Le ultime improbabili avventure (e dichiarazioni) del Conte Gentiloni sulla Siria
Del Conte Paolo Gentiloni Silveri che - come ci informa la sua agiografica pagina su Wikipedia – “discende da una famiglia conosciutissima a Tolentino, i conti Gentiloni Silverj, Nobili di Filottrano (AN), di Cingoli (AN) e di Macerata, imparentati con Vincenzo Ottorino Gentiloni, noto per.... “ credevamo nessuno si fosse accorto dell’esistenza se non per le sue strampalate uscite sulla Siria (“Interveniamo militarmente in Siria per salvare i Cristiani”) o sulla necessità di una nuova guerra alla Libia (“l'Italia è pronta a combattere") che gli sono valse le bacchettate di Renzi e, quindi, la sua conseguente scomparsa dai media mainstream.
Media che, invece – verosimilmente per rimpiazzare gli estivi “scoop” sul Mostro di Loch Ness – giorni fa, avevano riportato della sua Conferenza stampa - sintetizzata con il titolo “Il futuro della Siria non è nelle mani di Assad”- tenuta insieme a tale Riad Hijab. Notizia passata quasi inosservata, ma che vale qui la pena di approfondire. Ad esempio, domandandoci chi sia questo Riad Hijab.
Costituirà, certamente, il terzo fallimento in due anni della Politica estera italiana (ammesso che questa esista ancora). La serie comincia nel febbraio 2014 con Ali Zeidan (“il nostro Uomo a Tripoli”) per legittimare il quale la Mogherini (allora ministro degli Esteri) organizzò a Roma una sontuosa (40 delegazioni) “Conferenza Internazionale sulla Libia”; e questo due settimane prima che il buon Zeidan scappasse in Germania con un container pieno d’oro. Poi è stata la volta di Mohammad Fayez al-Serraj, incautamente promosso dall’Italia come “Capo del governo in Libia” (in realtà il suo ruolo era solo quello di invocare un attacco NATO) e che dopo il suo sbarco, su un canotto, nella base (oggi USA) di Abu Sittah è stato accolto a cannonate appena ha tentato di avvicinarsi a Tripoli. Da allora si sono perse sue notizie.
Ora, il nostro nuovo asso nella manica in Medio Oriente parrebbe essere Riad Hijab. Già ministro del Governo Assad nel giugno 2012 fu, incautamente, nominato da questi Primo Ministro; il 17 luglio un colossale attentato a Damasco (uccisi, tra gli altri, il ministro della Difesa e il cognato di Assad) lasciò presagire un colpo di stato. Per prepararsi a questo, il 1 agosto, Riad Hijab - additato fino a quel momento dall’opposizione come “il macellaio di Latakia” per il ruolo avuto nella repressione - scappò all’estero dove denunciò “il genocidio che, da anni, si consuma in Siria”. Messosi al soldo prima del Qatar e poi dell’Arabia Saudita, ne organizzò i “ribelli” inviati in Siria tramite una sua struttura ora chiamata pomposamente “Coordinamento generale dell'Alto Comitato Negoziale dell'opposizione siriana (HNC)”. HNC che, includendo anche bande di tagliagole pro-Isis e pro Al Nusra, non è stata pienamente ammessa ai Negoziati di Ginevra, sostanzialmente per l’opposizione della Russia, del Governo Assad e, soprattutto, dei rappresentanti dell’opposizione democratica siriana che non vogliono sedersi a trattare con l’ex “macellaio di Lakatia” e attuale leader dei tagliagole.
Ma, grazie al Cielo, oggi c’è il Conte Paolo Gentiloni che ad un allibito Staffan de Mistura – inviato speciale delle Nazioni Unite – garantisce che Riad Hijab, nonostante le defezioni dei suoi capibanda “senza precondizione, ha tutta la volontà di partecipare ad una quarta tornata di colloqui a Ginevra“. Il tutto, ovviamente, “da inquadrare in una road map che veda la destituzione del presidente Assad” e la “collaborazione della Russia”.
In arrivo altre bacchettate di Renzi per l’ennesima, insensata, proposta del suo svagato ministro degli Esteri? Probabilmente si. Intanto i media italiani fiutano l’aria che tira prima di esprimersi. E oggi di questa ennesima impresa del Conte Gentiloni, quasi, non se ne trova notizia. Così come nessun risalto è stato dato all’ennesima strage di civili (tra cui decine di bambini) compiuta, nei giorni scorsi, ad Aleppo dai “ribelli”. Ma a questo silenzio sui crimini compiuti dai nostri “alleati” ci siamo abituati.
Francesco Santoianni