L'economista Fitoussi: «Senza eurobond l'euro non sopravviverà»
Nemmeno davanti alle vittime causate dal Covid-19 l’Unione Europea ha abbandonato la sua concezione ragionieristica secondo cui gli Stati vanno amministrati alla stregua di un’azienda privata o peggio ancora di una famiglia. Riprova ne sono le estenuanti trattative in seno all’Eurogruppo dove i paesi nordici, Germania e Olanda in testa, hanno posto un netto rifiuto all’emissione dei cosiddetti eurobond o coronabond per finanziare le spese sanitarie e far fronte alla durissima crisi economica che seguirà la pandemia.
Intervistato da Quotidiano.net l’economista francese Jean-Paul Fitoussi ha dichiarato: «Gli Stati non hanno avuto più un centesimo per le infrastrutture. Si vede fisicamente, basta girare per le strade. Eppure, l’utilità sociale degli investimenti si vede anche nel funzionamento del settore privato: il costo dei servizi diminuisce e aumenta la produttività per imprese e lavoratori. Se non abbiamo la memoria corta, quando si è investito in infrastrutture, come nel Dopoguerra, la crescita è stata anche del 5 per cento in termini reali».
Un’ottusa austerità portata avanti nonostante la pandemia: «È una nuova delusione, ma me l’aspettavo. L’Europa non si è mai trovata all’appuntamento quando avevamo bisogno di essa. E, dunque, era prevedibile che i Paesi del Nord dicessero no alla mutualizzazione del debito. Ma senza mutualizzare il debito non si risolve la crisi di oggi. E non farlo è un suicidio collettivo».
Una situazione che non può reggere ancora a lungo: «Perché l’Italia, la Francia, la Spagna arriveranno ad averne abbastanza di questo rigore luterano e potranno decidere di non voler più che a guadagnare da questo assetto sia soprattutto la Germania, che fino a oggi ha tratto vantaggio da esso, come creditore e come produttore, solo perché gli altri Paesi non hanno potuto usare la leva della svalutazione monetaria. Se, infatti, avessero potuto svalutare, la Germania non avrebbe più avuto il surplus commerciale che ha e, anzi, subirebbe tutte le conseguenze recessive di una svalutazione».
Secondo l’economista transalpino, senza un cambio di paradigma la moneta unica è destinata a saltare: «Se non c’è una vera solidarietà, una vera mutualizzazione del debito, o continueremo a andare ancora di più sott’acqua o facciamo qualcosa di politicamente scorretto ma inevitabile: dire basta e uscire».