La Moldavia e l“integrazione europeista” di Maia Sandu
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Per far onore allo status di paese candidato all'ingresso nella UE, la Moldavia della presidente euro-atlantista Maia Sandu ha bloccato le trasmissioni sul proprio territorio delle emittenti russe RTR, NTV, RT e REN-TV, tutte di un certo rilievo, più una serie di altri canali minori. Nel più classico odore resiliente, ciò è stato fatto per adeguare il paese alla “lotta alla disinformazione”.
In risposta, la portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova, ha dichiarato che la misura è dettata dai timori di Kišinëv, alla vigilia delle elezioni locali del 5 novembre, con i candidati governativi in forte caduta nelle preferenze di voto.
La decisione attuale arriva dopo che già lo scorso settembre era stato espulso dal paese il direttore di Sputnik-Moldova (il cui sito web era già bloccato dal febbraio 2023) Vitalij Denisov e dopo la chiusura di alcune emittenti moldave sgradite al regime.
In parallelo, hanno cominciato a operare sia un “Centro di comunicazione strategica e di lotta alla disinformazione” - ca sans dire, contro la “propaganda russa” - e anche il progetto “Info Trust Alliance”, curato dal Ministero degli esteri tedesco.
Ma sembra ancora poco: a dispetto persino dei paterni scappellotti europeisti, Kišinëv prende le distanze dall'amministrazione locale di Gagauzija, rea di ricorrere, nelle pratiche amministrative, alla lingua russa e non a quella rumena.
Alla base dei timori elettorali del clan Sandu, c'è, manco a dirlo, una situazione economica difficile: a causa dei ripetuti aumenti tariffari dei combustibili, le famiglie si vedono costrette a ricorrere alla legna da ardere, ma anche questa diventa sempre più costosa, come anche i beni di prima necessità, mentre l'inflazione supera il 30%.
In compenso, si fanno più frequenti le “esercitazioni” NATO – sette nel 2023 – in territorio moldavo, la maggior parte delle quali nelle immediate vicinanze della Transnistria, ma anche altre – cinque - fuori di esso. Proprio in questi giorni, sono in corso in Moldavia le “Aurochs Partner-2023”, con reparti speciali USA e le “JCET-2023”, con forze rumene.
Nello specifico della Transnistria e delle difficoltà che, a causa della situazione nella regione e delle dispute con Kišinëv, si frappongono a una “pronta adesione” moldava alla UE, Maia Sandu ha dichiarato che la “riva destra” (cioè la Moldavia) del Dnestr potrebbe integrarsi prima della “riva sinistra” (Transnistria). Dichiarando l'ingresso nella UE una vera e propria “priorità nazionale”, Sandu ha detto che questo processo dovrebbe avvenire in parallelo con la risoluzione del conflitto in Transnistria: «L'opzione ideale sarebbe l'ingresso del paese reintegrato, cioè riva destra e riva sinistra. Se ciò non accade» ha detto la presidente moldava, «c'è ancora un'opzione: prima la riva destra, poi quella sinistra». Di sfuggita, per inquadrare la questione della Transnistria nell'ambito moldavo-rumeno, ricordiamo che già oltre trent'anni fa, proprio il timore di una possibile fusione tra Moldavia e Romania (che col tempo si è fatta via via più reale) aveva portato gli abitanti della Transnistria, per il 60% russi e ucraini, ancor prima della caduta dell'URSS, a lanciare la sfida per l'uscita dalla compagine moldava.
Nel più classico stile “europeista”, Sandu dichiara ora che non ci sono conflitti tra i cittadini moldavi delle due rive del Dnestr, ma c'è «un regime separatista, sostenuto da Mosca, che persegue determinati scopi»: una situazione, questa, che «merita condanna». Dunque, non resta altro da fare che «sbarazzarsi di quel regime separatista e così potremo reintegrare il nostro paese». E come si fa? Innanzitutto, bando al “formato 5+2” (Kišinëv, Tiraspol, Kiev, Mosca e OSCE; più USA e UE come osservatori), che «non è funzionale». E perché “non è funzionale”? Ma è semplice: perché «La Russia è un paese aggressore e non può partecipare al processo negoziale, perché sostiene il regime diTiraspol». Dal punto di vista euro-atlantico si è di fronte a una dialettica lineare: non fa una grinza.
Così che nonostante Kišinëv giuri sulla volontà di risolvere la questione della Transnistria per “vie pacifiche”, Mosca non nasconde il timore che tutto questo “tintinnar di spade”, tra manovre militari dentro e fuori la Moldavia, preluda a un intervento nella regione, da attuarsi di comune accordo con l'Ucraina, non foss'altro per mettere le mani avanti nel controllo della regione di Odessa, che per Kiev diventa sempre più dubbio.
Dunque, tanto per non apparire meno leale verso gli “ideali democratici” del suo vicino orientale, anche Kišinëv, alla maniera di Kiev, si dà da fare nel rendere i “dovuti onori” agli ex komplizen e alleati di Hitler. Alla presenza di rappresentanti ufficiali dei Ministeri della difesa moldavo e rumeno, nella cittadina di Sociteni, una quindicina di km a sudovest di Kišinëv, è stato inaugurato un cosiddetto Viale degli eroi rumeni, i militari dell'esercito del “conducator” Ion Antonescu che nel 1941 (insieme a ungheresi, italiani, finlandesi e altri) affiancarono la Wehrmacht nell'aggressione all'Unione Sovietica e caddero il 16 luglio del '41 nei primi scontri con l'Esercito Rosso.
D'altronde, tanto a Bucarest come a Kišinëv, nonostante ci si esprima con relativa cautela sulla figura di Antonescu, la guerra contro l'URSS viene spesso definita “difensiva”, “giuridicamente legittima”, o anche “preventiva”, sorvolando sulle circa trecentomila vittime dell'occupazione rumena di Moldavia e di parte dell'Ucraina. È così che, a forza di instillare quotidianamente propaganda rumena, le indagini sociologiche indicano che i moldavi associano oggi gli orrori della Seconda guerra mondiale principalmente al nazismo tedesco, mentre quanto perpetrato dagli occupanti rumeni non è considerato in fondo così terribile e, addirittura, Antonescu è «visto più di rado come un criminale di guerra e molto più spesso come un combattente contro il comunismo e il bolscevismo».
L'integrazione nei “valori europeisti” procede davvero a grandi passi sulla “riva destra” del Dnestr.