Le peggiori menzogne di Israele
di Alessandra Ciattini*
Sembra che in Italia nessuno si sia accorto della pubblicazione del libro di Jean-Piere Bouche e Michel Collon, intitolato Israël. Les 100 pires citations (Israele. Le 100 peggiori citazioni), avvenuta nel 2023 grazie a Investig’action, sito multimediale amministrato dallo stesso Collon. E ovviamente la ragione è evidente : il libro contiene notizie, frasi, espressioni, ragionamenti rilasciati dai dirigenti politici israeliani, da cui si può ricavare la netta differenza tra i discorsi ufficiali e l’autentico pensiero dei fondatori, dei presidenti, ministri, militari israeliani, i quali sin dal 1895 hanno dichiarato a chiare lettere quale fosse la loro strategia e il loro obiettivo finale. Tutti questi elementi, spesso oscurati, mettono in evidenza il progetto coloniale israeliano, non meno feroce delle precedenti avventure coloniali europee.
Mi pare importante sottolineare in prima battuta che il principale obiettivo di Collon, espresso nello slogan di Investig’action, Pas de Paix sans Info Indépendente, è quello di analizzare meticolosamente i contenuti che quotidianamente ci vengono elargiti dai mass media, mostrando come essi alterino la realtà, tentino di manipolarci e distorcano i fatti. Collon è uno specialista in questo ambito, avendo studiato tutte le manipolazioni ideologiche legate alle guerre “umanitarie”, esportatrici di democrazia degli ultimi decenni; da ricordare il suo libro sulle immagini diffuse sulla guerra in Ucraina, nel quale mostra che sostanzialmente i procedimenti di manipolazione e di falsificazione sono sempre gli stessi.
Una delle opinioni ormai più fondate è quella secondo cui i tempi di guerra partoriscono tantissime menzogne, come del resto aveva già documentato il grande storico francese Marc Bloch in Riflessioni sulle false notizie della guerra (1921). In una pagina, in cui si richiama alla psicologia delle testimonianze, scrive: “Falsi racconti hanno sollevato le folle. Le notizie false, in tutta la molteplicità delle loro forme – semplici dicerie, imposture, leggende -, hanno riempito la vita dell’umanità. Come nascono? da quali elementi traggono la loro consistenza? come si propagano, guadagnando in ampiezza a mano a mano che passano di bocca in bocca o di scritto in scritto? Nessun interrogativo più di questi merita d’appassionare chiunque ami riflettere sulla storia”. Bloch scriveva quando ancora i mass media non avevano raggiunto la pervasività attuale e, pertanto, guardava più alle false notizie generatesi spontaneamente tra i combattenti.
A queste interessanti osservazioni, a mio parere, bisognerebbe aggiungere che, se ognuno di noi per vivere ha bisogno di una concezione del mondo in cui opera, il potere in tutte le sue forme deve sempre fornirne una che giustifichi o almeno non leda la sua esistenza, come ironicamente aveva mostrato già a suo tempo Jonathan Swift.
Bouche e Collon riprendono questa prospettiva e vanno direttamente alle fonti del sionismo con un atteggiamento non anti-semita, che sarebbe privo di senso, giacché dal punto di vista linguistico e culturale anche gli arabi e i palestinesi sono semiti, ma anti-sionista, ossia in opposizione a un progetto politico infarcito di messianismo, scaturito dal fondamentalismo religioso ebreo e anglosassone e ben radicato nell’ideologia coloniale.
Come sapevano bene i fondatori della prima agenzia di diffusione ideologica De Propaganda Fide, Bouche e Collon mettono in luce come un’efficace propaganda deve appellarsi all’emozione, la quale cortocircuita la ragione e le impedisce di andare a cercare gli elementi mancanti e le cause profonde dei conflitti, quando non diffonde vere e proprie bugie, come affermava nel 1992 il primo ministro Shamir: “Si può mentire nell’interesse di Israele”. Le citazioni riportate nel libro provengono da tutte le forze politiche israeliane (escluso il partito di sinistra Meretz) quali la Sinistra laburista, il Likud, i Centristi, i Sionisti religiosi, gli Ultra-Ortodossi. E svelano cosa si cela dietro i più diffusi stereotipi, non del tutto messi in crisi purtroppo nemmeno dal genocidio in atto, come “Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente”, “la nostra violenza è necessaria perché lottiamo contro i terroristi”, “sono gli arabi che ci rifiutano” etc. Le citazioni sono tratte dalle migliaia presenti ne sito https://palcit.net/, che è un database, che raccoglie espressioni, commenti, opinioni che hanno scandito la colonizzazione sionista della Palestina.
Una prima citazione veramente illuminante è tratta dal libro di Theodor Herzl, scrittore ebreo-ungherese, noto fondatore del movimento sionista, Lo Stato degli ebrei pubblicato nel 1896. Sicuramente Herzl aveva tutte le ragioni di essere preoccupato per le condizioni degli ebrei in Europa (tra l’altro era a Parigi al tempo dell’Affare Dreyfus), ma certo i metodi che descrive per acquisire le terre per gli ebrei non sono eticamente accettabili. Giudicate voi: “Dovremo espropriare con dolcezza la proprietà privata nelle terre che ci saranno assegnate (ancora non si parlava di Palestina, potevano stare anche in Uganda). Inciteremo la popolazione sprovvista di mezzi a varcare il confine, procurandole lavoro nel paese di transito, privandola del tutto del lavoro nel nostro paese. L’espropriazione e la cacciata dei poveri dovranno essere fatte con discrezione e circospezione”.
Ormai è stranoto che soprattutto il Regno Unito sosteneva con pertinacia la cacciata dei palestinesi e la fondazione di uno Stato ebraico, come si può ricavare da questa significativa citazione tratta da un articolo scritto da Winston Churchill nel 1920: “ Naturalmente, la Palestina è troppo piccola per ospitare più di una frazione della razza ebraica, né la maggioranza degli ebrei nazionali desidera andarci. Ma se, come potrebbe benissimo accadere, durante i nostri giorni sulle rive del Giordano venisse creato uno Stato ebraico sotto la protezione della Corona britannica, che potesse comprendere tre o quattro milioni di ebrei, si sarebbe verificato un evento nella storia del mondo che sarebbe stato vantaggioso da ogni punto di vista e sarebbe stato particolarmente in armonia con i più veri interessi dell'Impero britannico”. Pertanto, il progetto coloniale non è solo germogliato dal sionismo, ma ha trovato sostegno nelle brame imperialistiche britanniche, che hanno innestato una spina nel fianco del mondo arabo, impedendo il suo sviluppo.
Potrebbe apparire bizzarro, ma il progetto sionista non dispiaceva affatto al governo nazista, come si può ricavare da questa lunga citazione tratta da una circolare diplomatica e scritta da Vicco Von Bülow-Schwante (1891-1971), responsabile della questione ebraica al Ministero degli Esteri tedesco: “c'è una parte dell'ebraismo che rifiuta la possibilità di assimilazione degli ebrei nella nazione ospitante e quindi promuove l'emigrazione e il raduno degli ebrei sparsi in tutto il mondo nella propria comunità politica. Questo gruppo, in primo luogo il sionismo, è quello che più si avvicina agli obiettivi della politica ebraica tedesca. L'emigrazione degli ebrei tedeschi sarà attivamente promossa d'ora in poi dal governo nazionalsocialista. In particolare, saranno stanziati determinati importi per il trasferimento degli ebrei disposti a emigrare. A tal fine, le autorità ufficiali tedesche collaborano pienamente sine ira et studio con le organizzazioni ebraiche, in particolare nella promozione dell'emigrazione in Palestina” (1934).
Qui è ben delineata la prospettiva dell'accordo dell'Haavara (trasferimento), stipulato nel 1933 da Eliezer Hoofein, direttore della Banca anglo-palestinese, e il Ministero dell'economia del III Reich, in base al quale gli ebrei tedeschi, proprietari di somme consistenti, avrebbero potuto emigrare in Palestina, se avessero comprato una certa quantità di beni prodotti in Germania. L’accordo, che nel 1939 fu abbandonato, garantì per un breve periodo uno sbocco alle merci tedesche.
Vi sono altre numerosissime testimonianze che dimostrano la volontà di Israele, basata sul falso mito della loro proprietà esclusiva della Palestina, di provocare l’esodo degli arabi con tutti i mezzi compresa la violenza indiscriminata. Se oggi i dirigenti israeliani pensano di deportare i palestinesi in Giordania, dove già vivono numerosi, in Egitto, o addirittura in Uganda, il 15 giugno 1967, poco dopo la guerra dei sei giorni, il primo ministro Levy Eskhol propose il Brasile come luogo in cui trasferirli; Brasile che al quel tempo era una dittatura militare disposta a fare alleanze con chiunque pur di restare in piedi. Nel 1969, invece, il Mossad e il dittatore paraguaiano Alfredo Stroessner si accordarono per deportare nel paese sudamericano 60.000 palestinesi in quattro anni. Di fatto ne arrivarono solo 30 nel 1970 e non se ne fece più nulla.
Come si diceva la manipolazione si basa soprattutto sull’emozione, nei suoi toni più forti come il raccapriccio, l’orrore, il disgusto. Per questa ragione uno dei motivi classici sollevati nella propaganda di guerra è rappresentata dalla violenza fatta ai bambini e addirittura ai neonati. E quando non si hanno, prove, documenti, immagini occorre inventarli. In particolare la violenza sui bambini è utilizzata dai media-ménsonges per dimostrare la completa disumanità dei propri nemici, contro i quali pertanto tutto è permesso e contro i quali si può commettere qualsiasi bestialità, anche se in questo modo si violano quegli stessi diritti invocati contro i nemici. Ma si sa la logica non può fermare le emozioni quando sono così fortemente eccitate.
Cominciamo con l’analizzare il famoso 7 ottobre, le cui vicende sono state ricostruite in maniera alquanto veritiera, ma che continua ad essere messa in discussione. In primo luogo occorre ricordare che il protagonista dell’attacco non era costituito solo dal gruppo di Hamas, ma che ad esso hanno partecipato anche tutti gli altri gruppi della resistenza palestinese, che ha tutto il diritto di opporsi ad un esercito che occupa le terre del suo popolo e che non ha rispettato le decisioni dell’ONU, la quale lo ha invitato numerosissime volte a ritirarsi. L’attacco non era rivolto verso indifese comunità israeliane, ma verso basi militari e verso alcuni kibbutz, dove abitualmente stazionano militari e i cui residenti sono armati. Solo recentemente il generale Yoav Gallant, ex ministro della Difesa israeliano, ha ammesso che il 7 ottobre ha ordinato ai suoi soldati di sparare su tutti i presenti, applicando la dottrina Annibale, dottrina ufficiale dell’esercito israeliano che prevede l’uccisione degli stessi israeliani nel caso in cui siano catturati, per evitare che i palestinesi richiedano in cambio i loro compatrioti ingiustamente incarcerati in Israele. Inoltre, c’è anche da notare che i danni alle costruzioni e alle auto, documentati dalle foto che ci sono state mostrate, difficilmente possono essere stati causati dalla resistenza palestinese, che in quel momento era dotata solo di armamento leggero. Eppure tutti questi elementi non vengono rivelati, né si fa riferimento alle testimonianze di israeliani presenti quel giorno, che accusano l’IDF di aver sparato su di loro, e la versione proposta è quella di un massacro esclusivamente condotto dal gruppo terrorista Hamas, che avrebbe inflitto morte e sofferenze anche a donne e bambini. Si tratta di informazioni ormai non nuove, come quella relativa al fatto che circa metà degli uccisi erano militari e poliziotti, diffuse dal giornale israeliano Haaretz, che scivolano addosso ai vari commentatori televisivi, i quali debbono a tutti i costi giustificare il vero e proprio genocidio dei palestinesi.
Quanto alla questione dei neonati decapitati (ci ricordiamo dei neonati tratti dalle incubatrici dagli iracheni, notizia dimostratasi falsa), i due autori del libro sottolineano che questa notizia è stata data dai mezzi di comunicazione di proprietà del miliardario franco-israeliano Patrick Drahi e che è stata riportata alla lettera dagli altri mezzi di comunicazione, portando come prova la testimonianza di un militare israeliano notoriamente razzista e anti-palestinese. Tutti sanno che la TV di Drahi costituisce uno strumento di propaganda del governo israeliano, il quale ha bisogno di “prove” per incrementare le stragi di quelli che definisce “animali umani”; nonostante queste problematicità, mercoledì 11 ottobre, quattro giorni dopo l’attacco, quasi tutti i giornali italiani, non seguiti da tutti quelli europei, hanno messo in prima pagina il titolo sul massacro che sarebbe probabilmente avvenuto in un kibbutz al confine con Gaza, abbondando di notizie false e orripilanti come la decapitazione di 40 bambini e gli strupi compiuti dai terroristi sulle donne israeliane. Successivamente alcuni esponenti dell’esercito israeliano hanno dichiarato di non avere prove sulla denunciata decapitazione né sui presunti stupri, ma la smentita è stata messa in sordina e, d’altra parte, quale atto nemico potrebbe giustificare il non rispetto del diritto internazionale, il genocidio dei palestinesi, l’uccisione deliberata di civili, tra cui donne e bambini, le deportazioni in massa di esseri umani privati di ogni mezzo di sussistenza, tutte azioni compiute da Israele con l’appoggio morale e materiale degli Usa e dei suoi Stati vassalli? Solo recentemente il Ministero della Salute di Gaza ha pubblicato l’elenco dei nomi dei 15.613 bambini uccisi dopo il 7 ottobre, si è calcolato che ogni 15 minuti un bambino muore a Gaza e chissà quanti negli altri territori occupati.
Infine, credo sia utile mettere in evidenza una stridente contraddizione nel pensiero sionista tra la rivendicazione della Palestina quale terra natia e il rifiuto di quella che possiamo chiamare “anima orientale”. Così scrive Zeev Jabotinsky (1880-1940), scrittore russo, esponente del versante filofascista del sionismo: “Noi ebrei non abbiamo nulla in comune con quello che viene chiamato "Oriente", grazie a Dio. Nella misura in cui le nostre masse ignoranti hanno antiche tradizioni spirituali e leggi che chiamano Oriente, devono essere svezzate da esse… Andiamo in Palestina, prima di tutto per la nostra convenienza nazionale, [in secondo luogo] per spazzare via completamente ogni traccia dell'"anima orientale". Quanto agli arabi in Palestina, quello che fanno sono affari loro; ma se possiamo fare loro un favore, è aiutarli a liberarsi dall'Oriente”.
Come si vede, alla luce delle testimonianze e dei fatti storici l’immagine idilliaca di Israele dipinta dai media occidentali è priva di qualsiasi fondamento.
*Già docente d Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. Ora insegna presso l’Università popolare A. Gramsci ed è membro del Centro Studi D. Losurdo.