La tragedia del Myanmar (ex Birmania)

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La tragedia del Myanmar (ex Birmania)

di Paolo Arigotti

Il Myanmar (ex Birmania), nome ufficiale Repubblica dell'Unione del Myanmar, è uno stato del sudest asiatico, confinante con Bangladesh, India, Cina, Laos e Thailandia. Grande oltre due volte l’Italia, la composizione della popolazione, di poco inferiore ai 55 milioni di abitanti, si presenta molto variegata, con 135 gruppi etnici e usi tribali radicati nelle diverse tradizioni. La religione più professata è quella buddista, della quale la nazione è considerata una delle culle: furono molti i religiosi e fedeli che presero parte attivamente alle lotte per l’indipendenza nazionale. 

Fino al 6 novembre 2005 la capitale era Yangon, che in tale data fu trasferita a Pyinmana, ribattezzata l’anno seguente Naypyidaw ("sede dei re"). 

La Birmania è stata colonia del Regno Unito fino al 1948, come parte dell’impero indiano. In quell’anno conseguì l’indipendenza, e dopo una parentesi democratica durata meno di vent’anni, nel 1962, a causa di un colpo di stato guidato dal generale Ne Win, per oltre un quarto di secolo padre padrone del paese, la Birmania si sarebbe trasformata in un regime militare tra i più oppressivi e isolazionisti del pianeta.

Totalmente nelle mani del Tatmadaw, il nome ufficiale delle forze armate, la Birmania aderì a una sorta di socialismo di stato: con l’eccezione del settore agricolo, tutta l’economia venne posta sotto il controllo pubblico e grazie a questa scelta il regime poté contare sull’appoggio e sostegno di URSS e Cina popolare.

Se sotto il dominio britannico, la Birmania era stata una delle colonie più ricche, grazie alla produzione di riso e teack e alle risorse naturali, i lunghi anni di spietata dittatura l’hanno trasformata in una delle nazioni più povere del mondo.

Nel 1989 il paese cambiava la denominazione ufficiale in Myanmar, avviando una fase di parziale liberalizzazione economica, ma non politica. Questa decisione favorì un certo sviluppo, che fece leva sulle materie prime (petrolio, gas naturale, carbone, legname, zinco, rame, pietre preziose), ma anche su industria, farmaceutica, ICT, infrastrutture, agricoltura, energia, anche rinnovabili, oltre che sul turismo, peraltro interrotto dalla pandemia e dalle conflittualità scoppiate a partire dal 2021; nello stesso periodo furono iniziate importanti opere di urbanizzazione, come autostrade e ferrovie.

Il problema è che tutto questo non ha portato, stando ai dati ufficiali della Banca mondiale (di fine 20231) benessere alla popolazione. In questi report si legge che “nel breve termine si prevede una scarsa crescita economica in Myanmar, poiché l'aumento dei conflitti, le interruzioni del commercio e della logistica, la volatilità dei kyat e l'elevata inflazione si combinano per avere un impatto negativo su imprese e famiglie.”, mentre il PIL pro-capite stimato per il 2024 supera di poco i 1.600 dollari americani 2.

Prima di affrontare la conflittualità cui fa cenno la Banca mondiale, vorremmo spendere ancora qualche altra parola sul regime politico al potere, che governa il paese asiatico, salvo una breve parentesi, da oltre sessant’anni.

Solo nel 1990, dopo quasi trent’anni di dominio assoluto e sull’onda delle proteste popolari sempre più frequenti e partecipate contro la dittatura e la crisi economica, il regime concesse lo svolgimento di libere elezioni, che portarono alla costituzione del primo e autentico organismo rappresentativo della nazione: l’Assemblea Popolare. I militari, però, non ne volevano sapere di cedere il potere e non solo non riconobbero i risultati elettorali – che avevano visto un autentico trionfo della Lega per la democrazia, guidata da Aung San Suu Kyi, figlia del generale Aung San, tra i fautori dell’indipendenza birmana – ma decisero di annullarle, imprigionando molti dei leader dell’opposizione, compresa la stessa Aung San Suu Kyi, che sarebbe rimasta agli arresti domiciliari fino al 2010. Non le fu neanche permesso di recarsi alla cerimonia per il Nobel per la pace, assegnatole nel 1991, tanto che il premio fu ritirato in sua vece dai figli. 

Per effetto dell’annullamento del voto, a guidare il paese con pugno di ferro fu chiamato un altro militare – Ne Win si era ritirato nel 1988 - il generale Than Shwe, che sarebbe rimasto al potere fino al 2011, con un esecutivo composto quasi esclusivamente di esponenti delle forze armate. A succedergli sarebbe stato l'ex generale Thein Sein, dimessosi dagli incarichi nell’esercito e rimasto in carica a sua volta fino al 2016. Nel 2010 furono celebrate nuove elezioni generali, definite una farsa da gran parte della comunità internazionale, con Aung San Suu Kyi, da poco rimessa in libertà, esclusa dalla partecipazione, al pari di tutte le altre forze di opposizione. 

Solo nel novembre del 2015 il regime concesse nuovamente la celebrazione di libere consultazioni, che difatti videro un nuovo trionfo per la Lega Nazionale per la Democrazia, che ottenne la maggioranza assoluta in entrambi i rami del parlamento (Camera dei rappresentanti e Camere delle Nazionalità). La nuova stagione politica, che sembrava finalmente aprire la strada per la democrazia, consentì, per la prima volta, l’elezione di un presidente civile, l'economista Htin Kyaw, mentre Aung San Suu Kyi, del quale il nuovo capo dello Stato era considerato il braccio destro, venne estromessa con una legge ad hoc voluta dal regime. Nel 2018, a seguito delle dimissioni di Htin Kyaw, le Camere elessero alla presidenza della Repubblica un altro esponente della Lega, Win Myint. 

In realtà, i militari conservavano una posizione molto forte: in base alla Costituzione in vigore avevano il diritto di nominare un quarto dei membri del Parlamento, di fatto privo di reali poteri decisionali, oltre che riservarsi la titolarità di alcuni dicasteri chiave (Difesa, Interno e Immigrazione) e disporre di un forte partito politico di riferimento, il partito nazionale dell'unità e della cosiddetta Associazione di Solidarietà e dello Sviluppo del Sindacato.

Se già il semplice fatto che Aung San Suu Kyi, che pure ricoprì in quegli anni importanti incarichi nel governo (anche come ministro degli Esteri) non abbia mai potuto aspirare alla massima carica dello Stato avrebbe dovuto far riflettere, c’era dell’altro. 

Per prima cosa, i due principali partiti del paese, la Lega Nazionale per la Democrazia e la Lega Democratica Shan, erano costretti a operare all’interno delle leggi varate dal regime, come tutte le altre forze politiche, per lo più espressione delle minoranze etniche. Inoltre, a parte i ristretti margini di manovra, anche la magistratura restava in gran parte sotto il controllo dei militari. 

Nel 2020 furono indette nuove elezioni generali, che confermarono la maggioranza per la Lega Nazionale per la Democrazia. I militari, timorosi di perdere col tempo il loro potere, non accettarono l’esito delle urne e il primo di febbraio del 2021 misero in atto un nuovo golpe, che portò all’instaurazione della dittatura conclamata: uomo forte del nuovo regime divenne il generale Min Aung Hlaing, attuale primo ministro del Myanmar, mentre un altro militare, il generale Myint Swe, ha assunto la carica di presidente ad interim.

Il nuovo regime ha ordinato numerosi omicidi e violenze, oltre all’arresto di vari esponenti politici, compreso il presidente deposto Win Myint, e la stessa Aung San Suu Kyi, con accuse del tutto pretestuose, che andavano dalla corruzione, alla violazione del segreto di stato, possesso illegale di apparecchiature elettroniche, violazione delle prescrizioni contro la pandemia. L’insieme di queste accuse costarono alla leader politica una condanna a quattro anni di reclusione, poi ridotti a due, seguiti da nuove condanne a vario titolo – frutto di processi farsa, celebrati a porte chiuse - che ne determinarono il trasferimento in carcere (fino a quel momento era rimasta agli arresti domiciliari). Solo a fine luglio del 2023, grazie a un’amnistia (della quale poté beneficiare anche l’ex presidente Win Myint) le fu consentito di lasciare il carcere, per essere trasferita agli arresti domiciliari nella sua casa della capitale Naypyidaw: complessivamente le furono condonati 27 anni, dei 33 inflitti complessivamente nei diversi “processi” a suo carico 3. 

Il nuovo regime è stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani, denunciate e documentate più volte anche in sede di Nazioni Unite, compresi crimini di guerra e contro l’umanità4: tra le prime vittime figurano i civili disarmati e le minoranze etniche, fatti che hanno indotto varie nazioni ad applicare sanzioni e misure restrittive5, che però, come vedremo, non si sono mai rivelate particolarmente efficaci.

Come accennavamo, tra le repressioni e violenze imputabili al regime – anche precedenti al 2021 – vanno annoverate quelle nei riguardi delle minoranze etniche, tra le quali quella musulmana Rohingya – da sempre privata della cittadinanza – concentrata per lo più nel nord del paese: riguardo al suo caso, nel 2017 un tribunale internazionale ha parlato apertamente di genocidio6. E non si tratta dell’unica etnia perseguitata, visto che altrettanti crimini (uccisioni, stupri, imprigionamenti arbitrari, i cosiddetti “bambini soldato”, violenze di ogni genere) sono stati perpetrati nei confronti degli abitanti del Stato Kachin, situato nel nord-est del Paese, e dei Karen, minoranza che vive nei pressi del confine con la Thailandia. Ma l’appartenenza etnica di queste popolazioni, come spesso insegna la storia, non è la vera causa di questi orrori: il regime intende controllare le ricchezze naturali (legname, gas, pietre preziose, oro) presenti in questi territori7, costringendo centinaia di migliaia di persone a sfollare, cercando rifugio nei campi profughi allestiti oltre confine.
E non finisce qui, visto che molte azioni criminali colpiscono abitanti non necessariamente appartenenti alle minoranze etniche.

Come riporta Lorenzo Lamperti8, analista esperto in questioni asiatiche, le vittime civili della repressione seguita al golpe del 2021 sarebbero circa seimila, come dimostrano numerosi report curati da diversi organismi internazionali, come ONU e ASEAN. Per il Governo di unità nazionale (Nug), l’esecutivo clandestino costituitosi in esilio dopo il golpe del 2021, le vittime del conflitto civile in atto, sempre più esteso, sarebbero molte di più: oltre 11 mila, fermo restando che una conta ufficiale resta impossibile9.  Un altro rapporto10, recentemente presentato alla Camera dei deputati italiani dall’Associazione insieme Italia Birmania, citando fonti ONU parla di due milioni di sfollati e cinque milioni di bambini in stato di bisogno.

E la comunità internazionale come reagisce di fronte a tutto questo? È presto detto: voltandosi dall’altra parte e seguitando a fare affari con la giunta, magari salvandosi la coscienza con qualche dichiarazione e/o misura politica, che però non coglie nel segno.

Occorre premettere che sul fronte della politica internazionale il Myanmar, lasciatosi alle spalle la fase di forte isolazionismo che caratterizzò i decenni seguiti al golpe del 1962, è divenuto parte attiva di importanti organizzazioni internazionali: a parte l’ONU, è membro di WTO, FMI e ASEAN, l’organizzazione regionale che riunisce dieci paesi del sud est asiatico, oltre ad aver stipulato importanti accordi con paesi come Cina, India, Kuwait, Laos, Filippine, Thailandia e Vietnam. 

Per quanto riguarda le nazioni occidentali – Stati Uniti e UE in testa – queste a parole hanno sempre avversato il regime e il golpe del 2021, imponendo sanzioni e/o limitando i rapporti economici con la giunta, con l’eccezione degli aiuti umanitari, ma in realtà diverse aziende occidentali (come la TOTAL11) hanno continuato a intrattenere rapporti d’affari con la giunta, pure ricorrendo alla manodopera locale a basso costo. 

Tutto questo dimostra che non solo le relazioni economiche col paese asiatico, anche dopo il 2021, non si sono mai veramente interrotte 12, specie sul versante dello sfruttamento delle risorse energetiche, ma che tali rapporti non vengono messi in discussione neppure dalla stessa ASEAN, che in uno degli ultimi vertici13, ha emesso un comunicato dove si legge che “i progressi compiuti dalla Birmania nell'attuazione del piano di pacificazione in 5 punti elaborato dall'Asean stesso sono "insignificanti" e hanno "lasciato un segno negativo" sull'associazione, che sta cercando di arrivare a una posizione comune”. Come dire, si discute, ma nel mentre si continuano a fare affari.

E il discorso non vale solo per l’ASEAN. Sempre Lamperti ricorda che “oltre all'India, anche la Russia, la Cina, Singapore e la Thailandia avrebbero fornito supporto militare all'esercito del Myanmar per un valore complessivo di circa 1 miliardo di dollari, compresi esportatori privati e statali”, mettendo in secondo piano questioni come diritti umani o ripristino della democrazia. 

E non prendiamocela solo con le pericolose “autocrazie”, visto che (citiamo sempre Lamperti) “diverse aziende internazionali, comprese alcune europee o di paesi come il Giappone, continuano a mantenere profondi interessi in un paese la cui economia dovrà far fronte a "danni permanenti" per via del golpe. 

Un discorso a parte merita la Cina. La Repubblica popolare, con ogni probabilità, non ha salutato con favore il ritorno al potere dei militari, ma ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco per una serie di ragioni: innanzitutto garantirsi il completamento del corridoio economico sino-birmano, che aprirà un accesso all’oceano Indiano, bypassando lo stretto di Malacca, controllato dagli Stati Uniti. E poi salvaguardare l’accesso alle importanti risorse energetiche e minerarie del paese e usare i suoi rapporti col Myanmar – per il quale Pechino è il primo partner commerciale – per rafforzare la propria influenza nel Sud-Est asiatico, strategico pure nel confronto con l’India14. Non a caso, Pechino ha sempre bloccato col suo veto ogni dichiarazione ufficiale contro il nuovo regime.

L’Italia, per non far mancare il suo “buon esempio”, ancora oggi commercia lucrosamente col Myanmar, specie nel settore del legname15: se la fabbricazione ed esportazione di barche e mobilio di lusso è uno dei punti di forza della nostra industria manifatturiera, come ammettono alcune associazioni di categoria, il teak migliore deriva dagli alberi birmani, provenienti dalle foreste controllate da due grandi compagnie statali – Myanma Timber Enterprise (MTE) e Forest Product Joint Venture Corporation Ltd (FPJVC) – ovviamente gestite dalla giunta, che ricava da questi traffici una importante fonte di reddito. Le stesse risorse che poi, magari, vengono impiegate per devastare i territori, abitati dalle minoranze di cui sopra, comprando armamenti e usandoli per porre in atto crimini di ogni genere. 

In effetti, quando si sente parlare di diritti umani e di rispetto dell’ambiente, alla luce di tutto questo, verrebbe veramente il desiderio di rispedire al mittente parole vuote e ipocrite, al pari di blocchi e limitazioni imposte e poi facilmente aggirate 16. 

E se qualcuno avesse dubbi, basterebbe leggere questo passaggio 17, mutuato da InfoMercatiEsteri.it, sito della Farnesina: “occorre peraltro sottolineare che alcune operazioni sul Myanmar continuano ad essere condotte e “contabilizzate” da Uffici Regionali delle nostre aziende, e che una parte degli investimenti effettuati da soggetti italiani si muovono nominalmente da altri paesi dell’area dotati di un sistema finanziario adeguato. Lo stesso vale anche per alcuni acquisti dal Myanmar di prodotti italiani (soprattutto macchinari), che provengono da società costituite da cittadini birmani nei paesi vicini (in primis Singapore, ma anche Thailandia).” Serve aggiungere altro?

A questo punto, e senza timore di smentita, possiamo affermare che la strada per il ripristino della democrazia in Myanmar è ancora lunga e tortuosa, e non avallata – tolte le dichiarazioni di circostanza – da una comunità internazionale assai più attenta a ben altre questioni, e che magari rifornisce il regime di sistemi di sorveglianza e controllo, con l’ausilio delle più moderne tecnologie 18.

Una svolta sembrava arrivare dall’Operazione 102719, avviata a fine ottobre dello scorso anno nello Stato settentrionale dello Shan ad opera della cosiddetta Brotherhood Alliance (BA), un’alleanza che vede coinvolte diverse forze di opposizione al regime (Kokang Myanmar Democratic Alliance Army (Mndaa), Ta’ang National Liberation Army (Tnla) e soprattutto Arakan Army (Aa). L’alleanza è stata in grado di infliggere diverse sconfitte al regime - il 5 gennaio ha conquistato Laukkai, capoluogo della regione del Kokang, sede di un importante comando militare - mettendo in crisi flussi commerciali e approvvigionamenti delle forze armate, tanto che in alcuni ambienti del regime sono circolate voci che mettevano in discussione la stessa leadership di Min Aung Hlaing. 

Per quanto stia esercitando un ruolo molto importante, la BA non include la totalità delle forze di opposizione, e proprio l’assenza di un fronte unitario potrebbe comprometterne la strategia. Ma il vero problema è che la situazione si fa ogni giorno più critica, e si moltiplicano vittime e profughi.

Nelle settimane scorse, con la mediazione interessata della Cina, preoccupata dei suoi interessi economici e strategici, era stato raggiunto un accordo per il cessate il fuoco tra la giunta e la BA, ma l’intesa non è stata accolta con favore da nessuna delle parti ed è stata già più volte violata dal regime. Un’altra iniziativa per la pace vede protagonista il vicino Laos, nella sua veste di presidente di turno dell’ASEAN, che ha nominato Alounkeo Kittikhoun, già inviato presso le Nazioni Unite, inviato speciale per la risoluzione del conflitto.

La giunta continua a lanciare ufficialmente proclami per la pacificazione20, promettendo anche il ripristino della democrazia, ma è lecito dubitarne, specie dopo il varo, proprio nei giorni scorsi, di un provvedimento straordinario, che impone il ripristino della leva obbligatoria per donne e uomini, fra i 18 e i 35 anni, della durata di due anni, prorogabile a cinque in caso di emergenza 21. 

Ci sia consentita, a questo punto, una piccola digressione finale. 

Tralasciando l’abusato “principio di non ingerenza negli affari interni” delle singole nazioni, che spesso diviene un utile alibi per non inserirsi in situazioni conflittuali nelle quali non siano in gioco interessi economici e/o strategici, la situazione del Myanmar dovrebbe aiutare a comprendere come anche in un eventuale – e da più parti auspicato -  mondo multipolare, funzionale a un nuovo e più efficace equilibrio mondiale (nulla a che vedere con ordini veri o presunti calati dall’alto), ci sarebbe poco da sentirsi al sicuro se si continuasse a chiudere gli occhi di fronte a regimi repressivi o liberticidi, se non genocidi. Qui non si tratta di “esportare la democrazia”, ma di salvaguardare quel “minimo sindacale” di rispetto della vita e dignità dell’essere umano, che non può essere sacrificato in nome degli affari.

Come dimostra il caso di questa sfortunata nazione asiatica, il cosiddetto Occidente è parte integrante del discorso, e in questo, come in molti altri casi, dovrebbe avere il buon gusto di risparmiarci le sue ipocrisie e darsi veramente da fare nella giusta direzione, che non può e non deve essere quella di predicare bene, e razzolare male.

Tutti i paesi e governi del mondo hanno avuto, in ogni tempo, i loro scheletri nell’armadio, ma tirarli fuori a “corrente alternata”, e secondo la convenienza del momento, non è accettabile.

E consentiteci di aggiungere che le guerre e le tragedie di questo nostro mondo tormentato – il caso dello Yemen o del corno d’Africa dovrebbero insegnarcelo – non esistono solo perché (e/o fin quando) ne parlano gli organi d’informazione.


FONTI

www.treccani.it/enciclopedia/birmania_res-668c2d8e-87e7-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/
www.avvenire.it/mondo/pagine/60-anni-di-myanmar-portati-male
www.focus.it/cultura/storia/myanmar-storia-del-paese-che-si-chiamava-birmania
www.limesonline.com/rubriche/bollettino-imperiale/il-colpo-di-stato-in-myanmar-non-cambia-i-piani-della-cina-14732700/
www.worldometers.info/world-population/myanmar-population/
www.worldbank.org/en/news/press-release/2023/12/12/economic-recovery-falters-as-conflict-and-inflation-weigh
www.infomercatiesteri.it/indicatori_macroeconomici.php?id_paesi=134
www.ansa.it/sito/notizie/mondo/asia/2023/09/05/la-crisi-della-birmania-domina-il-vertice-asean-di-giakarta_dec31496-ea3b-4c03-b78e-1922bca50c04.html
www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/01/myanmar-aung-san-suu-kyi-e-stata-graziata-perdonata-insieme-a-7mila-prigionieri-per-la-quaresima-buddista/7248319/
www.osservatoriodiritti.it/2018/06/04/birmania-rohingya-diritti-umani-violati/
www.ohchr.org/en/documents/country-reports/ahrc5221-situation-human-rights-myanmar-1-february-2022-report-united
unipd-centrodirittiumani.it/it/news/Rapporto-sulle-violazioni-dei-diritti-umani-in-Birmania/314
www.osservatoriodiritti.it/2023/02/01/guerra-in-myanmar-oggi-motivi-cause/#:~:text=Guerra%20civile%20in%20Myanmar%20oggi,11%20mila%20fino%20ad%20oggi.
www.affarinternazionali.it/guerra-civile-myanmar/
it.insideover.com/difesa/la-collana-di-perle-contro-la-collana-di-diamanti-cosi-india-e-cina-si-contendono-lasia.html
it.gariwo.net/magazine/diritti-umani-e-crimini-contro-lumanita/il-regime-birmano-ha-massacrato-migliaia-di-civili-ma-il-resto-del-mondo-vuole-normalizzare-i-rapporti-26388.html
www.guerredirete.it/il-myanmar-e-una-dittatura-digitale/
www.ispionline.it/it/pubblicazione/operazione-1027-la-svolta-nel-conflitto-in-myanmar-156461
www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2022-2023/asia-e-pacifico/myanmar/#:~:text=ATTACCHI%20E%20UCCISIONI%20ILLEGALI&text=Tra%20dicembre%202021%20e%20marzo,case%20e%20altri%20edifici%204
www.oxfam.org/en/what-we-do/countries/myanmar-burma
ilmanifesto.it/litalia-commercia-legname-birmano-nonostante-lo-stop-ue
www.lindipendente.online/2024/01/23/la-distruzione-dei-luoghi-di-culto-cristiani-in-birmania-rapporto-esclusivo/
irpimedia.irpi.eu/deforestazionespa-birmania-italia-traffico-legname/
greenreport.it/risorse/gli-yacht-dei-super-ricchi-finanziano-la-brutale-dittatura-militare-del-myanmar-coinvolta-litalia/
www.infomercatiesteri.it/overview.php?id_paesi=134
www.internazionale.it/notizie/junko-terao/2023/11/08/birmania-guerra-civile-2
www.birmaniademocratica.org/ViewDocument.aspx?lang=it&docid=3d9d18fd6183441e87ab268f3cd90afe
www.china-files.com/laltra-asia-il-cessate-il-fuoco-che-non-ce-in-myanmar/
www.asianews.it/notizie-it/La-giunta-birmana-ricorre-alla-leva-obbligatoria-contro-le-milizie-ribelli-60132.html

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