L'Europa della guerra e gli interessi materiali che la sostengono
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di Federico Giusti
Lo sguardo dovrebbe essere rivolto ai fatti reali, ai dati economici, alle fonti storiche, all'analisi geografica e non alle polemiche, sovente sterili, alimentate ad arte per il gossip politico, è una riflessione fin troppo scontata ma talvolta è proprio la banalità a salvarci dalla disinformazione imperante.
Giorni fa scrivevamo a proposito della riconversione a fini militari della industria europea, è già iniziata in Germania e in molti altri paesi europei esistono progetti concreti che da qui a pochi mesi si realizzeranno pur nel silenzio assenso del mondo politico e sindacale.
Qualche esempio sull'economia di guerra scorre sotto il nostro sguardo assente: la contrazione dello stato sociale sotto innumerevoli forme o semplicemente rinunciando ad adeguarne le prestazioni ai bisogni reali, l'aumento delle spese militari, gli investimenti pubblici indirizzati alle tecnologie duali e alla ricerca in campo bellico, le speculazioni finanziarie che fanno schizzare alle stelle i titoli azionari delle imprese di armi, la militarizzazione delle scuole e dell'università e la mano pesante contro gli oppositori sociali con il ddl 1660.
Quanto alla riconversione dell'economia a fini di guerra sono due i paesi che dovremmo prendere in considerazione: Israele e Ucraina. Dai riservisti alle università legate a doppio filo con le imprese di guerra, dalle start up che poi scopriamo essere parte dirimente della filiera di armi fino alla rapida riconversione di imprese civili a finalità militari. E non dimentichiamo la propaganda strategica, sionismo e colonialismo da insediamento giocano un ruolo determinante in campo culturale e ideologico offrendo coesione sociale ed identità nazionale.
Soffermiamoci sull'Ucraina che già 4 anni fa aveva aumentato la produzione di armi tanto che la sua azienda leader nel campo della produzione di armi, la Spa Ukrainian Defense Industry (ex UkrOboronProm), ha ottenuto un aumento del 69% su base annua dei ricavi degli armamenti, raggiungendo i 2,2 miliardi di dollari, l'aumento più rapido e i ricavi più alti che l'azienda abbia mai registrato. Mentre l'Ucraina cerca di rafforzare e modernizzare rapidamente le sue capacità militari nel mezzo del conflitto, sono comparsi numerosi produttori più piccoli, insieme a joint venture emergenti con società straniere, creando un settore più vivace, diversificato e innovativo.
E la militarizzazione dell'industria spiana sempre la strada ai processi di privatizzazione dell'economia, al potenziamento del ruolo dei privati ossia grandi multinazionali che spesso ritroviamo dietro a innocenti e piccole start up innovative esaltate con accenni romantici, da inizio dell'era industriale, e tali da far illudere il cittadino (credulone e disinformato) che vinca pur sempre la creatività e l'innovazione individuale.
I problemi nelle industrie statali hanno anche portato all'ascesa di aziende private di armi, che spesso hanno superato i loro concorrenti statali in termini di efficienza produttiva, innovazione e adattabilità alle esigenze militari. Nel 2015, il 25% degli ordini statali è andato a società private. Nel 2020 questa quota era più che raddoppiata, raggiungendo il 54%, mentre le imprese statali hanno ricevuto il 36% e il restante 10% erano importazioni. L'espansione dell'industria degli armamenti ucraina dopo il 2014, insieme agli sforzi di riforma e al ruolo crescente del settore privato, ha gettato le basi per un aumento della produzione di armi e dell'innovazione tecnologica negli anni successivi......
Negli ultimi tre anni, la capacità di produzione di armi dell'Ucraina è cresciuta non solo in termini di volume, ma anche di gamma di hardware militare che può essere prodotto. Questa crescita è stata in gran parte guidata dallo sviluppo di nuove tecnologie, poiché la portata e la natura della guerra hanno creato una domanda di innovazione militare. Uno dei progressi più notevoli è stato nei veicoli aerei senza equipaggio (UAV), con l'Ucraina che ha aumentato significativamente il numero di modelli di UAV prodotti a livello nazionale. Il progresso tecnologico è stato ulteriormente accelerato da iniziative governative, come Brave1, una piattaforma guidata dallo Stato che fornisce assistenza agli sviluppatori di tecnologia militare e promuove la collaborazione tra le parti interessate del settore. In poco meno di due anni dal suo lancio, Brave1 è cresciuto fino a supportare oltre 1500 start-up di tecnologia militare.
Fin qui nulla di nuovo, almeno per chi abbia tempo e coraggio di analizzare la realtà. Mentre si parla di esercito europeo sfugge ai cantori dell'era nova il vecchio militare di ventura ribattezzato ai nostri giorni con un termine inglese: contractor il cui utilizzo viene caldeggiato direttamente dalle grandi imprese militari
I paesi europei della NATO stanno pianificando di aumentare la loro spesa per la difesa dall’attuale 2% del PIL a potenzialmente il 3% o più. Questo aumento potrebbe tradursi in ulteriori $220 miliardi per la difesa europea, con quasi la metà di tale importo potenzialmente destinata a nuove attrezzature.
Le aziende americane hanno tradizionalmente dominato le spese europee per la difesa, ma le azioni europee del settore difesa sono ora destinate a beneficiare maggiormente dell’aumento della spesa locale.
Nonostante storicamente abbiano avuto una porzione minore dei budget per la difesa, i contractor europei dipendono fortemente dalla spesa locale per i loro ricavi nel settore difesa.
Anche con la crescita dei budget europei, le esportazioni di difesa verso l’Europa da parte dei contractor statunitensi rappresentano solo circa il 10% dei loro ricavi totali. Bernstein stima che i contractor europei potrebbero vedere un’opportunità incrementale di circa $40 miliardi di spesa annuale.
"In uno scenario di budget del 3% del PIL, le spese della NATO crescerebbero a un CAGR dell’8% fino al 2030, con la spesa per le attrezzature e i contractor europei pronti a catturare la maggior parte dell’opportunità", hanno affermato gli analisti.
Il settore della difesa in Europa attira capitali ed investitori, i dati mostrano il boom dei rendimenti, in meno di 3 anni, di oltre il 550%, un enorme business destinato a crescere se i capi di stato europeo terranno fede agli impegni assunti attraverso non solo finanziamenti effettivi e aumento degli ordini ma costruendo nel vecchio continente un clima di paura atto a giustificare il rapido ricorso al riarmo.
E in soccorso arrivano le dichiarazioni ultime della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che alla Royal Danish Military Academy in un discorso ufficiale dichiara
“Se l’Europa vuole evitare la guerra, deve prepararsi alla guerra“.
Potremmo desiderare che queste cose non fossero vere. O che non dovessimo dirle in modo così schietto. Ma ora è il momento di parlare onestamente, in modo che ogni europeo capisca cosa è in gioco. Perché il disagio di sentire queste parole impallidisce di fronte al dolore della guerra. Basta chiedere ai soldati e al popolo ucraino. Il punto è che dobbiamo vedere il mondo così com’è e dobbiamo agire immediatamente per affrontarlo. Perché nella seconda metà di questo decennio e oltre si formerà un nuovo ordine internazionale. Quindi l’Europa si trova di fronte a una scelta fondamentale per il suo futuro. Continueremo a reagire a ogni sfida in modo incrementale e cauto? O siamo pronti a cogliere questa opportunità per costruire un’Europa più sicura? Un’Europa prospera, libera, pronta, disposta e capace di difendersi”