Le ragioni più profonde dell'autocolonialismo italiano e come affrontarlo

Le ragioni più profonde dell'autocolonialismo italiano e come affrontarlo

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di Leonardo Sinigaglia

Con il mondo multipolare che avanza davanti ai nostri occhi spesso ci si interroga sul perché l’Italia, paese che pure fino a pochi decenni fa era la “pecora nera” dell’Occidente liberal-atlantista, sembri totalmente passiva, anchilosata in uno stato di minorità e oppressione percepito e compreso, almeno nelle sue dinamiche fondamentali, dalla gran maggioranza della popolazione, ma ciononostante sopportato fatalisticamente in nome di una rassegnazione ormai quasi totalizzante.

Le cause sono ovviamente numerose, e non basterebbero diversi saggi per descrivere le ragioni storiche, ideologiche, politiche ed economiche di questo stato di cose, ma tra tutte è innegabile che vi sia un profondo deficit organizzativo. Dagli Stati dell’Africa occidentale alla resistenza anti-sionista, dagli scioperi alle organizzazioni internazionali promotrici del multipolarismo, ogni passo in avanti nella lotta contro la piovra imperialista statunitense, le sue emanazioni e i suoi servi avviene non solo per l’entusiasmo e il supporto delle masse, ma per la presenza di strutture organizzate, che siano essi partiti politici, formazioni militari, associazioni economiche e di classe od organizzazioni internazionali interstatali. L’organizzazione è ciò che permette di governare i fenomeni, dando una razionalità strategica a sforzi che altrimenti sarebbero disorganizzati, disorganici, in ultima analisi inefficaci.

Pensando al contesto italiano è lampante il contrasto tra una struttura coloniale statunitense, forte di raffinatissimi mezzi d’amministrazione, controllo, propaganda e coercizione, e l’assenza totale di qualsivoglia contraltare di parte “popolare”, sia in forma di partito politico che di sindacato più o meno radicato tra le masse. Il Partito Comunista Italiano, che per un certo periodo rappresentò proprio questo, ossia la dirigenza strategica del proletariato e di tutto il popolo lavoratore nella propria lotta contro gli imperialisti di Washington e la locale borghesia compradora, abdicò progressivamente al suo ruolo, vinto dalle infiltrazioni euro-federaliste e l’incapacità di sopravvivere ideologicamente al distacco da Mosca.

La degenerazione e la successiva caduta del più grande partito comunista d’Occidente fu sicuramente un duro colpo sia per il popolo italiano che per il movimento comunista e antimperialista internazionale. I fatti che hanno accompagnato le filiazioni prodotte dalla sua esplosione e i numerosi coaguli d’attivismo politico che si crearono alla sua ombra uniscono però al lato tragico un aspetto comico, che a un osservatore esterno e non coinvolto materialmente nelle sorti del popolo italiano potrebbero persino apparire come più marcate e degne d’attenzione.

La nominalmente vasta galassia dell’estrema sinistra è riuscita dagli Anni ‘90 ad oggi a distinguersi in negativo sullo scenario politico nazionale e internazionale per la propria passività, l’estrema pigrizia mentale, la disonestà intellettuale e il totale scollamento del mondo. Nonostante la basi materiali e culturali tutt’altro che proibitive essa non solo ha agevolato il diffondersi di una terrificante rassegnazione tra gli italiani, ma ha contribuito attivamente al mantenimento dei rassicuranti rapporti di forza neoliberisti imposti a suon di bombe, golpe giudiziari e omicidi alla nostra colonia, accontentandosi sistematicamente della narrazione dominante e degli angusti spazi dell’ideologia liberale, assecondando, per quanto da una posizione “critica e di sinistra”, ogni mossa dell’imperialismo statunitense.

L’estrema sinistra ha rinchiuso la politica nei centri sociali, trasformandola in un fattore estetico-identitario, nella ricerca di un microcosmo ribellista privo di qualsiasi velleità di trasformare l’esistente, fondamentalmente negandone la stessa essenza materiale e collettiva.

L’estrema sinistra ha sostenuto concretamente ogni aggressione internazionale dell’imperialismo, dalle sanzioni, alle destabilizzazioni, alle dirette invasioni militari, o direttamente attraverso l’adesione alla retorica della “lotta contro l’autocrazia” e dei sempiterni “giovani in cerca della libertà”, o indirettamente, ammantandosi di un ipocrita, stomachevole e inconcludente pacifismo “nénéista”.

L’estrema sinistra ha combattuto scientemente e aggressivamente contro qualsiasi forza reale che si opponesse in senso progressivo allo stato di cose presente, facendo ampio ricorso alla diffamazione (si pensi all’eterno ritorno dei dossieraggi “antifascisti” e alla caccia alle streghe contro il “rossobrunismo”), alla mistificazione della realtà, spesso riprendendo fedelmente gli stessi topoi della propaganda imperialista, se non direttamente, quando possibile, alla violenza, con numerosi tentativi d’interruzione di conferenze, manifestazioni, eventi di varia natura…

Da qualsiasi angolazione la si guardi, l’estrema sinistra sembra impegnata in una battaglia fondamentalmente anticomunista giustificata attraverso la falsa coscienza di una pretesa ortodossia primigenia e meccanicamente sfruttata dalle forze reazionarie, sempre felici di trovare qualche utile idiota da sfruttare per i propri fini, soprattutto se ammantato dalla bandiera rossa.

Ciò non potrebbe accadere se l’estrema sinistra non avesse abdicato all’analisi materiale della realtà in nome della più totale dissociazione psichedelica. Questi individui rifiutano la realtà materiale, preferendo ripiegare in scenari artefatti, confezionati su misura ai loro pregiudizi e ai loro luoghi comuni, scenari che non necessitano di nessun rigore intellettuale o di particolare impegno nell’analisi, ma che contengono sempre le solite, semplici, ripetitive soluzioni a tutto i problemi.

Il marxismo insegna che la verità è da ricercarsi nei fatti. L’idealismo liberale antepone ai fatti le proprie proiezioni ideologiche. L’estrema sinistra, anche in questo, si distacca completamente dal marxismo per approdare tra le braccia della reazione. Ma questo scollamento dalla realtà non sarebbe materialmente possibile se non fosse soddisfatta una condizione necessaria: l’odio per il popolo, il disprezzo per la gente comune, un sentimento d’aristocratico sdegno per tutto ciò che non appartiene alla propria piccola, residuale setta, che non condivide i suoi riti e che non è iniziato ai suoi misteri. Da qui una delle maggiori cause della totale residualità politica dell’estrema sinistra nel nostro paese: è ridicolo, insultante e insensato proporre a un popolo un programma politico e allo stesso tempo affermare un intimo disprezzo per la sua identità, la sua storia, il suo sentirsi nazione. In poche parole: l’estrema sinistra rappresenta un’area sconfitta, collaborazionista e politicamente regressiva (anche) perché odia l’Italia.

Non esiste un paese al di fuori dell’Occidente in cui sia minimamente concepita questa promiscuità tra i richiami retorici a una politica “popolare” e il rifiuto della simbologia nazionale e di una profonda immedesimazione nel popolo e nei suoi trascorsi storici; non esiste in tutto il mondo un partito comunista che sia minimamente influente e che goda di una certa autorevolezza tra le masse che tolleri una qualsiasi ambiguità sulla doverosa identità tra militanza patriottica, comunista, internazionalista e antimperialista. E’ altresì interessante notare come, non a caso, non esistano formazioni “comuniste” occidentali che godano di particolare rilevanza o prestigio tra la popolazione, con le varie rachitiche formazioni relegate al folklore o al semplice impiccio a passanti ed esercenti.

Da “sinistra” si corre ai ripari davanti a queste accuse, rimaneggiando a piacimento gli autori marxisti, ignorando come Lenin rivendicasse apertamente e in piena Prima guerra mondiale  il patriottismo e la “fierezza nazionale” dei grandi russi, ignorando completamente la questione nazionale e coloniale, che da Marx a Xi Jinping, passando per Lenin, Stalin e Mao Zedong ha visto enorme interesse e riflessioni teoriche, ignorando soprattutto come sia una contraddizione in termini il proporre una politica socialista, una politica indirizzata agli interessi della stragrande maggioranza della popolazione e, in definitiva, di tutta l’Umanità, senza provare un sentimento di profondo attaccamento a un popolo, alla sua terra, alla sua storia, al suo futuro.

E la “sinistra” continua a difendersi disperatamente, affermando che non sia d’interesse rappresentare “il popolo”, ma unicamente il “proletariato”. Quest’ottica economicista non può essere più giustificata nel 2024 come immaturità politica, come sarebbe stato lecito fare un secolo fa, ma dev’essere impietosamente denunciata per quello che è: una deviazione piccolo borghese, fondamentalmente bottegaia, che rinuncia a qualsiasi volontà d’egemonia politica in nome di un corporativismo da operetta, che per quanto si sforzi d’indossare panni massimalisti ricade nella pratica sistematicamente nelle spicce rivendicazioni sindacali, nella contrattazione pre-novecentesca. Il partito comunista, o meglio quella soggettività politica che dovrebbe rilevarne i compiti in Italia, non può che affermarsi come rappresentante degli interessi di tutta la società, espressi più chiaramente nel loro divenire storico dalle parti più avanzate della società stessa. Deve essere in questo partito completamente nazionale, in cui il trascorso storico della nazione e i suoi destini abbiano pieno riflesso. Deve raccogliere dietro di sé, dietro l’avanguardia della classe lavoratrice, tutte le forze disposte a collaborare alla costruzione socialista.

Al contrario di quello che i comunisti fanno in Cina, in Laos, in Corea o in ogni altra parte del Sud del mondo, i vari “compagni” nostrani guardano al popolino italiano con un sovrano disprezzo per i suoi vincoli comunitari, per il suo ostinato legame alla Storia patria e per la sua visione essenzialmente plurale, egualitaria e filantropica, frutto di più di due millenni ininterrotti di civiltà.Per i cultori dello scontro orizzontale, della caccia alle streghe, del vittimismo come indice di purezza tutto ciò è inaccettabile. La loro visione individualista, fondamentale ostile a qualsiasi dinamica comunitaria perché aprioristicamente scettica di qualsiasi differenza e incapace di inquadrare dialetticamente il rapporto tra tutto e parte, tra singolo e collettività, è opposta al sentire delle grandi masse italiane, al loro retaggio nazionale e alla loro cultura, è completamente aliena dalle condizioni materiali del nostro paese e compone una inossidabile garanzia antisocialista, non già chissà quale indizio di "purezza" od "ortodossia marxista".

Una verità fondamentale della nostra epoca, pienamente riscontrabile nei fatti, è che è proprio questo odio aristocratico, reazionario ed anti-italiano a negare qualsiasi ruolo progressivo e attivo all’estrema sinistra. La fase attuale, quella dello scontro per la creazione di un mondo multipolare e del superamento della fase imperialista del capitalismo, dovrà vedere necessariamente in Italia una lotta serrata e aperta contro questo fortino della reazione e dell’imperialismo che è l’estrema sinistra.


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