La minaccia di Israele

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La minaccia di Israele

 

di Giuseppe Giannini

Israele rappresenta una minaccia per la convivenza pacifica in Medio Oriente. L'accresciuta conflittualità con le realtà islamiche (sciiti e sunniti, l'Iran e la Turchia), mette in pericolo la democrazia. Uno Stato nato grazie all'occupazione dei territori palestinesi, consentita dalle potenze occidentali come forma di risarcimento  a causa dell'Olocausto, che nel corso del tempo ha acquisito una tale potenza da farne uno dei Paesi più influenti sullo scenario politico internazionale.

Gli Stati Uniti d'America sono l'alletato principale, l'amico fedele che ha permesso ogni tipo di sopruso. Questo perchè le lobby ebraiche, presenti anche in Europa, i fanatici religiosi integralisti (come il radicalismo di matrice araba), e il sionismo, quale movimento transnazionale, permeano le scelte statunitensi: dalle candidature alla politica estera. Nei decenni la comunità internazionale ha tenuto gli occhi chiusi, accettando, nel caso israeliano, di derogare al rispetto dei diritti umani e al principio della non ingerenza. Sono state sopportate le occupazioni, i nuovi insediamenti, le violenze dei coloni e dell'apparato amministrativo-militare. Regimi di segregazione, apartheid legalizzato, detenzioni  ed uso eccessivo della forza anche verso i minori, torture.

Ogni genere di abuso giustificato dalla lotta per la propria sopravvivenza contro gli attacchi terroristici, ma nel complesso contro la resistenza di un intero popolo, che reclama il diritto di esistere, di essere riconosciuto. Le risoluzioni dell'ONU relative al rispetto delle convenzioni internazionali puntualmente disattese.

Ci sono stati un prima ed un dopo. Bisognerebbe contestualizzare i singoli eventi, i passaggi determinanti e fare delle distinzioni. Gli accordi di Oslo nel 1993 prefiguravano una speranza: la possibilità di coabitazione fra i due popoli. Sappiamo come è andata. Successivamente la presa del potere da parte delle destre da Sharon (già protagonista in negativo dell'eccidio di Shabra e Shatila) a Netanyahu e una serie di accadimenti hanno reso ancora più complicato il dialogo. Le intifade e la corruzione in seno all'ANP; lo scontro per la leadership tra Fatah ed Hamas; la scomparsa dei leader storici, figure riconosciute in sede internazionale come Yasser Arafat, e la detenzione ultraventennale di Marwan Barghuthi. Fattori che hanno contribuito ad intensificare il dominio sionista, complice il silenzio delle democrazie occidentali, interessate a stringere alleanze commerciali e di partneriato militare con gli israeliani, e a tenere nascosta la questione palestinese.

Intere generazioni di palestinesi private di possibilità. Traumi vissuti, raccontati (chiunque abbia conosciuto un palestinese emigrato in Europa sa quali e quanti sofferenze hanno subito), rimasti inascoltati. Ed ora il vuoto di tanti che non si riconoscono in nessuna delle organizzazioni storiche. Mentre si rafforza l'aderenza verso componenti estremistiche come unica via di uscita dall'oppressione, ma che rischia di far ricadere nell'arretratezza culturale e in una diversa forma di tirannia i sottoposti. E' quanto avviene sotto le teocrazie, o nelle repubbliche islamiche del velo ( dall'Iran all'Afghanistan, dalle petromonarchie alla Siria). Il fanatismo al potere.

Il dopo ha luogo con l'attentato del 7 ottobre del 2023. L'inizio di una fase che per Israele segna un passaggio storico epocale, e che così ha avuto il suo 11 settembre. E, come nel caso americano, gli ebrei al potere stanno rimodellando gli eventi  e ridisegnando gli equilibri.

Con il Patriot Act il securitarismo americano è andato oltre confine ( i sequestri della CIA), contemplando le torture (Guantanamo, Abu Ghraib) al fine di controllare, ed esportare la guerra al terrore. Dopo i fatti di Hamas la guerra è verso la popolazione civile palestinese. Le dichiarazioni dei coloni, dei ministri israeliani, e dell'amministazione Trump parlano chiaramente di deportazione. Non c'è posto per loro nelle terre in cui sono nati. Nel frattempo i media distraggono l'opinione pubblica, nascondono le enormi manifestazioni di protesta e di solidarietà con le vittime che hanno luogo in tutte le città europee ed americane, fanno propaganda. Da noi uno su tutti Enrico Mentana, che dopo aver messo in dubbio il numero dei morti tra i palestinesi, adesso evita di usare il termine coloni per non farsi capire dagli ascoltatori. Intanto le violenze non si fermano.

Le uccisioni, ed anche le detenzioni arbitrarie nei confronti dei giornalisti indipendenti che provano a raccontare il dramma. Israele decide di andare avanti. Con il sostegno di armi e tecnologie occidentali, tanto che diverse aziende europee sono coinvolte nella cybersicurezza israeliana. Quelle automobilistiche in crisi strutturale di approvvigionamento appaltano commesse nell'high tech o sono destinate ad essere convertite nelle produzioni belliche per far riprendere l'economia di guerra cara al duo Von der Leyen- Draghi (gli 800 miliardi!).

I fondi di investimento lucrano. Nessuno potrà intromettersi e cercare di bloccare il compito secolare di appropriazione e distruzione. Il genocidio è in atto. Il colonialismo si allargherà ai territori sul confine siriano. Gli ostaggi ancora in mano ad Hamas saranno le ultime vittime da sacrificare pur di non scontentare le ambizioni dei coloni.

Nel resto del mondo i sistemi di intelligence, il Mossad, ed i software spia sono operativi.

Nessuno è più al sicuro. Qualcuno auspicava una grande manifestazione sullo stile di quella a favore dell'Europa (di guerra) promossa da Repubblica, e co-finanziata dal comune di Roma per oltre duecentomila euro. Soldi che avrebbero potuto essere spesi a sostegno di iniziative di pace o destinate alle popolazioni sofferenti.

Si sa, i benestanti hanno una concezione tutta loro della democrazia, che mette al centro il dominio dell'uomo bianco. Allora Netanyahu approffitta del momento tentando di far approvare quella riforma della giustizia che ha l'intenzione di depotenziare il settore giudiziario e  di sottoporlo alla volontà dell'esecutivo.

Un pò come sta accadendo in altre democrazie liberali e da noi. Tentativo di riforma che vede accese proteste nelle città israeliane, allo stesso modo di quelle avvenute due anni fa prima dei fatti di Hamas. Pare che adesso anche i nostri media se ne siano accorti. D'altro canto il premier israeliano, al pari dell'omologo ucraino, poggia la propria permanenza al potere sull'economia di guerra e la deriva autoritaria. In mancanza delle quali, in considerazione anche di ulteriori elementi quali la corruzione, le indagini che lo riguardano ed il mandato di cattura internazionale predisposto dalla CPI, decadrebbe.

In sintesi, la convivenza fra le regioni, nelle aree in cui sono presenti conflitti, vista anche la situazione ucraina e la permanenza delle velleità capitalistiche (l'altra faccia dell'imperialismo), è messa in serio pericolo.

Lo strapotere antidemocratico israeliano si palesa al di fuori dei suoi confini. Nel momento in cui in Occidente le discussioni sul genocidio vengono impedite, e sono tantissimi i casi, ad esempio la polizia in Germania che ha vietato l'incontro in cui avrebbe dovuto parlare la relatrice speciale dell'ONU Francesca Albanese, o l'arresto con minaccia di espulsione in America per l'attivista Khalil, oppure l'interrogatorio dello storico israeliano Ilan Pappè da parte dell'FBI per un post antisionista su facebook, o il boicottaggio all'incontrario nelle università "libere", diventa evidente che quando le controversie riguardino l'operato di Israele le democrazie arretrano.

Se in passato le critiche scomode passavano per antisemitismo, adesso il mutamento nella gestione del dibattito politico pur di non disturbare i sionisti decide di sospendere le stesse regole democratiche. Con buona pace dei finti paladini del rispetto del diritto internazionale come il Presidente Mattarella.

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