Le conseguenze geopolitiche della "emergenza finanziaria"
I tagli decisi dall'amministrazione Trump non avranno effetti solo sociali interni ma anche e soprattutto geopolitici per l'occidente
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
In innumerevoli articoli abbiamo spiegato come il problema di fondo dell'enorme crisi geopolitica in corso sia l'enorme debito estero accumulato nel corso dei decenni dagli USA in parte per ovvie necessità dovute al fatto che Washington doveva inondare di dollari il resto del mondo per imporre la propria moneta, in parte per finanziare il consumismo smodato su cui si regge l'economia americana sin dagli anni '60 del secolo scorso.
Fino a quando gli USA hanno potuto vantare un predominio tecnologico enorme sul resto del mondo le cose sono andate bene: gli investitori internazionali (a partire dai sauditi con il meccanismo del petrodollaro) erano ben felici di investire nell'economia più dinamica del mondo. Con il passare dei decenni, tuttavia, il sistema ha mostrato sempre di più le corde, rimanendo in piedi solo grazie alle enormi “toppe” che venivano messe quando le cose si mettevano male. Prima ci fu il celeberrimo annuncio di Nixon del 1971 con il quale il presidente informava il mondo che il dollaro non era più agganciato all'oro come si decise a Bretton Woods. Poi l'Accordo del Plaza del 1985 con il quale si svalutò il dollaro rispetto alla sterlina britannica, al marco tedesco, al franco francese e soprattutto allo yen giapponese, ridando così competitività alle merci statunitensi nei mercati mondiali. E infine, la grande illusione della globalizzazione, con la quale le élites statunitensi pensarono che il paese potesse vivere di finanza e innovazione ai massimi livelli lasciando il manifatturiero alla Cina Popolare che si impegnava però a reinvestire il surplus di dollari accumulati in quella enorme macchina produttrice di dollari sintetici che è Wall Street.
Grande illusione che si è rivelata letale perché, da un lato, la Cina è uscita dal ruolo di produttore manifatturiero di prodotti “maturi” per aggredire quello dei prodotti innovativi e, dall'altro lato, la situazione ha obbligato gli americani ad inventarsi prodotti finanziari sempre più rischiosi così da consentire a strati di popolazione altrimenti esclusi di poter disporre della grande greppia della finanziarizzazione. L'esempio limite di questa politica fu quello dell'introduzione dei cosiddetti mutui subprime e della loro successiva cartolarizzazione che aveva l'obbiettivo di spalmare il rischio su tutti i mercati mondiali. Il risultato finale fu - lo sappiamo tutti – l'esplosione della bolla immobiliare americana e il successivo crollo dei mercati che erano saturi di titoli contenenti mutui subprime cartolarizzati. Da allora gli Stati Uniti non si sono più ripresi nonostante le mille alchimie di politica monetaria, fiscale e anche di rapporti economici con l'estero, posti in essere: hanno provato con enormi iniezioni di liquidità, hanno provato sostenendo sia i consumi che gli investimenti sul lato fiscale, hanno provato distruggendo la competitività europea anche a costo di innescare un enorme conflitto con la Russia.
Tutto si è rivelato inutile o insufficiente il debito estero americano ha continuato a crescere fino a 23600 miliardi di dollari. Pensate che quando commissariarono l'Italia con il governo Monti il debito estero italiano (giudicato allora insostenibile dalle autorità europee) era di appena 400 miliardi di dollari. Basta far di conto per capire che il debito estero americano è ora 59 volte più grande del debito estero che aveva l'Italia nel suo anno nero!
E' in considerazione di tutto questo che Elon Musk già alla fine dell'anno scorso ha dichiarato che gli Stati Uniti si trovano in uno stato di “emergenza finanziaria”. Avendo provato tutte le altre strade anche agli USA non rimane che quella ben conosciuta da noi italiani: l'abbattimento della domanda interna attraverso tagli al bilancio dello stato. Infatti l'arrivo alla Casa di Trump ha portato alla istituzione del DOGE, il Department of Government Efficiency guidato da Elon Musk. Non nascondiamo che la scelta di costituire questo dipartimento guidato peraltro da una personalità vulcanica (e tendenzialmente anarcocapitalista) come Musk ci è sembrata, all'inizio, poco più che una trovata propagandistica. Ma con il passare dei giorni ci siamo accorti che così non è: lo smantellamento di enti come l'USAID, longa manus dell'egemonia culturale di Washington nel mondo, i tagli al personale DEI (Diversity, equity, inclusion) di enti come il Pentagono e le prossime review sulla spesa della difesa lasciano intendere che l'amministrazione americana intenda veramente fare sul serio sul lato dei tagli alla spesa per riportare i conti nazionali in carreggiata. Certo per noi italiani tutto questo fa impressione: gli USA impegnati in dolorosi tagli come lo sono stati tanti governi italiani in questi ultimi 30 anni. Per di più, il programma viene attuato utilizzando tutte le tecniche necessarie a cloroformizzare la popolazione: dalla retorica antisprechi, fino agli annunci catastrofici come quello Congressional Budget Office (CBO) che ha svelato un deficit di bilancio di 838 miliardi di dollari nei primi quattro mesi dell'anno fiscale 2025.
Ma questa scelta politica - così gravosa - fatta dall'amministrazione Trump non avrà, verosimilmente, solo grossi effetti sociali ma anche geopolitici.
Infatti, secondo il Washington Post, il Segretario alla Difesa Hegseth ha ordinato al dipartimento di preparare un piano per una riduzione annuale dell'8% per 5 anni. Un taglio che non può che essere definito monstre e che porterà il bilancio del Pentagono dagli attuali 850 miliardi di dollari a circa 500 miliardi nel 2030. Una simile sforbiciata non potrà non avere che enormi ripercussioni sull'efficienza e sulla prontezza al combattimento dell'enorme macchina militare americana.
Inoltre è in questa ottica che vanno viste le dichiarazioni provenienti da molti commentatori secondo cui bisogna prepararsi per un possibile abbandono dell'Europa (o parte di essa) da parte delle forze armate USA, oltre naturalmente che per un aumento dei costi della difesa per l'Europa. Sono moltissime le voci che si rincorrono in questi giorni a tale proposito, dal ritiro delle truppe USA dai paesi baltici rilanciata anche dal Financial Times fino alla chiusura della base navale USA di Elexandropolis in Grecia rilanciata dal giornale greco Dimokratia.
Certo per ora è tutto molto sul vago, ma qualcosa dovrà pur succedere con tagli al bilancio della difesa così profondi. E' molto interessante sottolineare anche la proposta di Trump fatta a Putin e Xi di un taglio delle spese militari del 50% sia per gli USA che per la Russia e la Cina. La Russia, per bocca di Putin ha dichiarato di essere molto interessata alla proposta, mentre i cinesi si dicono non interessati. Pare evidente che siamo di fronte ad una mossa furba di Trump che vorrebbe vendere agli avversari come una concessione un qualcosa alla quale gli USA sono obbligati per motivi economico-finanziari. E' chiaro come, con questo stratagemma, Trump voglia evitare il disarmo unilaterale che avrebbe il sapore di una capitolazione. Putin si è detto favorevole ma è ben consapevole come eventuali spese per il riarmo possano essere spostate con giochi di prestigio contabili da una posta all'altra del bilancio dello Stato, facendo dunque apparire una spesa militare come spesa per lo sviluppo economico o come spesa per la ricerca scientifica: l'importante è ovviamente avere le risorse. I cinesi invece si sono detti contrari perchè hanno ancora bisogno di spese colossali per mettersi al pari con i due grandi rivali di Mosca e di Washington.
Insomma, ognuno tira l'acqua al proprio mulino. Tranne l'Europa, che in questa partita si trova completamente a secco di quell'acqua necessaria a far girare la ruota del proprio.