La Nato va alla guerra
di Federico Giusti
Lo scarno comunicato finale dell’Alleanza Atlantica dopo il summit a Washington meriterebbe maggiore attenzione di quanta riservatale dalla stampa mainstream.
I paesi aderenti alla Nato ormai guardano all’Indopacifico come area di interesse nevralgico, prova ne sia l’incontro con i Capi di Stato di Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Corea del Sud per affrontare le sfide di sicurezza condivise e approfondire ulteriormente la cooperazione.
La cooperazione della quale si parla viene tradotta in termini militari con aumento sensibile delle spese militari di questi paesi impegnati da tempo in lunghe esercitazioni militare davanti alla Cina. Del riarmo giapponese ne parlano da tempo innumerevoli riviste, basti pensare a sistemi di arma di ultima generazione ormai prossimi a entrare in gioco, la spesa militare del Giappone è aumentata del 5,9% tra il 2021 e il 2022, raggiungendo i 46 miliardi di dollari e altrettanto crescerà nel prossimo biennio.
Nel comunicato finale leggiamo che la NATO sta lavorando sempre più strettamente con i partner dell'Indo-Pacifico e con l'Unione europea per contribuire a preservare la pace e proteggere l'ordine internazionale basato su regole È ormai acclarata la notizia dell’addestramento di truppe ucraine nei paesi della Nato e la stessa notizia che l’ingresso dell’Ucraina nella Alleanza Atlantica viene giudicato un fatto incontrovertibile. È stata ratificata la decisione di istituire l'assistenza e l'addestramento alla sicurezza della NATO per l'Ucraina, per coordinare la fornitura di attrezzature militari e l'addestramento per l'Ucraina assicurando alla stessa una base minima di 40 miliardi di euro di rifornimenti militari entro i primi mesi del 2025
Oltre agli aiuti decisi consideriamo anche gli accordi bilaterali di sicurezza stipulati da vari paesi con l'Ucraina coordinati dal Centro congiunto NATO-Ucraina per l'analisi, l'addestramento e l'istruzione in Polonia.
E nel frattempo la prima risoluzione del Parlamento europeo vede il Pd allineato con Fdi e FI, tutti insieme allegramente, si fa per dire, a votare l’utilizzo delle nuove armi date all’Ucraina per attacchi al territorio russo con una escalation militare destinata ad alimentare e allargare la guerra in corso.
In questi scenari si fa strada una nuova economia di guerra con tagli allo stato sociale per accrescere le risorse destinate ad uso militare e con enormi ricavi per le aziende produttrici di armi i cui titoli azionari sono in rapida e perenne ascesa.
Ma nella strategia della tensione non poteva mancare l’accusa della Nato alla Cina di fornire aiuti alla Russia ma ironia della sorte le componentistiche cinesi, in prevalenza elettroniche, sono assai più numerose nei sistemi d’arma Usa .
Il protezionismo e i dazi commerciali imposti da Washington riguardano anche il militare tanto che da tempo ormai le strategie sono state all’insegna della reinternalizzazione della produzione di tutta la filiera produttiva nel territorio statunitense, basti pensare che il 40% dei semiconduttori indispensabili per i sistemi d’arma Usa arriva direttamente dalla Cina e la catena dei fornitori dell’industria della difesa statunitense nel corso degli anni è quadruplicata, la dipendenza del Pentagono dall’elettronica cinese si è trasformato in un problema per un paese che si prepara ad allargare le aree di conflitto.
La decisione dopo il covid di reinternalizzare la produzione dei semiconduttori non era pensata solo a fini militari ma anche per evitare la dipendenza della manifattura dalla componentistica orientale visto che a produrre i semi conduttori sono anche altri paesi come Corea del Sud e Taiwan.
Resta il fatto che, mentre gli Usa accusano la Cina di fornire alla Russia strumenti di difesa e componentistica elettronica a fini militari, sono proprio gli Usa a dovere fare i conti con la dipendenza dai semiconduttori orientali
Argomento non banale ma utilizzato sapientemente a fini di propaganda bellica della Nato dimenticando che la riorganizzazione delle aziende belliche Usa nel corso dei decenni passati ha premiato operazioni speculative e finanziarie rifornendosi per alcune componenti dall’Oriente dove certi prodotti tecnologicamente avanzati costavano decisamente meno. E alcuni produttori orientali hanno intanto costruito sinergie e alleanze commerciali con multinazionali Usa e non ci meraviglieremmo a trovare qualche fondo di investimento tra gli azionisti delle imprese orientali.
L’attacco mediatico alla Cina occulta quindi una realtà assai più complicata quella di un paese in crisi, gli Usa, che per ragioni capitalistiche hanno evitato di sostenere maggiore capacità produttiva a proprie spese e nel tempo hanno preferito esternalizzare alcune produzioni dedicandosi a operazioni finanziarie che hanno rafforzato sensibilmente il valore azionario delle imprese di armi.
Occultare la realtà è ormai dirimente per giustificare le guerre e falsificare i dati è arma diffusa per le strategie di guerra .