La variabile (impazzita) inglese riscalda il "Fronte dei Poli"

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La variabile (impazzita) inglese riscalda il "Fronte dei Poli"

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico 

 

Per quanto riguarda la regione artica, le cose appaiono già da tempo definite, con Washington che, in posizione discretamente arretrata, parla della Russia come grave minaccia, e della Cina come di minaccia crescente; con la “dottrina artica” del Pentagono per militarizzare la regione, dall’Alaska, al mar di Barents, fino all'estremo Nord; con addirittura il solito Jens Stoltenberg che parla di uno spostamento dell'attenzione verso l'Artico, tallone d'Achille della NATO.

Non per questo rimane tuttavia senza attenzione la regione opposta, quella dell’Antartico, su cui si appuntano sì le mire yankee, ma anche quelle britanniche, indirizzate, tanto per cambiare, in senso anti-russo.

Lo scorso maggio, i tecnici del Commons Environment Audit Committee avevano parlato della scoperta di riserve di petrolio e gas, per oltre 500 miliardi di barili, che sarebbe stata fatta da ricercatori russi nel 2020 sui fondali di quella parte dell'Oceano Antartico chiamata mare di Weddell. Ora, scrive la russa Rybar.ru, la dichiarazione dei media britannici non è suffragata da alcuna conferma, ma tanto è bastato per diffondere voci su piani russi di esplorazioni geologiche in aree vietate dal Trattato antartico.

Di fatto, il vascello “Akademik Karpinskij” studia da decenni la struttura della crosta terrestre nei mari antartici e uno dei vari obiettivi delle ricerche è appunto quello di valutare il potenziale gas-petrolifero. I tecnici possono solo ipotizzare in quali strati della crosta terrestre potrebbero esserci condizioni favorevoli alla formazione di petrolio. Per confermare l'ipotesi, è poi necessario effettuare costose ricerche e trivellazioni, per le quali la nave, semplicemente, non è attrezzata.

Dunque, come mai i britannici hanno lanciato l’allarme proprio ora, tra l’altro riproponendo, anche in questa occasione, il mantra de «l'invasione russa dell'Ucraina ha creato “una diffusa preoccupazione che un peggioramento delle relazioni scateni una competizione strategica e la renda ancora più esplicita in Antartide”». Accusando la Russia di cercare petrolio nell'Antartico, Londra sta in realtà creando l’humus mediatico per le proprie rivendicazioni territoriali nella zona della presunta area di estrazione.

I divieti previsti dal Trattato antartico non hanno una precisa data di scadenza (si parla del 2058), ma nessuno dei Paesi interessati vuole rimanere a bocca asciutta quando scoppierà la guerra per le risorse. Tra l’altro, le rilevazioni sismiche di alta qualità del vascello russo, vengono continuamente citate e sfruttate dalla comunità scientifica mondiale, così che appare evidente come le “denunce” contro le attività del “Akademik Karpinskij” non siano che un pretesto per altre e ben più competitive mire. Intanto, però, la nave è costretta a fare i conti con le sanzioni occidentali, e qua e là incontra problemi nei porti di scalo, in cui le viene rifiutato il rifornimento. Ecco dunque che gli “scoop” dei media britannici non rappresentano altro che un ulteriore pretesto per cercare di costringere la Russia a lasciare l'Antartide.

In realtà, già un paio d’anni fa Londra aveva tentato di bloccare ancora un insediamento russo: dopo quello dello Spitzbergen, nell’Artico, le mire britanniche si erano appuntate sulla stazione antartica di Bellinsgauzen, realizzata dall’URSS nel 1968 in quello che viene considerato “territorio britannico” e in cui ora sono state introdotte sanzioni per cercare di eliminare i russi.

La storia della stazione risale abbastanza addietro nel tempo. È definita settore “britannico” dell'Antartide quell’area di 1,7 milioni di kmq, compresa tra 20° e 80° di longitudine ovest e 60° di latitudine sud e include le isole Shetland meridionali, sulla piattaforma continentale dell’Antartide: la Bellinsgauzen si trova appunto su una delle isole, chiamata Waterloo in Russia e King George in Inghilterra. Fu nel 1908 che Edoardo VII dichiarò la propria sovranità su questo territorio, giustificandola col fatto che fosse stato britannico il presunto “scopritore” del continente australe. Nell’ottobre 1819, poi, William Smith scoprì e tracciò la mappa delle Shetland meridionali e vi effettuò il primo sbarco.

Nel 1950, il governo sovietico rivendicò i propri diritti sull'Antartide, basandosi sul fatto che esploratori russi avessero scoperto il continente: nel gennaio 1820, infatti, Fadey Bellinsgauzen e Mikhail Lazarev scoprirono e mapparono la piattaforma e la parte continentale del continente australe. In simili casi, quando diversi paesi rivendicano diritti su uno stesso territorio, giuridicamente dovrebbe parlarsi di “condominio” e, proprio per questo, nel 1961 entrò in vigore il Trattato antartico, firmato nel 1959 da 13 paesi e riconosciuto dall’ONU, che sospendeva, ma non annullava, le loro pretese sulla piattaforma continentale. In base al Trattato, l’Antartico è proclamato territorio demilitarizzato, che può essere sfruttato solo dai paesi firmatari (oggi 52 tra Parti consultive e contraenti) solo per ricerche scientifiche e obiettivi pacifici.

Fatto sta che Londra continua a definire ufficialmente parte del Continente come “Territorio antartico britannico”, il cui status è regolato dalla “Legge sui territori d’oltremare”, che cioè godono di “legami costituzionali e storici col Regno unito”. Su tale base, Londra si riserva la “responsabilità della loro difesa nei rapporti internazionali”.

Ora, già questa formulazione contraddice al Trattato antartico sulla demilitarizzazione del Continente australe. In più, il cosiddetto Governatore delle Falkland ha esteso al territorio dell’Antartico “britannico” le sanzioni contro la Russia: prima per il riconoscimento di L-DNR e poi per “l’invasione dell’Ucraina”; alle banche russe è proibito finanziare le attività della stazione Bellinsgauzen, è limitata la possibilità di introdurvi materiali ad alta tecnologia per le ricerche scientifiche, ecc., comprese quelle del radiocentro che, dalla stazione, gestisce sin dal 1970 il settore cosmico e la flotta peschereccia negli oceani.

Ora, però, nota Jurij Gorodnenko su RenTV, quando i media britannici scrivono di bloccare Bellinsgauzen, Londra trasgredisce con ciò il punto del Trattato che proibisce di trasferire sul Continente australe i disaccordi internazionali. Di più, secondo l’ONU, i “territori d’oltremare” britannici fanno parte dei “territori privi di autogoverno” e riconosciuti sin dal 1960 come colonie, cui l’ONU richiede sia concessa l’indipendenza e puntualmente, ogni anni, le Nazioni Unite rilevano che Londra non ha mai intrapreso passo alcuno per la decolonizzazione dei “territori d’oltremare”. Tanto per ricordare come stiano le cose.

Ma anche gli USA hanno le loro “proprietà” sul Continente australe. Se Cile e Argentina si dividono, per così dire, gli Oceani, Pacifico e Atlantico, non hanno alcuna autorità sul Polo sud, in cui l’unica base, “Amundsen-Scott”, è “proprietà” yankee, che la gestiscono, come ricorda il giornalista ucraino Oleg Jasinskij, da anni residente in Cile, tramite la ALE (“Antarctic Logistics & Expeditions”), diretta da Salt Lake City, nello Utah.

Ogni decisione sull'ammissione di persone, attrezzature e cose al Polo Sud, neutrale e ufficialmente “terra di nessuno”, sono prese esclusivamente dalle autorità statunitensi, senza alcuna spiegazione e discussione.

Nella Comunità antartica cilena, pur solo a livello di voci, si è sempre detto che le basi statunitensi in Antartide siano militari e non civili, e che la principale, la “McMurdo”, rappresenti un vero e proprio insediamento, le attività dei cui residenti sono assolutamente segrete.

Nel 1986, gli storici militari britannici John Keegan e Andrew Wheatcroft, nel volume “Conflict Zones: Atlas of Future Wars” indicavano l'Antartide come una delle potenziali zone di conflitto armato globale del XXI secolo. Oltre alle brame sulle risorse naturali, un’ulteriore causa strategica è il controllo sullo stretto di Magellano, in caso di impossibilità di utilizzo del canale di Panama. Ma le attività yankee nell’area rimangono un “segreto voluto” per i media occidentali, le cui attenzioni si appuntano su altre aree ben più appariscenti per il modellamento dell’opinione pubblica.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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