La reductio ad rossobrunum. Intervista a Orazio Maria Gnerre
di Giusi Greta Di Cristina
Carissimi lettori,
Ho conosciuto Orazio Gnerre quasi un anno fa, per comuni interessi politici. Da quel momento si è stabilito un interesse e mai banale interscambio tra noi e ho avuto modo di poterne apprezzare sempre più la preparazione teorica, la lucidità pratica, la vivace intelligenza e, perché no, anche la simpatia.
Negli ultimi tempi, Orazio è stato fatto bersaglio di accuse da parte di delatori variamente collocati: contro di lui accuse senza senso e l'uso spasmodico del termine "rossobruno", col quale veniamo attaccati un po' tutti quelli che abbiamo una visione differente del mondo rispetto alla "destra" alla "sinistra" del nostro Paese.
Per questo ho deciso di intervistare Orazio per il mio blog, sperando di fare chiarezza, per lui e per noi tutti.
Caro Orazio, come è cominciata la "guerra" nei tuoi confronti? Perché in quest'ultimo periodo è stato fatto il tuo nome?
Cara Greta, semplicemente nel 2014, all'inizio delle ostilità dello stato ucraino nei confronti delle popolazioni del Donbass, mi recai sul posto con un amico per documentare la situazione e portare solidarietà morale alla popolazione, quella che la stampa ha appellato semplicisticamente i “filorussi”. Ovviamente all'epoca all'Occidente non glie ne fregava nulla del destino di quella gente, che era sotto costante minaccia di morte da parte dei battaglioni della morte di Kiev, per gli stessi motivi per cui poco glie ne importa ad esempio della condizione del popolo yemenita ad esempio. Queste guerre in fondo sono tutte guerre per procura dell'Occidente. A causa di questo sono indagato da più di cinque anni, senza essere riuscito ad essere chiamato in giudizio o almeno ascoltato da un magistrato. Chiaramente attendo pazientemente e ho molta fiducia nelle istituzioni. Il punto non è tanto l'indagine, anche comprensibile da un certo punto di vista, quanto lo sciacallaggio sulla faccenda che è stato messo in atto da alcuni giornalisti qui in Italia. In pratica, mi si collega alla figura di Savoini, l'uomo della Lega implicato nel Russiagate all'amatriciana, perché l'avrei incontrato una volta nel 2013 per intervistarlo in quanto esperto di affari russi, e un paio di volte successivamente per altrettante conferenze pubbliche. Ora, benché abbia ribadito più volte di non avere rapporti né con Savoini (rimando alla mia intervista con Repubblica per la spiegazione per filo e per segno) né con il suo partito, con il quale come ho avuto reiteratamente modo di asserire «non condivido né la politica economica e fiscale (liberista), né la politica internazionale (l'atlantismo), né l'ideologia (l'occidentalismo, l'islamofobia...), né in ultimo l'impostazione metodologica (la guerra tra poveri)», alcuni di questi amabili giornalisti continuano a parlare a vanvera di questa cosa. Non sto parlando in questo caso del giornalismo professionistico: quando la notizia è balzata agli onori delle cronache, attraverso Repubblica mi è stato concesso il diritto di replica con un'intervista molto precisa. Ed anzi ringrazio il professionista che, con molta pazienza e dovizia, ha stilato un elenco di domande intelligenti e puntuali. Parlo piuttosto di certo giornalismo finto-indipendente che dagli USA è sbarcato in Italia, e che in questo caso ha prodotto un taglia e cuci delle mie affermazioni in modo da espungere tutte le affermazioni corrette e lasciare un profluvio di informazioni dove delle mie opinioni non rimane praticamente nulla.
Come definiresti l'abuso del termine "rossobruno"? Vogliamo ricordare a tutti cosa effettivamente significa?
Uno dei punti della questione in effetti è proprio questo label applicato in maniera indiscriminata dai suddetti giornalisti di determinate riviste. Uno di questi, tale Mattia Salvia, autore dell'articolo sulla faccenda pubblicato da Wired, in precedenza mi aveva “intervistato” per Vice in un lungo pezzo sui (cosiddetti) rossobruni. Le virgolette sono d'obbligo poiché il suddetto, malgrado le mie precisissime risposte alle sue domande ha ben pensato di isolare alcune frasi fuori contesto, ricontestualizzando tutto secondo un'opinione evidentemente prestabilita rispetto all'intervista stessa. Qualsiasi cosa avessi risposto, insomma, l'opinione era già stata formata. Per questo motivo ho ben pensato di rispondere per iscritto a quelle domande, così da conservare la prova provata di quello che ho veramente asserito (link qui), così da dimostrare il modo con cui queste testate fanno giornalismo. Insomma, anche dopo aver ribadito la mia estraneità agli ambiti dell'alt-right o del “bomberismo” (qualsiasi cosa quest'ultima categoria voglia significare...), spiegando anche con dovizia di particolari il perché, comunque mi sono ritrovato associato a questi ambienti. Della mia vera intervista rimanevano due stralci fuori contesto, che non servivano a spiegare molto delle mie idee. D'altronde, stando a quello che mi scrisse lo stesso giornalista, il Salvia, anche se mi ero precisamente discostato dall'etichetta di “rossobrunismo”, ed egli (almeno all'epoca) non credeva mi si addicesse, la redazione gli aveva imposto di scrivere così e via. Adesso invece quest'etichetta me l'ha applicata lui stesso, in quest'ultimo pezzo di cui vi parlo. Per spiegare cosa sia il rossobrunismo, vi rispondo quello che dissi anche nel 2017: era il termine con cui venivano chiamate le camicie brune del partito nazista che venivano dall'SPD o dal KPD e che erano in opposizione alla destra del partito, quella di Hitler. Ad oggi il termine ha assunto un miliardo di sfumature, ed è diventata una delle accuse più trendy del nostro XXI secolo. Praticamente a sinistra non conosco un'entità che non si sia beccata, una volta nella vita, l'accusa di rossobrunismo. È capitato pure ai Wu Ming che ne sono i massimi dispensatori. Siamo in un momento così distopico della storia dell'Occidente, che abbiamo potuto leggere sul Fatto Quotidiano Scanzi che si difendeva dalla medesima accusa. Penso che questo sia l'esito naturale di un altro fenomeno, che è la reductio ad hitlerum di cui ci parlava Leo Strauss, che è stato nel XX secolo uno degli strumenti retorici più abusati. È anzi l'essenza stessa di quello che io chiamo neo-antifascismo. Quest'ultimo, a differenza dell'antifascismo storico, non ha alcuna dignità culturale o politica. L'antifascismo (nelle sue varianti di qualsiasi colore, dai rossi delle Brigate Garibaldi, agli anarchici della colonna di Durruti, ai bianchi monarchici e cattolici, ai giellini ecc.) era il fenomeno determinato da un'entità politica non egemonica che combatteva contro un'entità politica egemonica, per l'appunto il fascismo. Il neo-antifascismo invece consiste nell'applicare l'etichetta fascista a tutto ciò contro cui ci si oppone politicamente, senza fare lo sforzo di analizzarlo nel suo contesto, che magari potrebbe pure aiutare a criticarlo meglio. Tipo, mi serve davvero il concetto di fascismo per criticare Salvini nel merito della flat tax, della xenofobia e così via? Il concetto di “rossobrunismo” è la derivazione logica di tutto questo. Se è più facile applicare l'etichetta di “fascismo” ai conservatori, alle destre (che nel 99% dei casi erano liberali ancorché autoritarie, ricorderete il termine “neoduce” che il PMLI coniò per Berlusconi), diviene più difficile per la sinistra liberal porre questa etichetta su posizioni progressiste, come l'opposizione all'imperialismo e al neocolonialismo, la difesa dei paesi indipendenti dagli “interventi umanitari”, la lotta per un equilibrio più equo nell'eurozona e, ebbene sì, la contrapposizione al capitalismo (qui non c'è nessuno che sostenga che Soros sia l'artefice di tutti i mali del mondo, è chiaramente un finanziere tra tanti, ma dall'altra parte c'è proprio chi sostiene sia un benefattore...). Allora esce fuori il termine “rossobrunismo”, per cui attenzione, anche se c'è chi assomiglia ad un comunista, vogliamo instillarvi il sospetto che in fondo sia un nazista. D'altronde l'economia pianificata e il controllo dei capitali c'erano anche nel Terzo Reich, no? Il punto è che si è completamente perso di vista l'elemento di vera critica progressiva al nazismo, che è la critica al razzismo. Questa gente qui non intende criticare il razzismo del nazismo, ma tutti quegli elementi che in realtà erano condivisi anche dagli stati socialisti avanzati (appunto, l'accusa di “rossobrunismo”). Facendo così operano come Popper, il liberale che ha scritto un'intera opera dove tutta la critica al nazismo era indirizzata alla dimostrazione del “fascismo” dell'Unione Sovietica. Ad ogni modo questa gente si dimostra intrappolata nel Secolo breve: quando qualcuno pensa al presente con categorie complesse, sono proprio loro che non riescono a vedere altro che nazismo e Unione Sovietica.
Ucraina, Cina, Russia, America Latina: secondo il tuo parere, come è possibile che destra e sinistra abbiano le medesime posizioni?
… E qui arriviamo al punto. Il “rossobrunismo”, le etichette di qualsiasi tipo ai pensieri dissonanti rispetto al coro, dettato poi dai media e da quattro residuati dell'epoca di Berlusconi, nella maggior parte dei casi vengono applicate a coloro che difendono la possibilità dello sviluppo alternativo rispetto a quello occidentale. Cerchiamo di capirci: qui nessuno sostiene né che A) il modello di sviluppo di paesi come la Russia e la Cina non sia privo di contraddizioni; né che B) il modello di questi due paesi sia lo stesso che debba essere applicato in Italia o in Europa. Semplicemente, ad essere sanzionata, è l'opposizione all'interventismo dei cosiddetti diritti umani, che poi è il principio per cui chi cerca di svilupparsi autonomamente viene riportato al buon ordine con tutti i mezzi della guerra ibrida contemporanea. Se questo è un principio nazista, siamo in buona compagnia con Ulrich Beck, Noam Chomsky, Slavoj Zizek... Ma scherzi a parte, esiste ad oggi non solo una “sinistra imperiale”, che nella maggior parte dei casi è proprio un centrodestra economico (vedi PD), ma pure una “estrema sinistra imperiale”, che pur non schierandosi nei fatti coi governi dei paesi imperialisti, pensa davvero che di fronte alle “violazioni dei diritti umani” di cui parlano gli staff di governo degli USA si debba rovesciare governi e distruggere ordinamenti sociali. Le violazioni dei diritti umani esistono a questo mondo, ma le deve sanzionare l'ONU, non l'unica democrazia autoeletta. Questa gente non capisce la differenza, e opera in questo senso. D'altronde, pensano, “qualsiasi cosa è meglio di un dittatore”. Andate a spiegare questo principio ai libici, oggi.
Che differenze vi sono - se ve ne sono - tra la destra e la sinistra attuali? È corretto parlare ancora di destra e sinistra?
Chiaramente nessuna. Destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia, e Marx ce lo ricordava già nel XIX secolo, quando sapientemente diceva che i cittadini, nella società borghese, hanno il diritto costituzionale di eleggere il proprio oppressore. Cerco di essere ancora più chiaro: destra e sinistra non sono chiaramente solo gli schieramenti parlamentari, esistono anche una “destra” e una “sinistra” nobili, i cui valori non sono quelli economistici o meramente elettorali, e che hanno grandi idee del mondo. Il problema è che questi soggetti, esclusi dalla storia per la loro inattualità, sono fuori dal mondo proprio a causa di questa terminologia. Troverete sempre un comunista che vi dirà che “la sinistra ha ancora senso, perché il neoliberismo è di destra”, o qualche conservatore che vi dirà “la destra ha ancora senso perché il fatto che non esista più classe media è la prova che andiamo verso il comunismo”. La verità è che questi discorso sono veri solo nella loro testa. Il Capitale non è né di destra né di sinistra, è un'entità economica e una struttura dei rapporti sociali che viene coperta da ideologie diverse, a seconda dei contesti. Io non credo nella destra e nella sinistra perché sono concezioni sentimentali indescrivibili, proprio come “le idee senza parole” che criticava Jesi alla sola destra. Indovinate un po'? La sinistra procede secondo lo stesso metodo. Io credo in ben altri tipi di soggettività storiche. Marx le chiamava le classi. Dal mio punto di vista, la lettura schematica di Marx per molti versi è saltata (per molti versi no), e lui l'aveva anche previsto. Questo non vuol dire che la traccia del conflitto non sia da rintracciarsi nel livello strutturale. Nel linguaggio marxista le sinistre sarebbero definite “idealiste”, purtroppo per loro non hanno però lo stesso fascino intellettuale di uno Schelling.