Le nuove (inaspettate) vittime della "lotta alla disinformazione" in Ucraina

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Le nuove (inaspettate) vittime della "lotta alla disinformazione" in Ucraina

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di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Sembra che in Ucraina, dopo il repulisti operato nei media nazionali nel 2021 e la proibizione di quelli russi, sia ora la volta dei media occidentali a dover fare le spese della “lotta alla disinformazione”.

Il 5 dicembre, riporta Ukraina.ru, il Centro di contrasto alla disinformazione (organismo creato proprio nel 2021 per chiudere, senza decisione giudiziaria, una decina di media ucraini), attivo presso il Consiglio di sicurezza e di difesa, ha messo in guardia da una imprecisata campagna-fake della stampa straniera contro la leadership di Kiev, messa a punto da altrettanto imprecisati giornalisti occidentali, esperti di Russia, con «l'obiettivo di dividere la società ucraina».

A parere di Dmitrij Kovalevic, l'ammonimento del Centro può esser considerato un “colpo d'anticipo”, in vista della vera comparsa sulla stampa occidentale di aspre critiche all'indirizzo di Kiev, a partire dalle denunce per corruzione e traffici d'armi. Denunce che sono solitamente definite “narrativa del Cremlino”, anche se arrivano da Washington o Londra. Se a queste si aggiungono le sempre più aperte ammissioni dei media occidentali sulla reale situazione al fronte, sui calcoli sbagliati dei comandi ucraini, osserva il canale Telegram ucraino “L'osservatore”, sembra proprio che alla Bankova (la strada a Kiev con il palazzo presidenziale) temano così tanto il precipitare dei sondaggi e si rendano conto di avere i giorni contati, che Zelenskij abbia dato l'ordine di discreditare anche la stampa occidentale.

Il fatto è che vari media occidentali hanno cominciato a riportare le denunce di militari ucraini sull'incompetenza dei comandi, sulle forti perdite, sulla mancanza servizi sanitari al fronte; così, già lo scorso agosto, il QG aveva proibito quasi totalmente la presenza di giornalisti stranieri in prima linea, come scriveva allora la svizzera Le Temps.

Quasi a voler aggirare il divieto, molti soldati hanno cominciato a mettere in rete video della situazione al fronte con commenti non proprio benevoli per Kiev, così che, a inizio dicembre, 25 deputati guidati dal capogruppo alla Rada per “Servo del popolo”, David Arakhamija, hanno firmato un progetto di legge per vietare ai soldati ucraini di pubblicare video e foto sui social.

Il fatto è, osserva Pavel Volkov ancora su Ukraina.ru, che anche se i media occidentali, per ipotesi, prendessero soldi dal Cremlino, la propaganda moderna non funziona quasi mai su ordine diretto. E, anzi, è proprio l'Occidente che oggi “suggerisce” a Kiev di cambiare strategia propagandistica.

In prima linea in questa campagna, la sorosiana Ukrainskaja pravda – citata a destra e a manca anche da vari siti “di sinistra” nostrani - del ceco Tomáš Fiala, CEO di “Dragon Capital” e al terzo posti tra i primi 25 immobiliaristi d'Ucraina (nel 2021, Forbes valutava il suo patrimonio in 340 milioni di dollari) che, mentre tifa Zalužnij contro Zelenskij, propone a Kiev di passare a un tipo “orizzontale” di propaganda. Quella “verticale” è efficace sul breve momento, quando si tratta di convincere le persone che «in due settimane prendiamo la Crimea» e in poche settimane Kiev vincerà la guerra; ma, alla lunga, diventa dannosa. Se nei primi mesi dopo il febbraio 2022 l'intera sfera mediatica ucraina era carica di “Wunderwaffen Bayraktar” e di soldatini russi dipinti da un lato come il “gatto Chmonja” e dall'atro come “orchi stupidi”, oggi il messaggio principale da trasmettere è che si ha di fronte un nemico intelligente e tecnologicamente sviluppato e che al fronte c'è bisogno di sempre più soldati, per cui è necessario coinvolgere completamente l'intera società nell'agenda militare. 

A modo loro, i distretti militari ucraini lo stanno facendo da tempo; ma la mobilitazione violenta non fa che provocare ancor più avversione e allora la propaganda deve fare in modo che le persone stesse “corrano volontariamente” ad arruolarsi. Non come ora, quando la gente chiede che sia «il figlio di Porošenko» a combattere, che siano i deputati, i ministri, gli oligarchi ad andare al fronte. La propaganda, insegnano i sorosiani, deve trasmettere il messaggio per cui la mobilitazione non si effettua secondo criteri di classe: la realtà è proprio questa, ma si deve forgiare il convincimento che non sia così. Si deve annullare la convinzione diffusa che deputati, generali e ufficiali nelle retrovie “combattano” per intascare gruzzoli da contrabbando di armi e organi umani, o si attacchino addirittura a televisori, lavatrici, frigoriferi saccheggiati nei villaggi evacuati del Donbass, mentre al fronte mancano ufficiali capaci e armi efficaci e il munizionamento scarseggia.

Anche tacere sulle perdite umane è una scelta sbagliata, suggerisce Ukrainskaja pravda: per mesi si è parlato della “fortezza Bakhmut" che non si sarebbe mai arresa, e poi all'improvviso è calato il silenzio. Tenere nascoste le perdite, permette alla propaganda nemica di inventare qualsiasi cifra: le persone crederanno a quelle del nemico, dato che non ce ne sono altre.

Una popolazione in uno stato di shock per la non corrispondenza del contesto mediatico alla realtà è abbastanza facile da controllare, ma difficile da mobilitare, ammonisce il giornale di Tomáš Fiala. Prima di tutto, si smette di credere agli “esperti”, le cui previsioni non si avverano mai; poi, si smette di credere ai capi e le persone giungono a una semplice conclusione: può anche darsi che la Russia sia un nemico esistenziale, ma andate voi a combattere.

Si arriva quindi all'attacco al nazigolpista-capo.

All'inizio Zelenskij, sfruttando l'immagine di politico non professionale, vicino al popolo, si rivolgeva direttamente al pubblico dei paesi partner, aggirandone le leadership: la cosa funzionava, portando sostegno all'Ucraina. Poi però ha cominciato a criticare l'Occidente per non aver inasprito le sanzioni anti-russe, non sostenere abbastanza l'Ucraina con le armi e ritardarne l'ingresso in UE e NATO. E questo ha infastidito. Zelenskij non ha saputo passare dal linguaggio verso la gente a quello verso le istituzioni e la sua comunicazione è diventata inefficace, come la risposta all'intervista di Zalužnij a The Economist, con quell'arrogante «che i militari si occupino di guerra e non di politica», che incrina ogni idea di fiducia tra esercito e governo.

Ukrainskaja pravda rileva che c'è in Ucraina uno strato privilegiato di giornalisti, mentre tutti gli altri devono concordare ogni materiale a tutti i livelli: il risultato è che diventa impossibile conoscere la verità. Dal momento però che la guerra si allunga, la verità viene comunque a galla: molto probabilmente da fonti nemiche. E «questo non è proficuo».

Ogni discussione è assente dalla politica ucraina, semplicemente perché non esiste politica in uno stato gestito dall'esterno; non ci sono piattaforme mediatiche di dibattito. Ma, nell'era di Internet, se non ci sono piattaforme interne, le persone si rivolgono a quelle esterne. Si dovrebbero organizzare simili piattaforme (“una sorta di Hyde Park”) suggeriscono i sorosiani, per dare uno “spazio controllato” a dubbiosi e esitanti, che altrimenti ricevono dal nemico le risposte ai propri dubbi. Nell'epoca di Internet e Wikipedia, è sbagliato l'approccio che vede il soggetto dell'informazione come un insegnante e il destinatario come uno scolaro. Dunque, non si deve aver paura di spaventare la società con la verità, come se la società fosse uno stupido bambino.

Alcune considerazioni, sulla linea delle “raccomandazioni” fatte a Kiev, potrebbero riguardare anche l'ambito russo, conclude Pavel Volkov. Per dire: oggi in Russia non ci sono media che si rivolgano a un pubblico moderatamente “non bellicista”. Di conseguenza, questi esitanti, non ricevendo risposte alle loro domande dai media ufficiali, le cercano nei media considerati “agenti stranieri”. In generale, la Russia, a differenza dell'Ucraina, non ha un vitale bisogno di rivedere la propria strategia mediatica. Ma, per un'efficacia a lungo termine, è chiaro che ci si debba impegnare anche verso i gruppi “periferici” della popolazione. In questo modo, sarà più problematico per il SBU reclutare soggetti per spionaggio e attacchi terroristici.

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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