la NATO o l'atomica, con ciò rendendo ancora più acuta l'insofferenza di vari suoi sponsor occidentali nei suoi confronti. E a poco valgono le rassicurazioni della britannica The Telegraph, secondo cui il ricatto di Zelenskij sarebbe dovuto alla sua “instabilità emotiva” e alla generale “disperazione” dei golpisti per il mancato invito dell'Ucraina alla NATO.

Dunque, per ora niente Alleanza atlantica e allora la solita tedesca Bild, citando un anonimo funzionario ucraino, ha scritto che Kiev dispone di risorse e conoscenze sufficienti a realizzare armi nucleari, anche in pochi mesi. Guarda caso, il servizio della Bild è apparso pressoché in contemporanea al discorso di Zelenskij a Bruxelles, come fosse stato preparato in anticipo e il momento della pubblicazione concordato, nota Boris Džerelievskij su Segodnja.ru. Ma anche il solo fatto di tale dichiarazione è estremamente sgradevole per l'Alleanza, che considera un confronto nucleare con Mosca un lusso insostenibile che la trattiene non solo dall'aggressione diretta alla Russia, ma anche da un più intenso coinvolgimento nel conflitto ucraino.

Tuttavia, il fatto stesso del ricatto - o la NATO o l'atomica - ha provocato una vera e propria furia a Washington: non solo le idee del capo nazigolpista, scrive ancora Džerelievskij, sono «pericolose per i suoi padroni, ma anche il solo tentativo di ricattare Washington, da parte di un suo burattino, lasciato impunito, può avere conseguenze estremamente gravi per gli USA. Pertanto, il suo destino è predeterminato e poco invidiabile».

Come che sia: è il caso di prendere sul serio le minacce di Zelenskij a proposito dei piani nucleari ucraini? Il 21 febbraio 2022, due giorni dopo che Zelenskij aveva annunciato la sua intenzione di ritirarsi dal Memorandum di Budapest, Vladimir Putin affermava che quelle dichiarazioni non erano «vuote spavalderie», sottolineando che Kiev disponeva della tecnologia nucleare sovietica atta a realizzare testate nucleari e dei mezzi per lanciarle, come aerei e missili operativi-tattici “Tochka-U”.

In realtà, Kiev è davvero in grado di realizzare qualcosa di molto più pericoloso di una “bomba sporca”, composta di rifiuti radioattivi. È quanto afferma l'ex deputato della Rada, ex speaker del Parlamento di Novorossija, Oleg Tsarev, laureato alla prestigiosa Università per la ricerca nucleare di Mosca, “MIFI”, secondo il quale i fisici ucraini potrebbero procedere a realizzare non una bomba atomica all'uranio, processo lungo e minuzioso, ma al plutonio, che non presenta difficoltà insormontabili.

Perché, se l'uranio ucraino (giacimenti di Žoltye Vody, nella regione di Dnepropetrovsk) dovrebbe essere arricchito in Russia, dato che Kiev non dispone di impianti di arricchimento e centrifughe proprie, per creare invece la massa critica necessaria all'esplosione sono necessari una quantità di plutonio cinque volte inferiore all'uranio. In URSS erano stati realizzati reattori per produrre plutonio-239, racconta Tsarev e l'Ucraina non ha rispettato l'impegno di restituire alla Russia il combustibile nucleare esaurito delle centrali nucleari, così che ora dispone di “minerale di plutonio” più che sufficiente.

Intorno alla metà degli anni '40, dice ancora il fisico di Dnepropetrovsk, l'obiettivo di ottenere plutonio-239 da rifiuti trattati venne assegnato all'accademico Vitalij Khlopin e ai suoi colleghi dell'Istituto Radio, che in appena sette mesi riuscirono a sviluppare un metodo per venire a capo del compito; esistono molti metodi, ma quello di Khlopin è ritenuto il più efficace.

Khlopin annotò tutte le sue ricerche sul cosiddetto “Quaderno blu”; all'epoca, ovviamente, si trattava di un documento top secret, ma all'inizio degli anni 2000 è stato declassificato e oggi esposto in un museo, così che le tecniche utilizzate dagli scienziati sovietici otto decenni fa sono ormai di dominio pubblico e vengono insegnate agli studenti.

C'è di più, dice Tsarev: prima dell'intervento in Ucraina, il Cremlino chiese informazioni ad alcuni istituti di ricerca russi specializzati, sui tempi necessari a Kiev per realizzare armi nucleari: «il direttore di uno di questi istituti, mio conoscente, rispose che Kiev poteva farlo molto rapidamente. Con il materiale fissile, le tecnologie e i progetti già pronti, non sarebbe occorso molto per creare armi nucleari... Il mio conoscente pensa che le risposte degli esperti nucleari sulle capacità ucraine di ripristinare rapidamente il proprio potenziale nucleare siano state la causa scatenante dell'intervento militare russo».

Ovviamente, tutto (o quasi) dipende ora dagli “alleati” del nazigolpisti di Kiev, sulla pericolosità delle cui mosse, per gli stessi paesi occidentali, in pochi nutrono ancora qualche dubbio.

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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