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«Imprenditore cerca personale, ma nessuno accetta per non perdere il reddito di cittadinanza. Accade in Calabria».
In quella frase c'è qualcosa che non va. In realtà più di una.
Innanzitutto la solita mistificazione liberale e liberista che legge il mondo, quindi anche il lavoro, solo dal lato dell'offerta e non della domanda.
Perché, vedete, i salari del 75% circa dei lavoratori italiani, a parità di potere di acquisto, sono fermi ai primissimi anni 80.
Cioè veniamo da 40 anni di salari stagnanti.
In nome della stabilità dei prezzi. Che poi è il cardine della gabbia unionista in cui ci troviamo (UE ed Eurozona).
Come si permettono i lavoratori di chiedere salari dignitosi?
Come si permettono i lavoratori di chiedere almeno quanto previsto nella nostra Costituzione?
Come si permettono di ricordare l'articolo 36 in cui si dice che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»?
Poi quell'accade in Calabria che sembra - neanche troppo velatamente - ammiccare a una certa insopportabile, soprattutto falsa, retorica anti-meridionale.
Perché se quasi 250.000 giovani ogni anno sono costretti ad abbandonare la propria dimora, le proprie radici - il Sud - per andare a cercare lavoro al Nord e all'estero, vuol dire che non è certo un problema culturale. Non è insomma un problema di mancanza di voglia di lavorare. Anzi...
Lo volete sapere quale sarebbe stato un titolo corretto?
«Sfruttatore vuole pagare i lavoratori meno del reddito di cittadinanza. Accade in Italia».
Suona meglio, vero?