La sinistra cilena a un punto morto?

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La sinistra cilena a un punto morto?

 

di Marco Morra [1]

 

Lo scorso 12 dicembre, dopo novantotto giorni dal referendum costituzionale del 4 settembre, i quattordici partiti rappresentati al Congresso cileno hanno trovato un accordo per iniziare un nuovo processo costituente. L’Acuerdo por Chile prevede un iter ben diverso dal precedente, esclude la partecipazione della società civile dall’elaborazione del testo costituzionale e rende arduo un cambiamento profondo del sistema politico e istituzionale.

La nuova Costituzione sarà redatta a partire da 12 principi fondamentali stabiliti dai partiti e incorporati nell’accordo firmato. Essi sanciscono che “la nazione cilena è una e indivisibile”, benché riconoscano ai popoli indigeni l’appartenenza a questa nazione; stabiliscono come limite alla sovranità “la dignità della persona umana e i diritti umani riconosciuti dai trattati internazionali”; definiscono il Cile uno “Stato sociale e democratico di diritto” il cui fine è la promozione del bene comune; riconoscono i “quattro stati di eccezione costituzionale” sanciti dal regime militare di Augusto Pinochet e già contestati duramente durante le proteste sociali del 2018 e 2019. Secondo l’accordo, inoltre, il Congresso avrà un maggior potere nello sviluppo del processo, eleggendo due dei tre organismi deputati all’elaborazione del nuovo testo costituzionale: la Commissione degli esperti e il Comitato tecnico di ammissibilità, mentre il Consiglio costituzionale sarà eletto dalla popolazione con suffragio universale e diretto[2].

La Commissione degli esperti avrà il compito di redigere il testo che fungerà da matrice della nuova proposta costituzionale e sarà composta da ventiquattro esperti “di indiscutibile traiettoria professionale, tecnica o accademica”, eletti in ugual misura dalla Camera e dal Senato. Il Comitato tecnico di ammissibilità, invece, sarà composto da 14 membri eletti dal Senato e dovrà esercitare una funzione di revisione delle norme approvate dalla Commissione e dal Consiglio costituzionale, costituendo una ulteriore istanza di controllo – tecnico e politico – del processo costituente. Il Consiglio costituzionale, infine, sarà composto da 50 membri, mantenendo il criterio di parità tra uomini e donne e riservando per i popoli indigeni un seggio ogni 195.000 voti ottenuti dai loro rappresentanti. I membri che lo comporranno saranno eletti, con voto obbligatorio, da liste formate da partiti o coalizioni di partiti che potranno includere candidati indipendenti. Questo organismo, tuttavia, potrà esclusivamente emendare, accettare o rifiutare, con una maggioranza di tre quinti, la proposta elaborata dalla Commissione degli esperti, la quale a sua volta avrà la facoltà di rifiutare le norme proposte dal Consiglio. In caso di discrepanze tra le due istanze, è prevista la formazione di una commissione mista, composta da sei membri per ogni organismo, con il compito di dirimere le controversie. I tecnici della Commissione cominceranno a lavorare il prossimo 15 gennaio, mentre l’elezione del Consiglio costituzionale si svolgerà ad aprile[3]. Il testo costituzionale, infine, sarà sottoposto a referendum popolare, con voto universale e obbligatorio, il prossimo 26 novembre 2023.

Malgrado il trionfo del rechazo nel referendum del 4 settembre, il Congresso ha temuto di affidarsi nuovamente alla volontà popolare. Rispetto alla Convenzione costituente eletta nel maggio 2021, e formata in gran parte da indipendenti, questa volta i partiti e il Parlamento avranno un peso di gran lunga maggiore nell’elaborazione del nuovo testo costituzionale. A ben vedere, soltanto un terzo dei 155 membri che formavano la Convenzione costituente tra il luglio 2021 e il luglio 2022 erano espressione dei partiti, mentre il 64% degli eletti proveniva dalla società civile e dalle comunità territoriali[4], di cui 48 eletti in liste cittadine, sorte nel quadro delle proteste sociali del 2019, come La Lista del Pueblo, e 40 eletti come candidati indipendenti in liste politiche. Tra i partiti, inoltre, la sinistra e il centro-sinistra ottennero rispettivamente 28 e 25 seggi, mentre solo 37 seggi furono occupati dai candidati della destra e del centro-destra. Il voto dei cittadini, in altri termini, bocciò i partiti tradizionali ed elesse un’assemblea in cui prevalevano largamente i rappresentanti della società civile. Il nuovo accordo, invece, attribuisce un potere quasi esclusivo ai partiti politici e fornisce un peso determinante all’opposizione nel nuovo processo costituente. Infatti, se l’elezione dei futuri membri del Consiglio costituzionale da parte della popolazione sarà vincolata alle liste dei partiti, quella del Consiglio degli esperti e del Comitato tecnico da parte del Congresso richiederà l’accordo dei quattro settimi dei parlamentari, per ottenere il quale il governo sarà costretto a negoziare con l’opposizione.

La possibilità di superare il modello neoliberale sembra essersi chiusa definitivamente con il trionfo del “No” al referendum dello scorso 4 settembre. Nondimeno, per la maggioranza della popolazione sarebbe forse già sufficiente che il governo riuscisse a realizzare le riforme richieste, come l’aumento delle pensioni e del salario minimo, il rafforzamento del sistema sanitario pubblico, la riforma del sistema tributario in senso progressivo, il condono dei debiti contratti da oltre un milione di studenti. Questo, tuttavia, non è affatto scontato, nella misura in cui l’opposizione detiene la maggioranza dei seggi nel Parlamento, ponendo il veto alla realizzazione delle riforme più osteggiate. Già durante i primi mesi di attività dell’esecutivo, la difficoltà di governare senza la maggioranza parlamentare poteva suggerire un rilancio delle mobilitazioni popolari a sostegno delle riforme sociali e redistributive promesse. Nel governo, invece, ha prevalso la moderazione, nell’intento di evitare una radicalizzazione dello scontro politico e sociale. Il ripiegamento nel quadro del consociativismo era allora inevitabile e ha portato l’esecutivo in un vicolo cieco, dal quale sarà difficile uscire se non con importanti rinunce sul programma proposto in campagna elettorale, con il rischio già molto concreto di una diminuzione dei consensi da parte dell’elettorato[5].

Benché costretta a negoziare con l’opposizione le condizioni del nuovo processo costituente, l’aspettativa della sinistra era quella di designare una nuova Convenzione eletta integralmente dai cittadini, ma la proposta non ha ottenuto l’approvazione della maggioranza del Congresso. Lo ha spiegato il deputato Diego Ibáñez, tra i principali dirigenti del Frente Amplio, dichiarando che il governo è consapevole che la nuova Costituzione “non riscuoterà il consenso di tutti […] ma stabilirà le condizioni minime di uno Stato sociale e di diritto che serviranno ad attuare le riforme necessarie e un nuovo patto sociale”[6]. Gli anni a venire chiariranno se la via delle negoziazioni e degli accordi dall’alto darà i suoi frutti o se l’elettorato punirà le esitazioni della sinistra e le scelte di moderazione del governo.

[1] Marco Morra è dottorando in Studi Internazionali all’Università di Napoli “L’Orientale”, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali.

[2] R. Montes, Asamblea electa y comité de expertos: Chile acuerda un nuevo proceso constituyente, in El País, 13 dicembre 2022.

[3] C. Ulloa, Partido políticos logran un acuerdo para un nuevo proceso constituyente en Chile, in cnnespanol.cnn.com, 13 dicembre 2022.

[4] R. Montes, Vuelco en Chile: los independientes controlarán el 64% de la convención constitucional, in El País, 18 maggio 2021.

[5] C. Montes, Sin luna de miel: por qué la popularidad de Gabriel Boric está por debajo del 30% en Chile, in El País, 22 ottobre 2022.

[6] P. Molina, Tres preguntas para entender cómo se ecribirá la nueva Constitución de Chile,  in BBC, 13 dicembre 2022, https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-63965925.

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