La strategia di Netanyahu per riprendere la guerra a Gaza (e oltre)
In una mossa improvvida, ma ben calcolata, Netanyahu ha rotto i patti con Hamas, rifiutandosi di liberare circa 600 detenuti palestinesi in cambio dei sei ostaggi liberati sabato da Hamas, giustificando la decisione come ritorsione per la scenografia usata dal nemico in occasione della liberazione degli ostaggi e della restituzione dei corpi di quelli defunti.
Lo stop alla liberazione dei detenuti è stato deciso nonostante il parere contrario dei responsabili dell’esercito e della Sicurezza, come ha riferito Axios, i quali hanno invano chiesto al premier di stare ai patti.
Non pago, oggi Netanyahu ha dichiarato che vuole che Hamas liberi tutti gli ostaggi in una sola occasione, cosa che difficilmente la controparte potrà accettare, perché teme, non senza ragioni, che ciò lascerebbe Israele libero di riprendere la guerra, cosa peraltro minacciata quasi ogni giorno dal premier e dai suoi sostenitori ultraortodossi.
Peraltro, non si è ancora aperta la fase due dei negoziati, quella in cui si dovrebbe trattare sul futuro di Gaza e che Netanyahu sta cercando di evitare in ogni modo, nonostante l’impegno in tal senso contratto con Hamas all’inizio della tregua.
Tutto sospeso, dunque, mentre si intrecciano notizie discordanti. Mentre Israele comunica che l’esercito è pronto a riprendere lo sterminio di Gaza, indiscrezioni mediatiche segnalano che Tel Aviv e Hamas starebbero trattando per procedere alla liberazione dei 600 detenuti palestinesi ancora ristretti nelle carceri israeliane in cambio della restituzione di alcuni dei corpi degli ostaggi defunti.
Witkoff, il mediatore
Se da una parte Netanyahu ha il sostegno pubblico totale di Trump, sottotraccia, ma neanche troppo, il presidente americano sembra muoversi in direzione opposta. Steve Witkoff, l’uomo che ha scelto per seguire il dossier mediorientale, ha dichiarato alla CNN che gli Stati Uniti si aspettano che si proceda con la seconda fase dell’accordo.
Nell’accennare a tale determinazione Usa, Amos Harel, su Haaretz, riferisce anche quanto ha aggiunto Witkoff riguardo al senso di Netanyahu sul futuro di Hamas, cioè che il premier israeliano considera una linea rossa il fatto che la milizia islamica in futuro sia “coinvolta nel governo” della Striscia. Cenno che Harel commenta spiegando che Witkoff intende dire che il problema non sarebbe la sopravvivenza di Hamas, ma il suo ruolo governativo, cioè che Israele potrebbe anche “convivere” con un Hamas emarginato dalla gestione del potere nella Striscia.
Non viene chiarito se la sopravvivenza di Hamas sia legata o meno al suo disarmo, ma al di là del particolare, pure importante e del caso oggetto di ulteriori trattative, resta che tale opzione è in aperta contraddizione con l’obbiettivo dichiarato da Netanyahu per questa guerra, cioè la totale eliminazione di Hamas.
Se accenniamo a ciò è perché al di là delle contrapposte rigidità, tale riflessione indica una certa flessibilità da parte di Hamas e che altri attori di questo puzzle impazzito, anzitutto gli Usa, stanno cercando compromessi.
Peraltro, si apprende che a trattenere a Gaza la famiglia Bibas, madre e due piccini, i cui membri, secondo Israele, sarebbero stati uccisi in maniera brutale, non era Hamas, ma un’organizzazione di Gaza poco nota, i Lords of the Desert.
Novità rivelata sempre da Arel che rende le responsabilità di Hamas non più diretta, ma solo indiretta, perché Tel Aviv gli attribuisce la responsabilità di tutto ciò che accade nella Striscia (ricordiamo che secondo Hamas la famiglia Bibas è morta a causa delle bombe israeliane). Cambia poco, ma cambia.
Resta, però, la tragica sospensione della tregua, che può collassare da un momento all’altro. Per questo l’annuncio che Witkoff è atteso in Medio oriente suona di certo sollievo, soprattutto perché ha dichiarato che tenterà di estendere la tregua.
L’incendio si allarga alla Cisgiordania
Witkoff dovrà però guardarsi dai giochi di prestigio di Netanyahu, che è riuscito più volte a sabotare i tentativi di accordo con Hamas e che ora, per complicare il quadro in modo di avere più possibilità incendiarie a sua disposizione, ha dato ordine di incrementare l’aggressione nei confronti della Cisgiordania.
Una considerazione non nostra, ma che riprendiamo dal titolo dell’articolo di Haaretz succitato, che recita così: “Gli Stati Uniti sostengono l’estensione del cessate il fuoco a Gaza mentre Netanyahu cerca altri fronti da incendiare”.
Già teatro di un’aggressione senza precedenti recenti, costata decine e decine di vite e lo sfollamento di 40mila persone, la ridotta palestinese vede il ritorno dei carri armati di Tsahal e l’occupazione di un anno – così nelle dichiarazioni ufficiali – delle aree sfollate e devastate (va ricordato che in Israele non si fa molta distinzione tra occupazioni provvisorie e definitive…).
La rinnovata aggressività israeliana nella Cisgiordania è stata innescata dagli attentati della scorsa settimana contro cinque bus di linea, che le autorità israeliane hanno subito attribuito alle milizie palestinesi. Come accennato nella nota pregressa, si è trattato di attentati così sofisticati e anomali che stridono con le precedenti azioni delle milizie in questione.
Il fatto che l’intelligence israeliana abbia arrestato due ebrei israeliani e un palestinese come probabili autori degli attentati (Timesofisrael) rende tali anomalie ancora più stridenti e foriere di ulteriori domande. Tant’è.