Le sfide della modernizzazione cinese. Intervista con il segretario Partito Comunista svizzero Massimiliano Ay

Le sfide della modernizzazione cinese. Intervista con il segretario Partito Comunista svizzero Massimiliano Ay

“Ecco perché è urgente che anche la cooperazione sino-europea fra i partiti comunisti, i movimenti per la pace e i sindacati trovi un nuovo slancio…”

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di Chen Ji e Pietro Fiocchi

 

 

Massimiliano Ay, nato nel 1982, dopo un'esperienza in ambito sindacale, da quindici anni è segretario generale del Partito Comunista della Svizzera (www.partitocomunista.ch). A livello istituzionale è dal 2008 consigliere comunale di Bellinzona, la sua città di origine. Dal 2015 è stato eletto anche deputato al Parlamento della Repubblica e Cantone Ticino, la regione di lingua italiana della Confederazione Svizzera. Questo giovane e brillante leader politico condivide con noi le sue valutazioni e prospettive su uno degli eventi attuali più importanti.


Segretario Ay, la terza sessione plenaria del 20° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) che si è appena conclusa si è concentrata sull'ulteriore approfondimento delle riforme per promuovere la modernizzazione cinese. Secondo Lei questa sessione come influenzerà l'economia cinese? Si verranno a creare maggiori opportunità per la cooperazione economica tra la Cina e la Svizzera?

Prima di valutare se vi saranno effettivamente maggiori opportunità di cooperazione economica con il mio Paese, cosa che ovviamente mi auguro, vanno anzitutto individuate le sfide prioritarie dell’attuale momento storico che, secondo noi, comunisti svizzeri, sono le seguenti: a)la salvaguardia dell’accordo di libero scambio fra Cina e Svizzera che permette a quest’ultima una diversificazione dei partner commerciali e dunque una minore dipendenza dal mercato UE/USA e b) la difesa della nostra neutralità, per impedire ai settori atlantisti della borghesia svizzera che la vorrebbero abolire, di aderire ad eventuali sanzioni contro Pechino come già minacciato da alcuni alti funzionari irresponsabili di Berna. Ciò detto, sono convinto che gli esiti del Terzo plenum avranno un’influenza positiva sull’economia cinese: il Comitato Centrale ha infatti deciso non solo di “restare saldamente sulla strada del progresso politico socialista” e che il mercato diventi “più equo”, meglio regolamentato ma anche che occorre migliorare il sistema di sicurezza sociale e di distribuzione del reddito. Da non sottovalutare poi, sia dal punto di vista dell’affidabilità economica per gli investitori svizzeri, sia da quello della democratizzazione socialista, è la volontà del Partito Comunista Cinese di approfondire lo stato di diritto e la certezze delle leggi, che peraltro già con il nuovo Codice Civile (a cui ha collaborato l’amico e compagno Oliviero Diliberto) ha fatto enormi passi avanti. Le basi per una maggiore cooperazione economica sino-svizzera ci sarebbero quindi tutte, perlomeno da parte cinese. Non nascondo però qualche timore per come evolverà la disponibilità a cooperare da parte svizzera: quella parte di borghesia “compradora” che prende ordini da USA, UE e NATO è infatti più che mai all’offensiva per rovinare gli storici legami di amicizia fra Berna e Pechino e  sono riusciti a infiltrare pure la Socialdemocrazia. Per questo come comunisti stiamo costruendo una politica di Fronte Unito per organizzare anche chi non è comunista ma intende difendere una Svizzera neutrale, sovrana e inserita nel multipolarismo.

 

Come valuta la modernizzazione cinese e quale influenza crede abbia questa modernizzazione sul resto del mondo?

Vi sono varie “modernizzazioni”: nei paesi capitalisti, ad esempio, essa si basa essenzialmente su indicatori economici, volti al massimo profitto e di fatto a favore di una parte minoritaria della popolazione. La modernizzazione cinese ha invece due caratteristiche sostanziali: è una modernizzazione socialista ed è diretta da un Partito che si rifà esplicitamente al marxismo-leninismo. Tali caratteristiche rendono la modernizzazione cinese orientata a ricercare una sempre più ampia armonia in ambito ambientale, sociale, etnico, ecc. e questo lo si vede concretamente nella ridistribuzione della ricchezza, ma anche visitando il Paese nelle sue regioni periferiche che non sono abbandonate a loro stesse. Tutto ciò rappresenta soprattutto per i paesi del cosiddetto Sud Globale, non un modello da importare, ma un’esperienza da cui trarre spunto. L’emancipazione economica e sociale dei paesi di Africa, Asia e America latina è quanto di più concretamente anti-imperialista si può auspicare e rappresenta la base della nuova geopolitica multipolare che permetterà anche al socialismo di rinnovarsi e tornare a rappresentare così una prospettiva sul piano di massa.

 

Nel quarto volume del libro “Xi Jinping: Governare la Cina”, il presidente cinese Xi Jinping ha proposto di lasciare che la politica cinese della porta aperta stimoli l'economia mondiale. La Cina continuerà ad attuare un elevato livello di apertura e a facilitare il libero commercio con il resto del mondo: come influisce questa politica sull’economia mondiale?

Iniziamo col dire che sviluppandosi, l’economia della Repubblica Popolare non ha solamente tolto dalla miseria milioni di cinesi, ma ha permesso – anche grazie alla Nuova via della seta – ai paesi più poveri vittime delle politiche di saccheggio del necolonialismo occidentale, di emanciparsi. Ecco perché, non a caso, in un recente incontro con il Dipartimento Internazionale del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ho definito la “Belt and Road Initiative” come un nuovo tipo di internazionalismo adatto all’epoca storica del multipolarismo. Non ho quindi dubbi sul fatto che la Cina vogli continuare su questa linea: il problema è piuttosto da ricercare in Occidente dove i segnali non sono incoraggianti. Come ho avuto modo di spiegare in una mia recente intervista sulla CGTN molti governi dei paesi europei sono subalterni agli interessi degli Stati Uniti e della NATO, non pensano ai loro interessi nazionali e favoriscono una politica dei blocchi, vedendo nella Cina, al di là delle formule di cortesia diplomatica, non un partner ma un avversario da demonizzare e contrastare. Le parole della presidente della Commissione Europea Von der Leyen sul cosiddetto “de-risking”, sono purtroppo chiare: boicottare, tassare con i dazi, impedire qualsiasi forma di cooperazione economica tra Europa e Cina e anzi fomentare una escalation che può anche essere di tipo bellico. Ecco perché è urgente che anche la cooperazione sino-europea fra i partiti comunisti, i movimenti per la pace e i sindacati trovi un nuovo slancio.

 

 

Fonte:

CHINA REPORTS - CHINA.ORG

 

http://esperanto.china.org.cn/2024-07/24/content_117328718.htm

 

http://espero.chinareports.org.cn/2024-07/24/content_117328777.htm

 

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