"L'arte della commedia": quando il teatro supera la censura
di Agata Iacono
"L'arte della commedia", di Eduardo De Filippo, è in scena a Roma nella splendida cornice del Teatro Argentina, dal 7 al 19 maggio, con l'adattamento e la regia di Fausto Russo Alesi.
La commedia è stata scritta nel 1964, inserita nella raccolta "I giorni dispari" ed è stata poco rappresentata, sconosciuta al grande pubblico rispetto ad altre ben più famose pièce teatrali di Eduardo. Eppure, sembra stata scritta oggi. Anzi, è talmente attuale da risultare più coraggiosa, più drammaticamente emblematica di quanto non osino oggi le espressioni artistiche contemporanee. È Teatro nella sua forma più alta: denuncia, fa riflettere, rappresenta, nella finzione e nella parodia, quella cruda realtà che la realtà stessa non riesce più ad esplicitare. In questo senso, il teatro ha una funzione sociale essenziale e pretende, giustamente, il suo riconoscimento, il suo riscatto. Il capannone bruciato di una compagnia di guitti diventa così la tremenda situazione dei luoghi di spettacolo e cultura chiusi durante la pandemia, denigrati a luoghi di unzione. La censura, cui si sottopone la cultura, diventa l'attuale tragica autocensura del pensiero critico, sottoposto al ricatto della impossibilità di fare carriera, di avere dignità, anche se non si omologa conformisticamente.
Eduardo tratta tutti i temi del rapporto tra potere e cultura, attraverso l'ambiguità di una lotta costante tra gli interessi istituzionali, rappresentanti da maschere ridicole e meschine, e gli attori, che invece maschere non sono. Il capocomico della compagnia itinerante chiede al nuovo prefetto di assistere ad una sua rappresentazione teatrale, dove in scena si riverseranno ben 15 situazioni tratte dalla realtà del popolo. Al rifiuto del prefetto, che riconosce al teatro solo una funzione circense, di intrattenimento e distrazione di massa, l'attore lo sfida. Il prefetto non sarà più in grado di distinguere tra i suoi "postulanti", il vero dal falso, la realtà dalla finzione.
Sul palco si succedono tutte le contraddizioni di questa società: il rapporto tra scienza e religione, l'etica perbenista e il divorzio e l'aborto, il ruolo della scuola, della chiesa, della sanità. Tutto in un turbinio disperato senza sosta nella ricerca di rappresentare l'incompatibilità tra essere, apparire, dover essere, dover sembrare.
Tutti pretendono un ruolo riconosciuto, garantito da dignità socialmente riconosciuta e incanalata in categorie, ma al tempo stesso lo negano, lo soffrono e lo ridicolizzano, lo mettono in discussione. Il ruolo preconfezionato diventa una gabbia per chi dovrebbe esserne garante. Immenso Eduardo, che precorre la drammatica epoca di transizione che stiamo vivendo, che osa porre interrogativi, dubbi, che denuncia il conflitto tra potere, istituzioni e ruolo della cultura. Eccezionale il regista e tutta la bravissima compagnia teatrale, che ringrazio per aver avuto il coraggio di mettere in scena una denuncia che oltrepassa il tempo e lo spazio. "Non è Pirandello" fa dire ad un certo punto De Filippo al suo capocomico. "Non sono personaggi in cerca d'autore: è l'attore che cerca la sua autorità" È il teatro che rivendica il suo fondamentale ruolo. Brecht diceva che il teatro non può cambiare il mondo, ma può cambiare gli spettatori e questi, se lo vogliono, possono cambiare il mondo.