La missione di Orban e il "sospiro di sollievo" de il Manifesto

La missione di Orban e il "sospiro di sollievo" de il Manifesto

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di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico 

 

Le cose vanno decisamente male per il führer della junta nazigolpista: affidabilità per la sua condotta estera scesa al 40% (contro il 48% di sfiducia) nei paesi NATO, secondo il sondaggio dell’americana Pew Research Center; un intero gruppo di caccia Su-27 liquidati (5 distrutti e 2 danneggiati) al suolo da missili “Iskander” russi all’aerodromo di Mirgorod, nella regione di Poltava: chiaro segnale per l’eventuale dislocazione di F-16 in aeroporti ucraini; ancora una ripetizione della beffa di Avdeevka, questa volta nell’area di Toretsk, con reparti russi che hanno preso alle spalle un’intera guarnigione delle linee di difesa ucraine, passando per canalizzazioni sotterranee.

Per fortuna c’è il manifesto, che tira un sospiro di sollievo perché Orbàn, sinora «solo leader europeo a non essere andato in Ucraina», si è ora recato «finalmente a Kiev», nel secondo giorno del semestre di presidenza ungherese alla UE. Naturalmente, il solo motivo che ha spinto Orbàn a Kiev, è dato dalle «fantasticherie imperialiste dei nostalgici della “Grande Ungheria”», che vedono nella disfatta dell’Ucraina golpista l’occasione per «un’annessione dei territori di confine sui quali vivono queste minoranze magiarofone».

Ora, lasciamo a chi pare ogni simpatia, sia pur limitata a questioni marginali, per il premier ungherese; fatto sta che – lo ammettono addirittura a il manifesto - «Orbán ha esortato il leader ucraino a prendere in considerazione un cessate il fuoco preventivo per “accelerare i colloqui di pace”». E questo, anche se esposto per ora solo a parole, è un fatto che spinge in una direzione poco gradita, sia a Bruxelles che, pare, a via Bargoni.

Il lato forse più “malefico” (secondo i filomajdanisti de il manifesto) di tutta la giornata è però dato dal Ministro degli esteri magiaro, Peter Szijjarto, che si è sentito al telefono con Sergej Lavròv; con quest’ultimo che non poteva parlare altro che «capziosamente» dei diritti di tutte le minoranze nazionali venutesi a trovare in territorio ucraino dopo il 1945. Non sia mai che, «capziosamente», qualcuno a Roma si ricordi delle dispute territoriali polacco-ucraine o rumeno-ucraine, oppure della legge golpista che impone la lingua ucraina a tutte le minoranze nazionali: russe, slovacche, polacche, rumene o ungheresi che siano.

Alla fine, in ogni caso, rimangono le parole di Orbàn, omesse dai più: Zelenskij non è convinto dell’idea del cessate il fuoco in vista di colloqui di pace. In un’intervista alla svizzera Die Weltwoche, Orbàn ha detto che el jefe della junta nutre «dubbi a proposito» del cessate il fuoco; non è «assolutamente entusiasta di ciò. Ha ripetuto: pensiamoci, riflettiamoci. Ha una certa brutta esperienza del precedente cessate il fuoco che, secondo lui, non era stato buono per l’Ucraina». Ma: chi era stato a imporre la fine dei colloqui russo-ucraini in Turchia al loro secondo giorno, nel marzo 2022?

In sostanza, come nota Oleg Khavic su Ukraina.ru, il motto della visita di Orbàn in Ucraina potrebbe sintetizzarsi in "me ne lavo le mani": ha proposto di fermare lo spargimento di sangue e ha ricevuto un rifiuto da Kiev e dai suoi padrini americani.

Pare che Zelenskij tenesse particolarmente a vedere Orbàn a Kiev: da quando è diventato presidente (carica ormai per lui divenuta illegittima dopo il 21 maggio) non aveva avuto un solo incontro vero e proprio col premier ungherese, anche perché Budapest considera discriminatoria la politica di Kiev nei confronti della comunità ungherese in Transcarpazia. Di più: tra tutti gli esponenti che, soprattutto dopo il febbraio 2022, hanno fatto la fila per farsi immortalare insieme al führer in maglietta haute couture, Budapest è l'unica capitale NATO che ha ufficialmente rifiutato di fornire armi a Kiev, o anche solo di fare transitare.

Ora, la visita a Kiev sarebbe stata resa possibile dall’accoglimento promesso da Kiev delle undici condizioni ungheresi relative ai diritti della minoranza magiara di Transcarpazia, oltre che dalle pressioni (molto finanziarie) di Bruxelles su Orbàn.

Alla vigilia della visita, intervistato dal canale M1, il premier ungherese aveva detto che la UE deve prepararsi a una situazione in cui russi e americani, alla fin fine, si metteranno d’accordo; e, a quel punto, «dove sarà il posto dell’Europa? Chi rappresenterà i nostri interessi? E quali sono i nostri interessi?».

Insomma, a fronte di jefe della junta che ha cercato in ogni modo di evitare la questione del cessate il fuoco, Orbàn gli ha fatto notare che le iniziative ucraine (del tipo della sceneggiata svizzera a Lucerna) «richiedono molto tempo, considerate le regole diplomatiche. Ho dunque chiesto al signor presidente se non si possa procedere un po’ diversamente: prima di tutto il cessate il fuoco, dopo di che condurre colloqui con la Russia; dopotutto, il cessate il fuoco accelererebbe i tempi dei colloqui».

La risposta ufficiale di Kiev, recapitata per bocca del segretario di un segretario, Igor Žovka, è arrivata dopo la partenza di Orbàn e dopo evidenti “consultazioni” con Washington: «L’Ucraina vuole davvero la pace e a tale scopo c’è un unico strumento: il summit della pace». Dopo di che è arrivata anche la risposta del Dipartimento di stato: «USA e NATO hanno chiaramente affermato che la soluzione è una sola: la Russia deve semplicemente ritirarsi dal territorio ucraino». Punto.

E, “dettaglio” non di poco conto, secondo dati pubblicati politologo ucraino Ruslan Bortnik, almeno un 30% di ucraini si dichiara contro colloqui di pace; e si tratta, come si può intuire, di persone in armi, molto neonaziste e anche attive e aggressive nei confronti del restante 70% che vorrebbe la pace. Si può spiegare così anche il fatto che la risposta di Kiev sia stata affidata al vice del consigliere presidenziale Andrej Ermak: Zelenskij e Ermak possono sempre dire di non aver mai detto di non volere la pace e, di contro, nemmeno di volerla.

In sostanza, nota Oleg Khavic, con il viaggio a Kiev Orbàn si è di fatto dispensato dalla responsabilità di ulteriori colloqui di pace e l'ha trasferita su chi lo ha, di fatto, inviato da Zelenskij; ha anche detto che avrebbe iniziato la sua "missione di pace" sull'Ucraina con visite in Germania, Francia e Italia. «Ora molto dipende dai "grandi leader" UE», ha detto Orbàn.

Ovviamente, le sue parole sono state riportate come “Orbàn agisce come inviato dell’ex presidente Trump”. Il quale Trump, tuttavia, nota efficacemente Elena Murzina ancora su Ukraina.ru, proprio ora non ha bisogno della pace, che favorirebbe Biden e gli impedirebbe di tener fede alla sua “promessa” di far cessare la guerra in quattro giorni dopo esser stato eletto presdente.

Insomma: Orbàn non sembra né “agente del Cremlino” quale, ovviamente, viene dipinto dai media del regime di Bruxelles; né “inviato di Trump” a rompere le uova al macilento Biden. Con tutti i distinguo del caso e considerate anche diverse sue giravolte politico-diplomatiche, egli non è che il degno connazionale di quel György Šoroš, noto ormai da tempo col famigerato nome di George Soros. Ma se, dopo le “rivoluzioni colorate” esteuropee del finanziergolpista a capo della Open Society, Orbàn riuscisse ad aprire uno spiraglio che non sia la guerra, allora prendiamoci pure un novello “Šorobàn”.

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