L'Europa dei monopoli si prepara a entrare in guerra
Cessate il fuoco? The Economist fa la lista della spesa militare e dei "bisogni materiali" per affrontare il conflitto con la Russia
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Secondo dati del Ministero della difesa russo, la scorsa settimana le forze ucraine avrebbero perso oltre novemila uomini, mentre le artiglierie di Kiev continuano a violare la moratoria sui bombardamenti delle strutture energetiche russe, a dispetto degli impegni presi pubblicamente da Vladimir Zelenskij lo scorso 18 marzo.
Sul piano più generale della ricerca di un cessate il fuoco, di recente, el jefe de la junta golpista ha anche dichiarato di essere disposto a un compromesso sulla questione dei territori: un punto che sinora il regime di Kiev ha sempre categoricamente respinto. A suo dire, questa rimane ancora una “linea rossa” per Kiev, ma «se è possibile trovare un compromesso in modo che la restituzione di questi territori avvenga, col tempo, per via diplomatica, penso che probabilmente, per quanto riguarda alcuni territori, questa sarà l'unica strada».
La guerra, insomma, va avanti, eccome. E ne sono testimonianza i passi, “politici” e mediatici, che appaiono quotidianamente.
Il britannico The Economist, per esempio, torna sul piano europeo del “Porcospino d'acciaio” in cui dovrebbe essere trasformata l'Ucraina, dal momento che, scrive, resta ancora lontano il cessate il fuoco e l'Europa la tira per le lunghe nella realizzazione della “forza di dissuasione". Così che l'unica soluzione per «garantire la sicurezza dell'Ucraina», è quella di rimpolparla di quante più armi possibile. A tale scopo, lo scorso 19 marzo la Commissione europea ha partorito una “strategia” a due fasi: si acquisteranno più armi, missili e munizionamento per conto dell'Ucraina, dopo di che verrà rafforzata l'industria bellica ucraina, con investimenti per 40 miliardi di euro, secondo quanto immaginato da Kaja Kallas. In realtà, il piano della russofoba estone è stato scartato e sono rimasti appena 5 miliardi di euro per le munizioni.
In ogni caso, a detta di Aleksandr Kamyšin che, nella squadra presidenziale golpista cura il settore dell'industria bellica, quest'anno la produzione militare ucraina ammonterà a circa 15 miliardi di dollari, con un potenziale di 35 miliardi se, tanto per cambiare, arriveranno altri fondi dall'occidente. Ma, osserva The Economist, non è chiaro quale percentuale del fabbisogno delle forze armate ucraine sia coperta dalla produzione nazionale; i dati resi noti da Kiev variano dal 30 al 50%. Secondo l'ex funzionario del Ministero della difesa tedesco Nico Lange, Kiev avrebbe raggiunto uno stadio avanzato nel comparto dell'elettronica bellica, come è il caso, ad esempio, del sistema di disturbo “Lima”, che interrompe i programmi di guida delle bombe plananti russe. C'è poi il settore dei droni e dei missili balistici, mentre aumenta la produzione di armi convenzionali: nel 2024, con l'apporto della norvegese Nammo e della franco-tedesca KNDS, sono stati prodotti oltre due milioni e mezzo di proiettili per artiglierie e mortai. Con ulteriori finanziamenti europei, scrive The Economist, la produzione di varie armi ucraine potrebbe essere raddoppiata e, per colmare le gravi lacune che tuttora permangono, sono essenziali le joint venture con aziende europee e americane.
Ma non c'è da disperare, afferma la rivista britannica che, a differenza dei media guerrafondai appenninici, non si limita a echeggiare odi e ditirambi alla guerra, ma ne illustra doviziosamente i bisogni materiali, onde affrettarne lo scoppio: così, varie industrie europee stanno già intervenendo per produrre in loco quanto richiesto da Kiev. Per dire: se i telai dei blindati trasporto-truppe devono ancora essere importati, ecco che la tedesca Rheinmetall ha già aperto in Ucraina la prima di due fabbriche per la produzione di veicoli da combattimento “Lynx”. Per l'intercettazione dei missili balistici, una joint venture con la francese Thales (consorzio SAMP-T) consentirà a Kiev di accedere a tecnologie radar e optoelettroniche avanzate.
A parere di Fabrice Pothier, ex direttore della pianificazione politica della NATO, alcuni problemi dell'industria ucraina riguardano la sua dipendenza dai componenti cinesi per i droni; quindi, toccherebbe all'Europa fornire a Kiev «ottiche, giroscopi, sensori e controllori di volo». E il modo più rapido per rimpolpare l'Ucraina sarebbe, ancora una volta, il cosiddetto “modello danese”: Kiev stabilisce le priorità, la Danimarca paga e gli esperti danesi valutano i fornitori e controllano l'ordine. O, per meglio dire: la Russia paga, dato che, a fronte di qualche decina di milioni di euro di finanziamenti “europeisti”, ben 390 milioni vengono dagli interessi sui beni russi congelati.
Ma non tutti in Gran Bretagna sono così ottimisti. David Willey, curatore del Bovington Tank Museum nel Dorset, in un'intervista a Times Radio prevede tempi oltremodo duri per l'industria di guerra europea, dopo il ritiro degli Stati Uniti. Se si debbono «rimpiazzare attrezzature americane, promesse e non consegnate», dice Willey, è chiaro che «l'Europa debba realizzare il proprio potenziale, la propria scienza, la propria industria, le capacità delle proprie forze armate. Ci sentiamo sempre insicuri, come se non potessimo fare nulla senza gli americani. Forse dovremo fare tutto senza gli americani». E si deve «agire più velocemente», perché la guerra, sembra ammonire Willey, è qui, appena svoltato l'angolo.
E che il tempo sia proprio il fattore contro cui muoversi sembra affermarlo anche la fuoriuscita ucraina Tat'jana Montjan, in un'intervista ripresa da PolitNavigator. Bisogna affrettarsi, afferma l'avvocato, a liquidare le forze ucraine, prima che l'Europa completi il proprio riarmo e intervenga direttamente sul campo di battaglia. Nonostante i negoziati in corso e le dichiarazioni di Donald Trump, afferma Montjan, la pace in Ucraina non ci sarà tanto presto, perché l'Europa si sta già preparando a entrare in guerra. «L'Europa dispone ancora di una riserva di tempo», dice l'avvocato; prima che il “Saloreich” (termine che associa il “Reich” di Kiev al salume tipico ucraino: “salo” o lardo; ndr) esaurisca «gli uomini; e finché la linea del fronte ancora tiene», gli europei «hanno tempo di costruire tutto in patria, riconvertire ogni sorta di Porsche, Volkswagen e altro su linee militari. E quando non rimarranno più “saloreichovtsy”» da mandare al macello, allora «saranno loro a entrare in guerra». Di continuo, dice Montjan, la «nostra informatsionka ci stuzzica: “ecco, quelli hanno rifiutato di inviare soldati in Ucraina; anche quegli altri hanno rifiutato”. Lo dicono solo per avere qualcosa da scrivere. In realtà, non temete, manderanno di tutto quando i soldati del “Saloreich” saranno finiti. Ci potete scommettere. Non è certo per la pace che stanno riconvertendo tutto su basi militari».
D'altronde, c'è anche chi lancia l'allarme sullo stato delle industrie belliche: non quelle europee, ma quelle americane. Lo stato attuale del complesso militare-industriale occidentale è un'opportunità per la Russia, ammonisce l'americana The Heritage Foundation nel rapporto “A Strategy for Revitalising the [US] Military-Industrial Base in the 21st Century”, il cui senso generale può ridursi a un solo esempio: solo dal 1942 al 1945, l'industria militare americana aveva prodotto 17 portaerei, 300.000 aerei e circa 50.000 carri armati Sherman. Attualmente, la capacità produttiva massima del caccia F-35 è di circa 150 aerei l'anno. Vero è che, come viene correttamente sottolineato, la ragione del declino della produzione è in parte dovuta alla maggiore complessità dei moderni sistemi d'arma. Produrre caccia Lockheed P-38 Lightning non è la stessa cosa che produrre caccia F-35 di quinta generazione, e un carro armato Sherman non è un Abrams con corazza all'uranio impoverito. Tuttavia, afferma il rapporto, per «decenni, l'infrastruttura economica yankee più critica per le forze armate - la base industriale della difesa - si è atrofizzata, mentre lo stato della sicurezza si è deteriorato fino a raggiungere la peggiore condizione dalla Seconda guerra mondiale».
Dunque, tra le misure necessarie per recuperare il tempo perduto, si chiede, secondo la la più sperimentata linea capitalistica, un aumento di capitali all'industria e una riduzione dei costi di produzione, espansione delle risorse lavorative disponibili e aumento e stabilizzazione della domanda. Si dovrà provvedere anche a innovazione, con cambiamenti nei metodi di approvvigionamento. Il rafforzamento delle catene di fornitura richiede poi un aumento della capacità produttiva e, quando possibile, si dovrebbe ricorrere alla coproduzione per l'acquisto di strumenti chiave per la difesa nazionale. Tuttavia, ammette sconsolato il rapporto della Heritage Foundation, qualsiasi piano viene «spesso infranto dalla dura realtà della vita. La base militare-industriale degli Stati Uniti è stata degradata per decenni e ci vorranno decenni per ricostruirla. L'America non ha più la potenza e le risorse di un tempo per resistere ai tentativi di minare la sua egemonia in tutte le aree critiche del pianeta.
Al contrario, scrive digrignando i denti The National Interest, «se si crede al Cremlino, il missile Iskander-1000 è in grado di manovrare radicalmente ad alta velocità durante la sua fase terminale, lanciando al contempo esche, che probabilmente metteranno in crisi qualsiasi sistema di difesa». In generale, osservano in USA, dal conflitto in Ucraina Mosca ha tratto lezioni preziose, che le hanno permesso di adattarsi alla nuova era bellica. Dopo quasi tre anni di guerra e a dispetto delle contrarie affermazioni occidentali, la micidialità delle forze russe è cresciuta, come riconosciuto anche dal Segretario NATO Mark Rutte, quando ha apertamente detto che il Cremlino potrebbe produrre più armamenti in tre mesi di quanto possa fare tutta l'industria militare della NATO in un anno. L'adattamento in guerra è fondamentale, sospirano a The National Interest; in tempo di pace, l'adattamento è minimo, ma nel vivo della guerra, scienza, tecnologia e tattiche cambiano rapidamente. Vince la parte che si adatta più velocemente a questi cambiamenti. E mentre la NATO è solo un proxy del conflitto ucraino, la Russia vi partecipa direttamente e ha imparato di conseguenza.
A voi le conclusioni.