La svolta "indipendentista" di Macron e il ruolo della Polonia

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La svolta "indipendentista" di Macron e il ruolo della Polonia

 

Di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Il compito assegnato alla Polonia è quello di troncare sul nascere ogni tentativo europeo di sottrarsi al controllo USA. È questo uno dei temi non ufficiali al centro della visita del primo ministro polacco Mateusz Morawiecki negli Stati Uniti. Ogni riferimento alle recenti esternazioni di Emmanuel Macron non è per nulla casuale.

In effetti, le parole del Presidente francese non sono di quelle che si sentono tutti i giorni in bocca a politici “europeisti” e dopo la sua visita in Cina e le sue ormai inflazionate parole sulla «autonomia strategica» dagli USA, in particolare sulla questione di Taiwan, è un rincorrersi di grida d'allarme dei più fedeli vassalli di Washington e dei loro portavoce. Polonia in testa.

Il fatto è che, ha dichiarato il presidente del consiglio d'Europa Charles Michel in un'intervista alla francese La Faute, il senso delle dichiarazioni di Macron riscuote il consenso di sempre più leader europei. Rispetto ad alcuni anni fa, ha detto Michel, si è verificato uno strappo e, per quanto riguarda «i rapporti con gli USA, è evidente che, al tavolo di discussione del Consiglio d'Europa possono esserci sottigliezze e sfumature nelle opinioni. Alcuni leader europei non si esprimerebbero precisamente con Macron.... tuttavia, a mio avviso, sono in parecchi a condividere il suo punto di vista».

Michel ha detto anche che l'Unione europea non è disposta a sostenere in tutto e incondizionatamente gli USA.

Rispetto alle dichiarazioni del presidente francese a Les Echos - «Perché mai dovremmo muoverci al ritmo dettato da altri?...  

È tempo che noi europei ci svegliamo. Adattarsi all'agenda di altri, in tutte le regioni del mondo, non è la nostra priorità» - l'americana The Hill sottolinea che la visita di Macron in Cina mette in luce la presenza di contraddizioni nei rapporti tra USA e Europa. Macron aveva parlato della necessità per l'Europa di ergersi a “terzo polo”, alla pari con USA e Cina, pur se «non intendiamo inserirci nella logica della contrapposizione tra blocchi»; in ogni caso, non aveva taciuto sulle mosse USA che portano diritte alla deindustrializzazione di vari paesi europei.

Commentando sulla russa RT le parole di Macron, il politologo Aleksandr Kamkin osserva che esse divergono diametralmente dall'entusiasmo manifestato pochi mesi fa da Macron, allorché si era incontrato a Washington con Joe Biden e la ragione potrebbe essere la necessità di riguadagnare qualche posizione in Francia, dove «a Macron brucia letteralmente la terra sotto i piedi».

Fuori della Francia, dice Kamkin, possono tutt'al più costituire un tassello verso «la leadership europea»; insomma, «non è il caso di prendere troppo sul serio le sue parole».

E tuttavia, un altro politologo russo, Vladimir Šapovalov, sottolinea che gli Stati Uniti non possono comunque sopportare «un tale ammutinamento a bordo», nemmeno a livello discorsivo e si daranno a mettere ordine «tra i loro satelliti... gli USA non vogliono una UE indipendente... Ma una serie di paesi UE ne hanno abbastanza... e col tempo la propensione a liberarsi dal diktat americano si accrescerà».

Su Komsomol'skaja Pravda, l'osservatore Aleksandr Grišin nota addirittura che Macron ha inserito «non volendo, il primo cuneo nella nuova crepa che minaccia l'intera Unione europea». Lo ha fatto di ritorno dalla Cina, dove si era recato «per “reclutare” Xi nei ranghi UE e USA, tornando tuttavia “reclutato”».

E il primo a fargli una partaccia, per la sua inclinazione alla «autonomia», non poteva essere che il primo paladino yankee in Europa, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki: certi leader occidentali, ha ritualizzato, «sognano di cooperare con tutti, compresa Russia e alcuni potenti stati in Estremo Oriente.

Mettiamo in guardia contro questo, vogliamo vivere in pace con tutti, ovviamente. Ma invece di un'autonomia strategica dagli Stati Uniti, propongo una partnership strategica con gli USA». E ha  tuonato che sono proprio gli USA a garantire la sicurezza in Europa, soprattutto in quella orientale.

È lo stesso Morawiecki che già in precedenza aveva redarguito Macron per i suoi «continui colloqui» con Putin e che, per non fare favoritismi, aveva accusato anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz di essere «il principale freno a più dure sanzioni» e che, prima ancora, aveva rinfacciato a Angela Merkel la politica tedesca che, a detta del sanfedista Morawiecki, aveva condotto al «monopolio russo sulla vendita di risorse naturali».

Insomma, dopo che Parigi e Berlino hanno detto qualcosa sulla “politica di vassallaggio”, Varsavia ha fiutato il vento in poppa nel proprio corso di principale alleato USA in Europa. Tanto più che, tra un paio d'anni, toccherà alla Polonia la presidenza UE e Morawiecki ha già proclamato che sarà proprio la partnership transatlantica UE-USA a rappresentare «il perno fondamentale della presidenza».

Dopo lo status di “hub europeo” degli armamenti per l'Ucraina, Varsavia già parla apertamente di “hub finanziario” per la sua ricostruzione, come detto senza mezze parole dal vice Ministro delle finanze polacco Artur Sobon.

Insomma, si «prospetta una rissa tra i "vecchi" moderati d'Europa, che non hanno ancora perso gli ultimi residui di cervello, e gli sfrontati "giovani germogli", che riconoscono solo il proprio “voglio”», conclude Aleksandr Grišin, intendendo Francia, Germania e qualche altro “vecchio”, da un lato, e Polonia, Baltici, Romania e una parte di “giovani”, dall'altro.  

Dunque, si diceva all'inizio, è di nuovo la Polonia a ergersi a paladina su tutti i fronti dell'assolutismo USA, quantunque la visita di Morawiecki a casa del “grazioso signore” risponda anche a interessi puramente interni polacchi, come testimonia l'incontro con rappresentanti del FMI: Varsavia batte cassa.

Ma, obiettivo primo, come proclamato ufficialmente, è quello della cooperazione militare polacco-americana. È così forte la bramosia polacca di ingraziarsi Washington, scrive Oliver Galic su PolitNavigator, che già prima di partire, Morawiecki ha giurato che «da tempo i rapporti polacco-americani non erano così buoni» e che la sicurezza della Polonia si fonda su due pilastri: la cooperazione economica e quella militare. Anche perché la seconda è difficile da realizzare senza la prima e gli yankee non fanno mai nulla a titolo gratuito; ad esempio, Morawiecki a Washington deve capire chi sarà a pagare le «diverse migliaia di mezzi militari NATO che verranno dislocati a Powidz e in altre località della Polonia, il che accresce la nostra sicurezza».

Perché, a dirla tutta, sembra che, di concreto, la vice presidente USA Kamala Harris, abbia parlato con Morawiecki soltanto dell'accrescimento della presenza militare americana, in uomini, mezzi, depositi di armamenti, in Polonia, e la sensazione è che il tutto debba esser pagato di tasca polacca.

O meglio: per quanto riguarda, per dire, i mezzi militari forniti all'Ucraina – blindati “Rosomak”, mortai semoventi “Rak”, obici semventi “Krab”, sistemi antiaerei portatili “Piorun” - Kiev li prende dalla Polonia pagandoli, tra l'altro, con quattrini del “Fondo europeo per la pace”.

Tra l'altro, un po' di soldi Morawiecki spera di procurarseli in USA anche per lenire i malumori dei coltivatori polacchi, niente affatto contenti dell'importazione incontrollata di frumento ucraino, con conseguente crollo del prezzo sul mercato interno.
Insomma: ci sarà qualcuno, a Washington, che esprimerà ringraziamenti, non solo a parole, al devoto paggio, elevandolo al ruolo ben retribuito del vassallo che fa la voce grossa ai riottosi valvassori?

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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