L'ammissione (resa) di Lucrezia Reichlin sul Corriere
Il fondo di Lucrezia Reichlin sul Corriere di oggi è da leggere con attenzione.
Vediamo perché: 1) l'autrice prende atto che la crisi pandemica "ha cambiato paradigma", cadono i vecchi tabù targati Ue mentre "si afferma la convinzione che l'economia vada sostenuta con strumenti eccezionali", ci si convince "dell'efficacia selle politiche di bilancio espansive per lo stimolo a Pil e occupazione" e del fatto che in periodi di crescita negativa "sia controproducente aderire a strette regole di bilancio" come quelle previste dalla Ue;
2) cita il cambiamento ben più radicale in atto negli Stati Uniti, con Biden che lancia due pacchetti di spesa, rispettivamente, di due trilioni di dollari per sostenere il reddito e di tre trilioni per investimenti in infrastrutture;
3) ammette che, superata la crisi, sarà inevitabile riaprire il dibattito sul cambio di paradigma (dettato dalla contingenza pandemica o permanente?) ma conclude (in cauda venenum, come ci si può aspettare dalla figlia di un comunista convertitasi alla versione più radicale dell'ideologia liberal liberista) ammonendo che in ogni caso tutto ciò non potrà né dovrà comportare disattenzione sui costi pubblici, soprattutto per l'Italia troppo incline non fare i compiti a casa...
L'interesse di questo articolo è evidente: si tratta, né più né meno, dell'implicita ammissione del fatto che l'economia politica non è una scienza, ma un potente strumento di legittimazione ideologica degli interessi delle classi dominanti: se la crisi è talmente grave da generare rischi di marasma sociale il paradigma cambia (quindi esso non incorpora alcunché di "oggettivo"), se le cose rientrano nella normalità torna in auge il vecchio paradigma (tirate la cinghia se no mettete a rischio i profitti). Non economia politica, ma politica pura, ossia politica di classe.