Le nozze tra Meloni e Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
di Michelangelo Severgnini per l'AntiDiplomatico
Trenta miliardi di scambio commerciale tra Italia e Turchia. Questo era il traguardo da celebrare in pompa magna. E’ stato persino rinviato, prima per il viaggio negli States della Meloni, in seguito per la morte del papa. Ma prima che cominci il conclave, un buco è stato trovato.
La Turchia è volata a Roma nella giornata di martedì 29 aprile 2025 con quasi l’intero governo: oltre al presidente Erdogan sono atterrati a Ciampino: il ministro degli Affari esteri Hakan Fidan, il ministro della Famiglia e dei servizi sociali Mahinur Özdemir Gökta, il ministro della gioventù e dello sport Osman Aikin Bak, il ministro della cultura e del turismo Mehmet Nuri Ersoy, il ministro della difesa nazionale Yafar Güler, il ministro dell'industria e della tecnologia Mehmet Fatih Kacer, il ministro del commercio Ömer Bolat, il capo del M?T Ibrahim Kalin, il Direttore delle Comunicazioni della Presidenza Fahrettin Altun, il capo delle Industrie della Difesa della Presidenza Haluk Görgün e tanti altri.
Migrazione, Europei di calcio 2032, Libia, scambio commerciale a tutti i livelli, ma soprattutto armi. Da un lato il bisogno di armarsi europeo e italiano. Dall’altro il desiderio di vendere armi turco.
“Puntiamo ai 40 miliardi!”, hanno esclamato in coro la Meloni e Erdogan.
Se questo è stato un banchetto di nozze, la firma dell’accordo di matrimonio è stata messa il 6 marzo scorso, quando Leonardo, il colosso italiano della difesa e aerospazio, e l’azienda turca dei droni Baykar hanno siglato un Memorandum of Understanding per dar vita a una joint-venture, con sede in Italia, dedicata alla progettazione, sviluppo, produzione e manutenzione di sistemi aerei senza pilota.
L’accordo si basa su “forti sinergie e complementarità industriali”. Insomma, con l’aggiunta della tecnologia italiana, i droni turchi possono diventare davvero micidiali. E l’Italia ne avrà la sua parte.
In questo modo, Leonardo e Baykar intendono “perseguire congiuntamente opportunità sia nel mercato europeo sia a livello internazionale, sfruttando anche ulteriori sinergie nel settore spaziale”. Puntano infatti alla “conquista del mercato europeo – comprendente caccia senza pilota, droni da sorveglianza armati e droni da attacco in profondità – stimato intorno ai 100 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni”.
I droni turchi da tempo suscitano preoccupazione e invidia, per la loro letalità, per la tecnologia a basso costo (e quindi per il basso prezzo alla vendita) e soprattutto per la vendita facile con cui la Turchia ha risposto a chiunque si sia fatto avanti per l’acquisto.
A cominciare dagli Ucraini, che però li hanno pagati profumatamente. Nel 2019, l'Ucraina ha acquistato una prima flotta di TB2 per una cifra dichiarata di 69 milioni di dollari. Da lì in poi sono seguiti ulteriori acquisti finché una fabbrica della Baykar dovrebbe essere persino aperta a Kiev.
In qualità di maggiore azienda di veicoli aerei senza pilota al mondo, Baykar ha firmato accordi di esportazione con un totale di 36 Paesi - 34 per l'UCAV Bayraktar TB2 e 11 per l'UCAV Bayraktar AKINCI.
L’ingegneria aerospaziale in Turchia subisce un forte impulso a partire dal 2010, quando le Industrie Aerospaziali Turche (TAI) hanno avviato lo sviluppo di droni, ma sono i modelli TB2 del 2012 e successive evoluzioni a cambiare le carte in tavola in molti conflitti.
Molti sostengono che la crescita dell’industria aerospaziale turca dell’ultimo decennio sia stata una conseguenza dell’indisponibilità europea a condividere il progetto Eurofighter con la Turchia, al quale di nuovo di recente la stessa Turchia ha chiesto di essere ammessa.
Non solo, nel 2017, a un anno dal tentato golpe americano contro Erdogan, la Turchia aveva acquistato il sistema missilistico di difesa russo S-400.
Ma ora Erdogan ha sentito odor di soldi provenire dall’Europa. Non solo il consorzio tra Germania, Italia, Spagna e Regno Unito intorno al jet Eurofighter non ha portato agli obiettivi prefissati, ma le contingenze del momento spingono l’Europa a rafforzate il proprio sistema militare.
E mentre ormai l’Europa va alla spicciolata, l’Italia si muove per conto suo. Insieme ai Turchi.
Infatti è stato Erdogan a bussare alla Leonardo: manca ancora un pizzico di tecnologia in più alla Turchia per lanciare il prossimo drone ancora più letale e noi siamo il partner prescelto.
La Meloni non ha fatto una piega. Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, si è sfregato le mani. I 40 miliardi sono nel mirino.
Cosa ne penseranno gli altri governi europei?
Ancora non si sa.
Imamoglu chi?
Ah, già. L’ex-sindaco di Istanbul arrestato.
Nonostante il partito di opposizione CHP, di cui l’ex-sindaco fa parte, abbia chiamato il Paese ad un boicottaggio contro le imprese vicine al governo, la faccenda è molto più delicata e profonda di quanto non si racconti qui in Italia.
Il presidente del partito, Özgür Özel, ha lanciato un accorato appello al premier inglese Starmer sui canali della BBC chiedendo il soccorso europeo contro Erdo?an: “Mentre tutta l'Europa reagisce, non capiamo perché il partito laburista britannico di Starmer non dica nulla al riguardo. Ci sentiamo abbandonati. Prendono il sindaco di Istanbul e lo mettono in prigione e il Regno Unito non alza una voce. Allora com'è questa amicizia, com'è questo partito gemello, com'è questo difendere insieme la democrazia? Come possono la Gran Bretagna, culla della democrazia, e il nostro partito gemello, il Partito Laburista, rimanere in silenzio? Siamo davvero molto offesi”.
Tuttavia, mentre il partito di opposizione CHP gioca a candidarsi a maggiordomo turco dell’Europa, oltre alle indagini per corruzione già a carico dell’ex-sindaco e di un altro centinaio di indagati, la Procura generale di Ankara ha aperto un’ulteriore indagine sulle accuse dei delegati dello stesso partito CHP, Kemal Ölmez e Naz?m Demir, secondo cui sarebbero stati effettuati voti in cambio di denaro durante il 38° Congresso ordinario del CHP tenutosi il 4 e 5 novembre 2023.
Può darsi dunque che tra Londra e Parigi a qualcuno questo obiettivo dei 40 miliardi di scambio tra Roma e Ankara non piaccia. Nel caso a Istanbul hanno già la loro pedina da mettere in movimento.
Tuttavia la vera partita di Erdogan non si gioca a Istanbul, ma nel profondo Kurdistan.
Dopo lo storico appello di Abdullah Öcalan che ha chiamato al disarmo e allo scioglimento unilaterale del PKK, tuttavia una data per il congresso che sancisca la fine del progetto politico cominciato nel lontano 1978 ancora non c’è.
E in questa fase delicata molte cose possono succedere.
Tülay Hatimogullar?, co-leader del partito DEM filo-curdo in Turchia, sulle proteste in corso nel Paese ha rilasciato un messaggio sibillino: “Quando osserviamo questo processo, la prima soglia critica è stata superata. Tuttavia, sono il governo e lo Stato che devono superare la seconda soglia critica. Affinché questo appello abbia un equivalente sociale, per essere implementato, spetta al governo e allo Stato creare il terreno che supererà la seconda soglia critica”.
Come dire che il governo turco si deve dare una regolata.
All’interno della comunità politica curda di Turchia in molti vorrebbero subordinare lo smantellamento del PKK a grosse concessioni da parte del governo turco. Tuttavia non è questo lo spirito dell’appello fatto da Öcalan.
Lo hanno ribadito più volte persone vicinissime al leader curdo, tra queste Süreyya Önder, vice-presidente del gruppo parlamentare e membro storico della delegazione che negli anni ha potuto incontrare Öcalan nel carcere di ?mral?.
"Al momento non è chiaro quale strada intraprenderanno gli Stati Uniti, Israele, l'Iran, la Turchia o gli altri attori in Siria. Non è chiaro cosa farà il nuovo governo di Damasco e che tipo di Siria costruirà. È proprio in questo periodo di incertezza che Öcalan ripropone la sua proiezione mediorientale come suggerimento. Forse la posizione più chiara a questo proposito è quella di Öcalan.
Dimostra una posizione politica che suggerisce pace, coesistenza e transizione, piuttosto che guerra, conflitto e linee nette che si trasformano in muri tra i popoli. Ora è il momento giusto per mettere in pratica questa teoria. Pertanto, sia Öcalan che il movimento curdo hanno le idee chiare sulla pace”.
Purtroppo Süreyya Önder è stato colpito di recente da un attacco di cuore e la sua vita è in pericolo, in terapia intensiva da più di una settimana (a lui vanno i nostri migliori auguri). Ma sono in molti a considerare l’appello di Öcalan come un bene a prescindere e non una mossa all’interno di una trattativa.
Chi invece certamente non guarda in faccia a trattative sono i Curdi di Siria.
Soltanto il 10 marzo scorso, all’indomani della strage di Alawiti, Ahmed Sharaa (l’ex al-Jolani) aveva firmato a Damasco un accordo con Mazloum Abdi, comandante generale delle SDF curde in Siria, affinché la Siria rimanesse un Paese integro e unito, come chiesto a gran voce anche dalla Turchia e del resto come stabilito dagli accordi di Astana del 2018 con Russia e Iran.
Ma ecco che sabato scorso 26 aprile si è tenuta una conferenza per il dialogo intra-curdo a Qamishli, città curda del nord della Siria, durante la quale le SDF hanno lanciato un appello per il federalismo in Siria, che, armi alla mano, da quelle parti corrisponde ad un’indipendenza di fatto (vedi nord dell’Iraq).
La risposta dello stesso Ahmed Sharaa non si è fatta attendere esprimendo tutta la sua delusione: “Le ultime manovre e dichiarazioni della leadership delle SDF, che chiedono il federalismo e radicano una realtà separata sul terreno, contraddicono apertamente la sostanza dell'accordo e minacciano l'unità del Paese e l'integrità del suo territorio”.
Chi è invece soddisfatto dell’esito della conferenza? “Gli Stati Uniti accolgono con favore la ripresa del dialogo intra-curdo e attendono con ansia i suoi continui progressi”, ha dichiarato al canale Rudaw un portavoce del Dipartimento di Stato.
Israele per ora si astiene dal commentare, giusto per non dare troppo nell’occhio.
Per la Turchia è allarme rosso in Siria.
Per l’Italia sono bei soldi.
Il resto lo diranno i fatti.