Le guerre di Israele e il "cambio di linea" di Repubblica

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Le guerre di Israele e il "cambio di linea" di Repubblica




Nelle ultime due settimane, relativamente alle "guerre" di Israele, abbiamo assistito a un cambio di linea da parte di molti giornalisti e persino di un'intera testata come Repubblica. Ha cominciato a circolare la parola "orrore" fra i commenti. Qualcuno ha iniziato ad abbandonare le discussioni su antisemitismo o antisionismo, oramai appannaggio di qualche fanatico. Un cambio di passo decisivo, in Italia, si è percepito dopo l'attacco dell'IDF alla base italiana di Unifil. La nostra stampa ha infatti dato poco credito alle dichiarazioni israeliane che parlano di "errore". Del resto si tratta di ricostruzioni assai lacunose che non trovano riscontro nei racconti dei nostri caschi blu. Ieri anche Elly Schlein ha condannato nettamente Israele, e così anche nelle file della maggioranza sono sempre meno i facinorosi filoisraeliani.

Le menzogne dello stato israeliano seguono del resto la logica di sempre, ovvero quella di scaricare ogni responsabilità e sfruttare ogni circostanza per trasformarsi in vittima là dove invece svolge il ruolo di carnefice che non lesina violenza. È così da sempre, è così da 57 anni, da quando sono iniziate le occupazioni illegali, giustificate con ogni mezzo e portate avanti in modo spudorato seminando morti e distruzione.

Accanto alla parola orrore per lo sterminio dei palestinesi e per le devastazioni in Libano, occorrerebbe ora aggiungere anche la condanna netta delle occupazioni illegali israeliane. Questo tema fatica infatti ad emergere nonostante le risoluzioni dell'ONU che il nostro paese ha condiviso. Eppure la radice del conflitto sta principalmente nelle occupazioni contro le quali occorre un piano di evacuazione dei coloni israeliani. Lo ha detto bene anche Ilan Papé: fino a quando dureranno le occupazioni non ci sarà pace per Israele.

Certo, si dirà che non si può fare granché sino a quando gli Stati Uniti continueranno a sostenere Israele. Nell'ultimo anno Washington ha stanziato ben 18miliardi di dollari insieme alla fornitura di armi e a un nuovo sistema di difesa dal momento che Iron Dome, per quanto efficace, non basta.
A me, però, non pare che la coppia Israele e Usa sia politicamente così solida. Non solo perché sta diminuendo la simpatia americana a causa della ferocia dell'IDF e delle stragi oramai quotidiane contro palestinesi e libanesi. C'è anche qualcos'altro. L'eccesso di violenza è il segno di una fragilità politica interna a Israele. Il fatto stesso che stia combattendo su più fronti contemporaneamente e che abbia addirittura attaccato le forze dell'Onu mostra l'avvitamento irrazionale di questo paese insieme al disorientamento strategico e all'assenza di un piano che non sia quello di fare stragi e allargare le occupazioni. Tutto questo viene compiuto come se non avesse delle conseguenze, come se tutte queste morti non lasciassero strascichi e soprattutto come se dai territori occupati gli abitanti potessero magicamente sparire.

Non bisogna scambiare la violenza per forza politica. Israele ne ha poca e questo anche per la semplice ragione che ha torto e che le sue azioni sono criminali e indifendibili. Chi parla di “suicidio di Israele”, come Anna Foa, credo che lo faccia con cognizione di causa.

*Post Facebook del 14 ottobre 2024

Paolo Desogus

Paolo Desogus

Professore associato di letteratura italiana contemporanea alla Sorbonne Université, autore di Laboratorio Pasolini. Teoria del segno e del cinema per Quodlibet.

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