L’economia cinese contemporanea. Imprese, industria e innovazione da Deng a Xi

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L’economia cinese contemporanea. Imprese, industria e innovazione da Deng a Xi

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recensione di Eduardo Bellando 




Alberto Gabriele, L’economia cinese contemporanea. Imprese, industria e innovazione da Deng a Xi, Prefazione di Vladimiro Giacché, Diarkos, Santarcangelo di Romagna 2024, 288 pp., €24

 

Il punto di partenza del libro di Alberto Gabriele è lo straordinario sviluppo economico della Cina. Alla fine degli anni Settanta il prodotto interno lordo cinese era simile a quello indiano e circa un ventesimo di quello degli Stati Uniti; nel 2022 era passato ad essere quasi l’80% di quello degli Stati Uniti e più di cinque volte quello dell’India.

Questo successo è dovuto, dice Gabriele, al peculiare modello cinese – un inedito ed efficace sistema socioeconomico che fornisce un’alternativa al modello occidentale. Per Gabriele, la Cina rappresenta una “formazione socioeconomica mista”: sia il socialismo che il capitalismo coesistono insieme ad altri modi di produzione, in una combinazione complessa e in continua evoluzione, in cui il modo di produzione socialista è dominante, ma quello capitalista è presente e svolge una funzione indispensabile. La Cina è perciò il primo esempio – insieme al Vietnam – di una nuova classe di formazioni socioeconomiche in alternativa al capitalismo.

Il successo della Cina è dovuto, dice Gabriele, a due pilastri della sua economia che vengono esaminati in dettaglio: la struttura delle imprese produttive e il sistema nazionale di innovazione. La prima parte del libro analizza la natura e l'evoluzione delle imprese produttive, in particolare le trasformazioni della loro struttura proprietaria. La seconda esamina le principali caratteristiche del dinamico sistema di innovazione.

Il libro sottolinea due aspetti fondamentali del modello cinese. Il primo riguarda il ruolo cruciale della proprietà pubblica riguardo ai mezzi di produzione fondamentali, nel quadro di un contesto di mercato in cui coesistono diversi tipi di proprietà.

La gamma è articolata: si va dalle joint ventures con multinazionali straniere alle imprese private nazionali, alle imprese a partecipazione statale fino a quelle interamente statali. Secondo Gabriele, “La nascita e lo sviluppo di un'ampia gamma di imprese non capitaliste orientate al mercato, insieme all’evoluzione degli assetti istituzionali che l’hanno resa possibile, è stata il vero pilastro fondamentale della performance di crescita stellare della Cina che dura ormai da quasi mezzo secolo.”

Il secondo punto è costituito dalla centralità dell'innovazione e del progresso tecnico, e dallo sforzo volto a sviluppare un know-how indigeno per superare la dipendenza dall’estero nel cruciale settore della conoscenza. Il sistema nazionale di innovazione ha raggiunto un grado di sviluppo più avanzato di quello dell'economia nazionale nel suo complesso, dice Gabriele. Le grandi aziende ad alta tecnologia, molte delle quali si sono sviluppate autonomamente, svolgono un ruolo importante nel guidare la spinta innovativa; ma i motori di questa vasta struttura sono le imprese, le università e i centri di ricerca controllati dallo stato. Anche qui la Cina sembra aver realizzato un mix efficace di pubblico e privato.

La guida pubblica dell’economia è una delle ragioni del successo della Cina, dice Gabriele. Il modello cinese, una particolare forma di “socialismo di mercato”, offre ai suoi leader “un vantaggio eccezionale nell'area cruciale della pianificazione strategica, ossia la capacità di raccogliere e concentrare una quota molto rilevante delle risorse nazionali per destinarle razionalmente a obiettivi chiave in base a una ben definita serie di priorità.”

La straordinaria crescita della Cina, aggiunge Gabriele, è stata possibile grazie “alla radicale differenza tra il suo sistema a controllo pubblico e quello speculativo e sempre a rischio di crisi dei paesi capitalisti.” Nonostante le inefficienze, la corruzione e gli sprechi, la concessione di crediti preferenziali alle imprese pubbliche si è rivelata efficace sia dal punto di vista macroeconomico che da quello dinamico, consentendo alla Cina di sfuggire alle peggiori conseguenze della crisi globale del 2008 e favorendo l'aumento degli investimenti e la modernizzazione delle industrie strategiche. Anche le aziende private ne hanno tratto beneficio, sfruttando la crescita della domanda interna.

Tuttavia i responsabili dell’economia sono stati pragmatici, non ideologici, utilizzando strumenti di guida dell’economia spesso associati al capitalismo. Secondo Gabriele, “Gli ultimi cicli di riforme industriali hanno cercato di modernizzare e affinare l'effettiva realizzazione e operatività della proprietà pubblica... A tal fine, la Cina ha gradualmente sostituito gli strumenti di comando amministrativo antiquati e poco sofisticati, affidandosi sempre più a forme di controllo strategico indirette e basate sul valore dei mezzi di produzione. Questa transizione è stata accompagnata dall'apertura di ampie opportunità di mercato per un settore privato in rapida crescita.”

Gabriele non ignora i molti problemi che affliggono il paese – il rallentamento economico seguito all’emergenza Covid, l'aumento del debito delle imprese, delle amministrazioni locali e delle famiglie, la grave crisi del mercato immobiliare, la fuga di capitali, le conseguenze negative di alcune politiche di liberalizzazione finanziaria, le profonde disuguaglianze di reddito e i danni ambientali. Sottolinea però la coscienza da parte dei dirigenti cinesi di tali problemi e l’avviamento di politiche per affrontarli.

Gabriele, che scrive sulla Cina dal 2001, risponde ai “molti osservatori occidentali che straparlano di una Cina chiusa, autarchica e neo-maoista.” Aggiunge che la leadership cinese “lavora per rafforzare il controllo strategico dello stato sulle leve dell’economia e per rinvigorire il ruolo delle imprese pubbliche e parapubbliche, ma fa anche molta attenzione a mantenere un equilibrio macroeconomico appropriato e a prevenire l’instabilità sociale.” Il governo interviene a favore degli imprenditori privati quando questi mostrano segni di debolezza.

Piuttosto, dice Gabriele, per i dirigenti cinesi il pendolo si era spostato troppo dalla parte del mercato, ed era necessario rafforzare il ruolo guida dello stato nell’economia. Nella fase delle riforme ora in atto c’è una chiara, anche se non drastica, correzione di rotta: secondo una espressione in voga, “lo stato avanza e il settore privato arretra.”

Gabriele affronta la questione delle grandi aziende create da imprenditori visionari, non solo nel settore high-tech, che crescono fino a generare problemi sociali. Cita Alibaba, ma anche i colossi immobiliari (Country Garden, Evergrande) e il grande business delle lezioni private. I dirigenti hanno preso atto che un approccio repressivo sarebbe controproducente. Piuttosto, dice Gabriele, occorre aumentare il controllo indiretto – attraverso i finanziamenti e la tassazione – delle start-up quando queste crescono in dimensioni e rilevanza, e far comprendere agli imprenditori visionari che la crescita e la sopravvivenza stessa delle loro imprese come aziende private dipendono dalla coerenza delle loro strategie di sviluppo con le priorità nazionali. Qui ci sarebbe un insegnamento per i governi occidentali, che talvolta appaiono subordinati ai giganti della high-tech.

Dal libro si possono anche trarre lezioni per l’Italia. La prima è l’importanza di una seria politica industriale a lungo termine, guidata dagli interessi nazionali. La seconda è la necessità, per le imprese come per lo stato, di investire in ricerca, sviluppo e innovazione; in Italia ricerca e sviluppo rappresentano l’1,4% del prodotto interno lordo, in Cina la cifra è quasi il doppio (2,5%). La terza è la realizzazione di un mix efficace di imprese pubbliche e private. L’Italia ha largamente rinunciato alle imprese e banche a partecipazione statale, con eccezioni come Eni e Fincantieri. Forse considerare un riequilibrio sarebbe opportuno.

Un pregio del libro è la vasta e aggiornata bibliografia (44 pagine), con centinaia di libri, articoli e altre fonti, compreso molto materiale prodotto da studiosi cinesi.

Con la Cina che gioca un ruolo sempre più centrale nell’economia globale (e italiana), il libro di Gabriele è una preziosa finestra non solo sul modo in cui il Paese ha acquistato tale centralità, ma sulla sua mentalità e cultura.

 

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